Un luogo di ascolto in meno

pubblicato da Azione - 20.10.2014

Dopo tre secoli di formazione, accoglienza e cultura, il convento di Lugano si appresta a chiudere a causa dell’anzianità dei frati. Si auspica un riorientamento della sede...

Dopo il suo glorioso passato di educazione e cultura del popolo, la realtà dei cappuccini di Lugano sarà presto orfana di una presenza storica importante e ben radicata: il 3 novembre verrà chiuso il Convento e la Chiesa della Salita dei frati. Qui si erano insediati nel lontano 1653, dopo aver lasciato "di loro spontanea volontà e senza alcun giusto motivo" la sede originaria di Sorengo, si apprende da uno scritto dell'ex segretario comunale, Pierino Ermanni ("Illustrazione ticinese", n. 33/1937).

Insomma, dopo quel trasloco del 4 novembre di tre secoli fa, quando "i frati trasportarono processionalmente le ossa dei loro morti dal vecchio al nuovo convento", dice il sito dell'Associazione Biblioteca Salita dei Frati, ora un nuovo spostamento, dettato stavolta dal loro esiguo numero, sono in sei, dalla crescente anzianità e dalla necessità di concentrare le forze. I frati luganesi si sposteranno a Locarno, noto per il santuario, e a Bellinzona per le attività parrocchiali.

Se in passato i frati andavano a piedi là dove c'era bisogno, ad esempio venivano invitati dai parroci per garantire le "quarant'ore" (si onorava Gesù Cristo per il tempo che rimase nel sepolcro durante la Settimana Santa), oppure a fare la predica durante la Festa patronale della parrocchia, oggi queste attività sono scomparse. Sono invece rimaste soprattutto quelle di accoglienza, ascolto e le opere di cappellanie. "Il convento viveva soprattutto dell'accoglienza di persone che bussavano alla nostra porta per incontrare un padre, avere un consiglio spirituale o una confessione" ha detto fra Boris Muther, responsabile della sede luganese, di recente alla trasmissione "Strada regina" della Rsi.

Si tratta di persone di ogni tipo, gente di passaggio, uomini e donne che vivono un momento di crisi o di incertezza. "Facciamo la pastorale della casa, la chiesa, un po' di ministero, le confessioni, l'ascolto e, di frequente c'è gente che viene per domandare consiglio e aiuto" ha detto alla Rsi fra Ugo Orelli, attuale guardiano del convento. Le cappellanie sono tuttora in vigore negli istituti religiosi, nelle case anziani, negli ospedali e, soprattutto, nelle carceri ticinesi, "perché noi amiamo veramente essere a contatto con la gente" ha affermato Muther, fedele all'intento dei cappuccini, è cioè di essere fratelli ai piedi di tutti quelli che servono (da qui la locuzione "frati minori").

Attualmente, ad esempio, fra Michele Ravetta, dopo l'esperienza parrocchiale in Valle Leventina e l'assistenza sociale presso l'Ente ospedaliero cantonale, è cappellano al penitenziario cantonale "La Stampa" e "La Farera", dove incontra ogni domenica uomini e donne detenuti, feriti dalla vita e dalle necessità.

Ma è anche la società, quella in generale e luganese, che cambia. È in crisi la vocazione e l'età si fa sentire: quella media dei frati è attorno ai 68 anni. "Nelle nostre case si fa un po' fatica, il passo è più pesante, interviene magari anche la malattia e questa estate "sorella morte" ha bussato alla nostra porta" ha dichiarato Muther alla Rsi, alludendo alla scomparsa di fra Callisto Caldelari, colui che gettò le basi, tra le altre cose, per la creazione della biblioteca (vedi in seguito). Nel 2010 fece scalpore l'offerta di un "lavoro a tempo pieno" da parte dei cappuccini svizzeri e indirizzato a "bancari, giornalisti, maestri, esperti della comunicazione".

Inoltre diminuiscono e invecchiano i fedeli, lascia intendere Muther: "il nostro bacino era soprattutto composto da un pubblico amico del convento, c'era tanta gente che partecipava alle nostre celebrazioni, in settimana ma soprattutto la domenica, ma gli anni passano e anche le persone diventano più anziane". In sostanza, conclude, "fintanto che la comunità era piuttosto grande potevamo svolgere varie attività, ma con la diminuzione dei frati non possiamo più far fronte a tutti i servizi che offrivamo". La decisione di chiudere è dunque stata sofferta e meditata a lungo: "il convento di Lugano è sempre stato un punto di riferimento per noi frati, per tanti anni un luogo di formazione dove generazioni di frati si sono formati, ma per continuare non abbiamo più le forze né la progettualità" ha detto il frate alla Rsi.

Lugano perde non solo un riferimento assistenziale, ma rischia di dimenticare anche un pezzo di storia misterioso. Nella seconda metà dell'Ottocento imperversava nell'Europa Centrale il cosiddetto Kulturkampf, l'ondata di protesta laica contro la Chiesa. Nel 1848 il cantone decise di sopprimere quasi tutti i conventi sul territorio e cacciò via quasi tutti i cappuccini, poi inglobò le strutture nel patrimonio statale con l'intento di venderli e riparare alle disastrate finanze cantonali. Nei fatti però andò diversamente. Questa "corsa alla svendita", scrive lo storico Romano Broggini ("Scuola ticinese", n.94/1981), "non giovò gran che al bilancio, perché i beni vennero venduti stentamente, (...) non all'istruzione popolare che non trovò immediato vantaggio", e persino "l'arte e la cultura non trassero gran giovamento perché opere d'arte e biblioteche andarono in gran parte disperse".

Nel malandazzo vi furono delle "vendite simulate" che riguardarono proprio questo convento. In un libro del 1998 lo storico Stefano Barelli afferma che questo aspetto "presenta ancora dei lati oscuri" e che "probabilmente" il convento sopravvisse perché fu fatto figurare, "per un certo tempo" secondo Broggini, come proprietà privata di due personalità influenti del tempo: del primo vescovo del Ticino, Giovanni Fraschina, e poi di un omonimo avvocato in vista di allora, giudice e granconsigliere del partito conservatore.

Da imprescindibile luogo di ascolto per chi ha bisogno, cosa diventeranno il convento e la chiesa? Una domanda più che legittima se guardiamo al destino di altri conventi ticinesi. Verrà convertito in albergo e poi in museo (il Lac) come sta accadendo a Lugano con l'ex convento degli Angioli? Oppure in mero magazzino e poi in una scuola (ex magistrale) come è avvenuto per quello di San Francesco a Locarno? Oppure ancora abbandonato e poi trasformato in una casa per anziani come per quello di Santa Maria delle Grazie a Bellinzona? Anche noi abbiamo posto la domanda ai frati i quali però, con proverbiale calma, non si sbilanciano: dicono che è ancora prematuro esprimersi, anche se vi sarebbero delle trattative private in corso, lascia trapelare Muther. Staremo a vedere ma intanto non possiamo che rallegrarcene.

Ciò che rimarrà - oltre al vigneto - è di sicuro la biblioteca, retta dall'omonima associazione e che, grazie agli sforzi di fra Callisto, ha reso più popolare il convento fino ad oggi. Si tratta del più importante e antico fondo librario privato e conventuale del cantone, con oltre 110mila volumi. Un luogo che dalla fine degli anni Sessanta dell'Ottocento, si legge nel sito dell'Associazione della biblioteca, ha vissuto una "lunga e felice operazione culturale". Nel 1979 l'architetto Mario Botta ha inoltre progettato la nuova sede e "Botta è stato geniale perché la biblioteca, interrata e ricavata con elementi estremamente semplici, è molto luminosa e rivolgendo gli occhi verso l'alto c'è un bellissimo lucernario che permette il contatto tra il cielo e la terra" ci dice entusiasta fra Muther.

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