Osteria Zoccolino

pubblicato da Ticinosette #33 - 16.8.14

Il ritrovo di Bellinzona è ormai solo un ricordo. Semplicità, poesia e libertà artistica non sono bastate a tenerlo in vita. E con lui un altro “pezzo” di cultura popolare diventa ricordo...

Dal ciottolato rosa m'avvicino al cinque di piazza Governo, poco lontano dalla foca del Remo Rossi, dove per la gente della piazza di questa sonnolenta cittadina, il giovedì sera non è più giorno qualunque. L'osteria Zoccolino è l'ultimo baluardo di una cultura popolare che, anche qui, s'appresta a cambiare per sempre. La memoria forse c'inganna ma non la storia di questa casa a tre piani, banale forse da fuori, con le sue persiane verde scuro, il balconcino riparo per fumatori nei giorni di pioggia, appiccicato ad una facciata grigia ma tutelata. E al suo interno...

Laboratorio del tempo
"L'immobile era del papà della moglie di Rossi e qua c'era un laboratorio dove si costruivano le zoccole" mi racconta Alfonso Zirpoli, fotografo, personaggio verace e fantasioso come pochi in città. Lui che (storico) oste s'è fatto, ti direbbe "coraggio e siedi là in quel posto vuoto; io sono un oste è ben vero, ma sono anche un tuo amico". (1) La conferma di quegli zoccoletti di betulla che, col boccalino, furono simboli di mediterraneità pei nordici, mi giunge dalle foto ingiallite del Bonzanigo di Bellinzona e dalle cronache del "Sigis" Gaggetta: zoccoletti che "attendono ora nella vetrina dello 'Zoccolino' di seguire la loro sorte umile e provvida ad un tempo". (2)

Ottant'anni dopo di lui eccomi a scriverne: ah, i casi della vita! "Nell'immediato dopoguerra col laboratorio c'era già una mescita di vino e di birra. Ma la volontà di Rossi era che questa sua casa di Bellinzona venisse vissuta da una persona creativa ed io, essendo stato l'ultimo suo fotografo, trent'anni anni fa ho avuto la possibilità di usufruirne" racconta Zirpoli.

Aperitivi in musica
"Gli uomini della musica che non mancano mai in queste osterie (...)" scriveva Mario Puccini nel suo omaggio, e qui "è facile veder cominciare, ma quanto a finire, ce ne vuole". Oste, vicinato e polizia lo san bene. Musicanti d'ogni sorta, il canto a squarciagola dell'Orelli, la fisarmonica del Bianchi, il rock dialettale del Del Don, il sax della Julie, e ora il blues del Battiston che ci scalda il ventre. Nessuno più del Bibo, storico cliente, ne sa qualcosa: "con l'Osserita (un'ex gerente, ndr.) ho ideato gli 'apero in blues' per dare continuità a 'Piazza Blues'. Per non creare concorrenza con altre proposte, abbiamo deciso di iniziare la musica dal vivo alle 19: una novità assoluta in città ed è stato subito un successo!" mi spiega.

E s'andò oltre: "proposi ad Alfonso di organizzare delle mostre fotografiche in 'tema blues'. Lui pensò di portare i musicisti nel suo studio sopra il bar dopo i concerti". Ritratti di volti leggendari nella capitale che fu del blues, ma che ancora campeggiano sui muri dell'osteria, che ti fan capire che, qui dentro, la sola cultura nostrana sta stretta.

Un luogo di cultura
Nella terrazza interna i più affezionati, come Gualtiero, pittore e scultore cittadino, che qui conobbi parlando di isole delle Grecia, ricordano. "Sessant'anni fa venivamo qui in bicicletta da Carasso, perché c'era il 'footbalino', il juke-box e... la cameriera! Qui c'è stato un bellissimo periodo di musica e di gastronomia, soprattutto con la signora Bice Columberg, una maestra nel campo! Alfonso è fatto un po' a suo modo, però ha saputo catalizzare questo ambiente".

Calderone d'aromi del qui mediterraneo di Mario e dell'altrove agro-dolce, speziato e piccante di altri; di folli ricette di uno scienziato tedesco, di country d'America, di vernici d'ogni tipo, di eventi poetico-letterari moderati dal "Baco" e finiti anche male, quando "c'era stata una discussione tra due spettatori e ho perso la calma, cominciando ad insultarli ed è successo un casino! Ma è stato abbastanza divertente" ricorda. Marcello, stessa ora stesso vinello, con malinconia mi dice che "negli anni '90 Giovanni Spadolini qui ha voluto provare il "caffè svizzero"! Poi ci fu la cena con Marco Borradori e il figlio di Che Guevara: spiegargli cosa fosse la Lega dei ticinesi mi è costato un po' di fatica!".

Lasciarsi alle spalle
Da un annetto, dopo l'Alfonso, è il giovane Giona l'oste, credo l'ultimo. Restiamo umili, gli aneddoti si perdono nel filo della memoria che non ci appartiene. Crocevia di personaggi e personalità, di mestieri e culture, di vino nostrano e birra cubana, di eremiti venuti d'Israele in bicicletta, di poeti e cuochi d'Ungheria come Janos, di attori italiani come il Boni e l'Alberti. Qui "non ci sono solo quelli che 'se la tirano un po'" dice Elena, cliente da vent'anni. Poi si vedrà. Ogni grande avventura finisce.

C'era la professionalità di Pinto e c'è il sorriso di Anna la cubana, c'erano i sabati musicali di "quel che resta d'ascoltare", ci sono gli "anfratti bui delle osterie dormienti" della Merini, la cantina dei vuoti e dei salumi. C'è il crocifisso rosso d'artista e il bar di lucette come a Natale, i volti dell'Africa dello Zirpoli e le sfuriate come temporali estivi. È esistito un perimetro di poesia, coi suoi "cani festosi, che nessuno sa di chi sono", coi suoi "bambini nudi con in mano un fiasco impagliato" scrisse il Saba. Oh, son certo, se il Rossi fosse ancora in vita, sarebbe fiero di tutto questo!

Note:
(1) Da "Osterie popolari a Riga", di Mario Puccini, Illustrazione ticinese (n. 27/1940).
(2) Da "Industrie nostre: la calzatura tipica della gente ticinese - gli zoccoli", Illustrazione ticinese (n. 13/1935).

Reazioni:
"Caro Marco, ottimo il servizio sullo Zoccolino! Molti mi hanno chiamato anche per quella foto con il bicchiere in mano..." (B. V., tramite Facebook, 18.8.14);
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