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Ombre sudcoreane sul LAC

pubblicato il 10.2.2015

La prudenza sembra giustificata sulla vendita e il ri-affitto del centro culturale dopo le “avances” dei due gruppi sudcoreani Hana Financial e Samsung....

La prudenza del Municipio di Lugano, e soprattutto della capo dicastero cultura Giovanna Masoni Brenni, per l'ipotetico acquisto e ri-affitto del Lac sembra giustificata. Non solo per motivi finanziari legati alla controversa formula “sale and lease back”, un tipo di leasing nato negli Stati Uniti e molto criticato, tanto da vietarlo dal 2004 anche per motivi fiscali. In Europa è legale, di recente è stato utilizzato anche nel settore pubblico in Spagna, in Germania, in Inghilterra, ma anche in Svizzera come a Zurigo, spesso per vendere e ri-affittare dei servizi, delle strutture e degli immobili pubblici.

Interessi sospetti
Sono note le ambizioni sudcoreane di eguagliare prestigiosi musei occidentali come il “Moma” di New York o la “Tate Gallery” di Londra. Perché allora interessarsi ad un centro culturale in Svizzera, a Lugano? Perché voler comprare una struttura nuova, ancora chiusa, di cui poco si sa e il cui potenziale artistico e culturale è ancora tutto da valutare?

C'è anche un lato oscuro secondo cui in Asia l'arte “servirebbe soprattutto a lavare i soldi sporchi o a corrompere i funzionari”, perché è un mercato “più giovane e meno regolato”, sostiene un'inchiesta di “La Tribune”, soprattuttto in Cina e in Corea del sud. Per alcuni media locali sudcoreani, come “Korea Times”, non è un segreto che “i proprietari delle grandi imprese coreane raccolgono opere d'arte utilizzando fondi neri (…) ed è facile per evitare le tasse”.

In un'indagine del “New York Times” del 2013, il centro no-profit “Basel Institute of Governance” “ha avvertito sul volume di transazioni illegali e sospette che coinvolgono l'arte”, mentre secondo l'Ufficio federale della cultura il mercato dei beni culturali “si è allargato anche a persone per le quali essi sono (…) addirittura un mezzo per il riciclaggio di denaro sporco”.

Ciò sarebbe possibile per il fatto che le norme legali sono molto diverse da paese a paese, per la facilità di trasporto dell'arte e per la valutazione delle opere che può cambiare da un giorno all'altro.

Avances sudcoreane
Per il Lac era arrivato a Lugano un emissario della “Samsung Fashion Srl.” di Milano, filiale del gigante dell'elettronica Samsung. Un suo museo, il bel “Samsung Museum of Art” di Seoul (co-progettato da Mario Botta), e una sua fondazione (“Samsung Foundation of Culture”) nel 2008 sono finiti in uno scandalo di cui si è parecchio parlato in Asia.

Una gallerista avrebbe venduto alla direttrice del museo, moglie del magnate e presidente di Samsung, un'opera d'arte che sarebbe stata acquistata con dei fondi neri creati da Samsung tramite la fondazione. A “Korea Times” la donna ha detto di averla comprata e tenuta in custodia. Diversi galleristi hanno sollevato parecchi dubbi sulla possibilità di compiere tali illeciti, riporta nel 2011 “Korea Herald”, soprattutto quando vi sono di mezzo personaggi pubblici così noti.

La gallerista, arrestata nel 2011 per un altro caso di fondi neri, venne sospettata di accusare gratuitamente il museo per recuperare dei soldi.

A "Korea Herald" la fondazione ha detto di “non poter confermare” se aveva delle fatture in sospeso per l'acquisto o se c'entravano le opere in questione. Un portavoce del museo disse di non aver ricevuto alcuna denuncia ufficiale e che avrebbe confermato o meno l'accaduto “dopo aver esaminato la denuncia”. Oggi nel sito internet del museo non si trovano comunicati in merito.

Che invece Samsung si sia già macchiata di reati è assodato, riportano vari media tra cui “Forbes”. Nel 2008 il patron di Samsung è stato condannato “per appropriazione indebita ed evasione fiscale”, reati di cui si è assunto "piena responsabilità" ma ha evitato la prigione solo grazie a delle scuse pubbliche. Non è noto se vi siano dei rapporti tra questi suoi reati che hanno ingrigito l'immagine di Samsung, il mondo dell'arte, il museo e sua moglie.

L'altro gigante sudcoreano affacciatosi sul Ceresio per il Lac è “Hana Financial Group”, un ricchissimo fondo d'investimento che, secondo "tio.ch", avrebbe inviato una lettera di intenti di acquisto del Lac al Muncipio, riferiva la Rsi.

Anche presso Hana l'arte è di casa, in particolare presso l'affiliata “Hana Bank”, terzo gruppo bancario sudcoreano, che possiederebbe 4mila opere d'arte. Nel 2013 è finita nelle indagini del Servizio governativo di vigilanza finanziaria (Fss), riporta “Korea Herald”, per delle accuse di corruzione.

Prima il portale “Asian Banking and Finance”, poi nel 2014 “Yonhap New Agency”, riportano che l'ex direttore di “Hana Financial” è stato formalmente indagato, perché “sospettato di aver acquistato migliaia di opere d'arte a fini irregolari durante il suo mandato” di presidente della banca. L'accusa è legata ai profitti ritenuti illeciti dalla Fss che il controverso uomo d'affari avrebbe intascato dal 2005 al 2012. Da qui le maxi multe per mandarlo via, ma lui è rimasto in sella: il suo mandato dovrebbe scadere questo mese di marzo.

"Korea Herald" afferma che il controverso uomo d'affari avrebbe "spinto" la banca ad acquistare le costose opere d'arte perché sono "una forma non convenzionale di bene per una banca". Sul sito della Fss non vi sono riferimenti diretti al gruppo Hana.

“Hana Financial” ha respinto le accuse, sostentendo di aver comprato e immagazzinato le opere durante la fusione di due piccole banche una decina di anni prima. Non è noto a che punto siano le indagini.

Sulle accuse l'uomo d'affari ha dichiarato che "non posso credere che la Fss sia così inattiva da scavare soltanto in una sola compagnia", inoltre "sugli avvertimenti che mi riguardano, non ci bado molto" ma la multa alla banca è "eccessiva".