Centro sociale? Sì, ma non così

pubblicato da Corriere del Ticino - feb. 2016

Neuchâtel, anni '90. Musicisti occupano la “Case à chocs” per poter suonare. Il comune dialoga e sostiene. La gente ci va, la sede è sempre la stessa. Un'associazione con nomi e cognomi gestisce uno snack-bar, tre belle sale, 160 eventi l'anno. Si accettano proposte via e-mail. Risultato: la gente ci va.

Lugano, anni '90. Adulti occupano l'ex Molino per avere quello che non c'è. Il comune non capisce, tollera. La gente ci va, ma la sede non sarà mai definitiva. Un misterioso comitato gestisce due bar e due sale (belle o brutte, de gustibus), un tot di eventi l'anno tra anarchia, zapatismo, No-Tav!, anti-Rep, “lotte italiane”, attivismo, benefit. Presenza obbligatoria alle assemblee per ogni proposta. Risultato: la gente non ci va più. Sbaglia la politica. Mai esistita una “cultura dei centri sociali” ma mai gettate le basi per legittimarla.

Prima bisogna riconoscere e conoscere, cioè frequentare, quanti politici (di destra) l'hanno fatto? Mai cercato di capire l'occupazione, quindi espulsione dalla città, poi reintegro senza aver imparato nulla. Il centro deve stare in città, segnare un quartiere, catalizzare. Ora nuova strumentalizzazione.

Sbagliano gli attuali “molinari”. La novità è passata, l'entusiasmo è sparito, le proposte (pur legittime) interessano pochi. Imporre regole al comune è grottesco, atteggiarsi da “padroni” è antipatico.

Sbaglia soprattutto la società civile, che tace, snobba, quindi acconsente. Se il vicino, il nonno, la mamma, lo studente, il politico, il turista frequentasse, la politica avrebbe legittimato da un po'. Ci sarebbe un'altra opinione. E avremmo un'associazione, una cooperativa, “controcultura” in un sito attraente, estetico, organizzato, autosufficiente, multifunzionale, igienico.

Invece c'è un gioiello in rovina, meta solo di adolescenti in fase di ribellione, tanti adulti delusi e rassegnati. Nessuno ha colto un potenziale enorme. È questa una città?