Piccoli imperatori

pubblicato da Ticinosette #35 - 26.8.2016

I bambini crescono sempre più viziati, esigenti e prepotenti. Un'allarmante sindrome per gli esperti?

Li chiamano “bambini imperatori”, nei paesi anglofoni “pampered child”, “Me Me Me Generation”. Sono i pargoli che sembrano conoscere solo le due famose parole, “io voglio...”, con cui esigono, reclamano e, se non soddisfatti, scatenano sceneggiate e capricci a non finire che irritano i genitori (e non solo), che spesso non sanno più come raccapezzarsi. Per molti studiosi è una vera e propria sindrome. Negli Stati Uniti è stato coniato un aggettivo che ormai dilaga nei media: si parla di bambini affetti da “affluence”, cioè l'acronimo di “affluent” (ricco) e di un vero virus, quello dell'influenza (“influence”).

Madri e padri si fanno in quattro per esaudire le richieste di “piccoli re” e di “principessine” comprando loro oggetti alla moda, oppure aiutandoli a fare cose che potrebbero benissimo fare da soli. Si corre qua e là per acquistare il paio di scarpe o la borsetta firmate, si regalano aggeggi elettronici ormai diventati status symbol, in primis il cellulare, i genitori ubbidiscono alla figlia e la iscrivono a danza perché in tv il ballo è di moda, oppure a calcio perché quello dei calciatori sarebbe il modello da seguire ecc. Inoltre quante volte capita di vedere per strada il genitore chino ad allacciare le scarpe al bambino? O a chiudergli la cerniera della giacchetta nuova? Sono questi, dicono gli esperti, atteggiamenti educativi di genitori eccessivamente indulgenti, permissivi, premurosi, che possono rivelarsi un'arma a doppio taglio.

Dagli adulti poca autocritica
Quanto sia diffuso il fenomeno in Ticino è difficile dirlo, ma è certamente presente anche nella nostra società. Per esempio la scorsa primavera in Svizzera era ritornato il dibattito sul cosiddetto “ceffone educativo”, pratica alquanto diffusa un tempo ma oggi controversa, se non tabù. In Ticino alcuni articoli di stampa fecero parecchio discutere la generazione di adulti e genitori.

“Era il tempo degli anni '60” affermava una donna in un blog, “ai figli si insegnava che non tutto era dovuto, non eravamo messi sotto una campana di vetro. Invece ora si vedono sempre più genitori nevrotici succubi della figliolanza”. Un'altra signora le fece eco sostenendo che “oggigiorno vedo una Lugano in cui vivono tanti giovani così maleducati e bambini capricciosi (…). Credo che oltre all'educazione ricevuta in casa è colpa della società odierna”. “Tutti sempre angelici, poi a un anno gli date l'I-Pad, a due o tre hanno tutti il tablet e a sette tutti hanno il telefonino e internet e youtube a disposizione” criticava un signore.

Un altro rimpiange i tempi andati, perché senza schiaffi “avremo bambini ancora più maleducati, viziati e arroganti di quello che sono già ora. Ai nostri tempi bisognava rigare dritto”. Ma tant'è, serve a poco rimpiangere il passato quando, come si dice, il latte è già stato ampiamente versato. Che fare allora? Si può parlare di “troppo amore” o anche questo è un approccio sbagliato? Di chi è la “colpa” e, soprattutto, si può rimediare e come?

Una questione di priorità
Una prima distinzione, suggeriscono gli esperti, va fatta già con la parola “viziare”. Infatti si può viziare un bambino ricoprendolo di oggetti, quindi attraverso il consumismo, oppure con le emozioni e quindi le parole, magari lodandolo di continuo, dicendogli sempre di sì, imponendo poche regole, organizzandogli gli spazi di tempo o privandolo di libertà, facendogli trovare sempre la proverbiale “pappa pronta” ecc. Non c'è poi da stupirsi, dicono gli esperti, se quando provano rabbia, frustrazione o delusione rimediano con lo shopping grazie alla generosa paghetta, o che ad un rifiuto rispondono con una crisi isterica, che manchino di empatia verso gli altri o, ancor più grave, abbiano difficoltà ad arrangiarsi.

Secondo la psicologa americana Maggie Mamen, autrice del libro “Le regole che fanno crescere” (Piemme, 2009), in pratica “viviamo in una società che ruota attorno ai bambini, in cui i loro desideri e le loro richieste hanno priorità rispetto all’armonia coniugale o familiare, alle considerazioni di natura economica, all’equilibrio stesso della coppia, alla semplice cortesia, al tranquillo divertimento, al rispetto e al buon senso. E così i bambini non imparano strategie attive o creative per risolvere i problemi, non imparano a essere resilienti e responsabili, né a costruire una gamma di risorse interiori per gestire stress, perdita, fallimento o delusioni. In altre parole, crescono viziati”.

Colpa dei genitori?
Ne abbiamo parlato anche con uno psicologo ticinese, Luigi Gianini, che chiarisce: “parlerei piuttosto di bambini succubi di atteggiamenti genitoriali vizianti” ci dice, “e quindi generatori di uno stato di eccessiva dipendenza. Il bambino non nasce 'viziato' ma lo diventa a causa del modello educativo che riceve. Ciò è dovuto a un atteggiamento genitoriale troppo accudente che impedisce l'autoresponsabilizzazione, quei processi di acquisizione della sicurezza di sé, quindi permane uno stato di dipendenza dai genitori”.

“Si assiste così” continua lo psicologo, “al mancato confronto col concetto di rischio, lo si sopprime e si sviluppa una sorta di 'attaccamento insicuro', impedendo l'attivazione di atteggiamenti che promuovono in noi la capacità adattiva alla vita. Al contrario il fatto di non avere tutto pronto aumenta la capacità di adattamento di fronte alle incognite, agli imprevisti della vita, alla ricerca di soluzioni di fronte a situazioni aperte e non predefinite”.

Persino la creatività ne guadagna, perché quando si ha troppo o si è sempre riveriti, vengono a mancare gli stimoli del doversi e sapersi arrangiare, inventando, provando, semplicemente ragionando. I bambini viziati sarebbero il risultato di un'educazione sbagliata e di obiettivi (o priorità) mal posti in famiglia e nella società?

I vantaggi del "no"
Secondo alcuni bisognerebbe preoccuparsi maggiormente della faccenda, perché un bambino viziato può diventare anche violento, coinvolgendo tutta una rete di servizi ed istituzioni che vanno ben oltre la famiglia e la scuola, come gli ospedali, i tribunali, ecc., generando quindi ulteriori costi alla collettività.

Per questo persino l'Associazione svizzera degli infermieri, sezione Ticino, nel suo periodico si è occupato del tema. “I bambini viziati e quelli con carenze affettive” si legge, “giungono agli stessi atti di violenza. Infatti, più i genitori sono assenti, più si colpevolizzano, più diventano permissivi, acquistano loro degli oggetti o gli aumentano la paghetta, più i giovani diventano esigenti e onnipotenti, più le tensioni crescono e inizia l’escalation verso la violenza”.

Ciò non significa ovviamente che i bambini viziati sviluppino per forza atteggiamenti violenti, ma che un'educazione che contempla anche la dimensione del “no”, del rifiuto e della privazione, dando le dovute spiegazioni e aiutando il bambino a ragionare, è molto più utile per “imparare a soffrire”, una componente fondamentale della crescita in una società complessa come la nostra.

Come uscirne?
Ai genitori la Mamen dice che “possiamo davvero essere più strutturati e avere maggiore controllo sui nostri figli senza diventare necessariamente autoritari, a patto di continuare a dare loro l’ambiente attento di cui hanno bisogno”. Proprio come nel film “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” in cui i bambini viziati non arrivano tanto lontani, anche i genitori troppo indulgenti rischiano di tirarsi la zappa sui piedi.

“C'è chi lo fa perché è ansioso, o perché ha acquisito lui stesso un'educazione molto improntata sul materialismo, oppure c'è un meccanismo di iper-compensazione in chi ha avuto poco e vuole dare tutto” spiega dal canto suo Gianini. Quali i consigli allora? “Nell'apprendimento bisogna accompagnare, responsabilizzare sistematicamente, evitare di fare al posto del bambino quello che riesce a fare da solo. Bisogna lasciarlo sperimentare, proteggendolo tuttavia in situazioni in cui non è prettamente preparato a rischi eventuali, senza far mancare le dovute precauzioni oggettive in cui è necessaria una sorta di 'coaching', cioè un accompagnamento sufficiente per proteggerlo affinché riesca a districarsi nelle situazioni non definite”.