La cacca poteva fare più schifo

pubblicato da La Regione Ticino - 2.4.14

Gallerano e Ceresoli intensi e ironici nell'unica data in Svizzera al Foce. Ma la licenza di esagerare è stata usata troppo poco...

La bravura dell'attrice Silvia Gallerano in "La merda - Decalogo del disgusto", andato in scena lunedì sera al teatro Foce a Lugano, ci ha fatto dimenticare per un po' l'assenza in Ticino di spazi all'altezza per spettacoli tanto acclamati all'estero. Qualcuno ci spieghi come mai la cordialità allo sportello non è sempre moneta corrente, come mai nonostante la prevendita il pubbico abbia dovuto attendere in piedi per mezzora nell'afoso corridoio del teatro, ben oltre l'orario di inizio, senza poter entrare e sedersi; e infine come mai ai ritardatari è stato negato l'accesso nonostante, poche invero, delle sedie libere.
La Gallerano è seduta di spalle sul suo trespolo da circo, forse belva, forse foca. Sarà entrambi. Microfono alla mano, apre e chiude le sue gambe in faccia al pubblico, gli volta la schiena, senza mai apparire volgare, anzi, è quasi comica. Eccola sputare pian piano il buon testo di Cristian Ceresoli, più riflessivo e critico che ripugnante. Tre i monologhi, sulle cosce, sul pene e sull'Italia dell'apparire a tutti i costi e dell'uso strumentale del corpo femminile. C'è la competizione e l'arrivismo e c'è il corpo nudo di una donna comune che ci concerne tutti.
Se il messaggio di Ceresoli, alla sua prima vera sceneggiatura, è chiaro e presente per tutta l'oretta di spettacolo, potremmo chiederci se la nudità era davvero necessaria tanto non ci ha turbato nella sua banalità. O se sia soltanto un sotterfugio pubblicitario, dato che raramente si vedono così tanti uomini nei teatri ticinesi. I vari personaggi della Gallerano, bravissima nella sua schizofrenica interpretazione e nel gestire la tonalità della voce, vengono sbattutti in faccia, parole, concetti, aneddoti e battute sono mitragliate, conati di vomito che non sembrano fermarsi. Lei è piccola ma alta sopra quel trespolo, è bambina, ragazza, donna, strega, ma pur sempre figlia, persino uomo idealista, padre amorevole, disabile voglioso e onnipotente regista televisivo.
Profondamente insicura ma sicura di poter fare l'attrice per una pubblicità, subendo umilianti provini, le contraddizioni di chi soltanto ambisce al mondo dello spettacolo sono quelle di una giovane donna che vuole essere libera, ma è schiava dell'apparenza, del riconoscimento altrui; che vuole essere considerata solo per quella che è, ma che non è nessuno senza la tv. Il terzo monologo ci è parso il più convincente, gli altri erano assemblati bene ma forse un tantino scontati. Funziona il senso di svilimento della donna per farci riflettere, meno quello del disgusto anche quando, per ottenere la parte da "grassoccia", decide di mangiare anche le sue feci per ingrassare, per diventare ancora una volta denuncia, cioè scarto e rifiuto, la futilità della società dell'immagine.
Non è mancata la capacità di collegare l'ironia delirante alla denuncia sociale, l'ingenuità alla consapevolezza, sia nel conflitto madre/figlia, donna/uomo, sia nel caos che ognuno di noi porta dentro di sè. All'attrice milanese un meritato e prolungato applauso del pubblico, avvolta nel suo tricolore che solo in quel momento decide di rispettare. Usciamo quindi con la fortuna di essere stati gli unici in Svizzera a poter vedere un successo internazionale, qualcosa che qui in provincia nessuno oserebbe fare; col piacere di aver ascoltato e visto l'ira, l'alterazione e l'indignazione a teatro, temi più che mai oggi necessari, cari sia a noi sia a Ceresoli; ma anche un po' delusi rispetto alle attese di una maggiore irriverenza ed eccesso nel testo, più sconvolti e scioccati da una seppur ottima recitazione.