Nuovi media, stesso sport?

pubblicato da Ticino Sette #6 - 7.2.14

La diffusione dei nuovi media e delle reti sociali, l'uso che di essi fanno gli stessi atleti, starebbe cambiando il modo di comunicare lo sport al pubblico...

Nel 2006 il famoso e controverso ciclista statunitense Lance Armstrong sarebbe stato il primo atleta professionista del mondo ad usare Twitter. E sempre lui nel 2009 è stato il primo a rivolgersi direttamente ai suoi sostenitori invitandoli ad una biciclettata. Sembrano gesti insignificanti, ma secondo molti osservatori il fatto che un atleta si esprimesse pubblicamente senza la mediazione dei giornalisti, anticipando in sostanza opinioni e commenti, "sostituendo" il loro lavoro, ha rappresentato una prima volta nella storia dello sport. Da allora moltissimi atleti dicono la loro su Facebook o Twitter, nella pausa, dallo spogliatoio, a fine incontro, e il fenomeno si è talmente diffuso che alle recenti Olimpiadi sono state imposte precise condizioni per l'uso delle reti sociali.

Ci troviamo forse di fronte ad una "rivoluzione" del giornalismo sportivo? La prudenza è d'obbligo. Se è vero che l'accesso dei tifosi alle vite dei loro beniamini è senza precedenti, non tutto quanto "twitta" o "posta" un atleta, e i cronisti lo sanno bene, è una notizia o può essere usato come fonte. Tuttavia, il cosiddetto "web 2.0" (ossia i nuovi media quali Youtube e Google e le reti sociali), qualche domanda seria dovrebbe suscitarla.

L'inarrestabile rete
Partiamo da alcuni fatti. Nel 2012 Facebook aveva un miliardo di utenti nel mondo, Twitter 500 milioni, tra cui ovviamente molti atleti, tifosi e gli stessi giornalisti. Lo sport (inteso come gare di atleti con del pubblico interessato e finalizzate ad un premio o alla vittoria) è un fenomeno sociale che, tenuto conto dell'enorme popolarità di cui gode e l'attenzione, anche discutibile, accordata dai media globali, non poteva non presentarsi anche nelle reti sociali. Inoltre, il "web 2.0" ha trascinato con sé la maggior parte degli editori e con essi anche molti giornalisti: essere presenti nella rete è essenziale per qualsiasi media e utile al lavoro di molti giornalisti.

Di fronte a questi fatti, premettendo che nessuno sa quale sarà lo sviluppo del "web 2.0", possiamo tuttavia elencare alcune ragionevoli previsioni. La prima è che gli utenti delle reti sociali tenderanno ad aumentare sempre di più; la seconda è che difficilmente non si informerà più (o anche solo di meno) delle gare sportive e dei loro protagonisti; la terza è che i media e i rispettivi editori continueranno ad essere presenti nella rete. In questo contesto come si posiziona quindi il giornalismo sportivo, ticinese e non? Sfrutta le reti sociali, come e perché?

Twitter o Facebook?
Rispetto a paesi come Stati Uniti, Canada, Francia, Regno Unito, Spagna e Australia, dove Twitter è la rete sociale più utilizzata (anche dai giornalisti), in Svizzera primeggia nettamente Facebook. Detto questo, ciò non indica nulla se non delle motivazioni personali e/o culturali del singolo cronista. In altre parole, ciò non significa che il "web 2.0" trovi sempre e ovunque una sua funzione chiara e definita nel lavoro quotidiano dei cronisti. Anzi.

In Australia, ad esempio, Twitter è sì usato quotidianamente da quasi tutti i giornalisti per "monitorare le notizie", ma "in modi diversi" ed "è ancora una piattaforma nuova per i giornalisti sportivi e non ci sono regole concrete o migliori strategie su come dovrebbe essere usato". Facebook, invece, è usato da "una minoranza" perché è spesso ritenuto un "media privato": i cronisti cioè "non userebbero qualcosa scritto in una pagina privata di Facebook" a mo' di fonte. Questo significa che, se da un lato ogni giornalismo (ogni giornalista) è figlio di una specifica cultura (scrivere o parlare di calcio in Italia non è come farlo in Svizzera), dall'altro la storia insegna che ogni nuova tecnologia, in qualsiasi settore professionale, non è mai stata accolta in modo univoco, ma almeno triplice e che potremmo generalizzare così: rifiuto, entusiasmo, indifferenza.

Un altro aspetto può essere l'età dei cronisti: quelli più giovani sono tendenzialmente più competenti, ma se in Italia l'80enne Gian Paolo Ormezzano, ad esempio, storico ex direttore di "Tuttosport" e primatista nazionale di cronache olimpioniche, non nasconde la sua passione per il "web 2.0", ciò non vuol dire che anche i redattori nostrani siano della stessa partita.

"Non sono i canali adatti"
"Confesso di essere all'antica" ci dice Tarcisio Bullo, capo redattore sport al "Corriere del Ticino". Personalmente, afferma, "sono iscritto a Twitter e Facebook, ogni tanto li consulto, ma distrattamente". Per lavoro, afferma, "mi pare che Twitter stia diffondendosi sempre di più, ma ritengo che non siano i canali adatti per fare un'informazione sportiva completa ed esauriente. Possono però servire come complemento, per attirare l'attenzione, per dare una notizia in anteprima, per 'portare' sui canali 'tradizionali' lettori o spettatori interessati ad andare oltre il fast-food mediatico".

Il suo collega Marzio Mellini de "La Regione Ticino" addirittura non ha profili personali su Twitter o Facebook: "non ho ben capito se la mia presenza in chiave 'social' sia poi così indispensabile". E continua: "al momento ogni redazione lancia (su Twitter e Facebook, ndr) i contenuti principali dell'edizione sulla quale lavoriamo giorno per giorno". Per fare informazione, precisa Mellini, "solo in alcuni casi in ambito mediatico il profilo Twitter del redattore o del giornalista è già stato 'sdoganato' come tale. Probabilmente il futuro è anche questo, ma il presente pone il redattore della carta stampata di fronte all'amletico dubbio: privilegiare l'immediatezza della notizia (a scapito poi della 'freschezza' della stessa quando appare l'indomani sulla versione cartacea) o preservarne l'esclusiva fino alla pubblicazione del giornale? Un dilemma non da poco sul quale chi fa il nostro lavoro è giusto che si chini".

Tradizione vs modernità?
Serissimi studi affermano che "le nuove tecnologie come Twitter hanno cambiato la natura della comunicazione tra gli atleti e i tifosi di sport", offrono "ai tifosi un accesso senza precedenti agli atleti professionisti e alle loro vite personali e sociali". È chiaro che in questo non c'è solo del gossip, dunque perché mai i giornalisti dei media tradizionali (stampa, tv, radio) non dovrebbero tenerne conto più seriamente? È solo una questione di tempo oppure c'è diffidenza? In Ticino, eccetto forse per la politica, si discute e si informa molto più di sport che di altro. Se consideriamo il nostro piccolo territorio, stupisce che lo sport professionale goda sempre di una certa vivacità, nonostante scandali e fallimenti societari.

Ora, se questo sembra più dettato da altri fattori quali, innanzitutto, il diffuso benessere e lo storico campanilismo regionale, è alquanto sorprendente che il "web 2.0" risulti ancora così estraneo al giornalismo sportivo rispetto ad altre realtà a noi vicine. L'impressione è che nuovi e "vecchi" media siano ancora molto concorrenti, anziché complementari o che, addirittura, come prevedono alcuni, il "web 2.0" faccia nascere un nuovo linguaggio, un "nuovo giornalismo". Persino negli Stati Uniti le cosiddette "redazioni multimediali" o "integrate" sembrano più un concetto che realtà: "ovunque le redazioni si sono di fatto sviluppate in 'redazioni integrate', ma ad un ulteriore approfondimento si è scoperto che la tradizionale divisione del lavoro è praticamente rimasta inalterata".

Immediatezza vs accuratezza?
Per il sociologo e giornalista italiano Francesco Pira ci troviamo già in una "nuova era per il giornalismo sportivo" e "i giornalisti (...) dovranno trovare nuovi modelli perché i protagonisti dello sport, in maniera diretta su Facebook, Twitter o Youtube, postano dichiarazioni o materiali che anticipano quanto tv e radio diranno o quanto scriveranno i quotidiani l'indomani".

Che ne pensa Bullo? "Sono abbastanza d'accordo, ma con alcuni distinguo. Il primo concerne i media online, per i quali sembra contare essenzialmente la velocità di reazione di fronte ad una dichiarazione di un atleta. Io sono amante del buon giornalismo, quello che sa prendersi il tempo per riflettere e magari anche per spiegare al pubblico certi retroscena. Il secondo concerne il contenuto delle dichiarazioni del campione: costretto a stare dentro il centinaio e poco più di battute concesse da Twitter, è inevitabile che il suo pensiero risulti incompleto e spesso anche superficiale. Al pubblico va bene lo stesso?".

Secondo Mellini "il giornalismo online privilegia l'immediatezza e non presuppone, quindi, l'approfondimento tipico invece di chi non potendo più 'pretendere' di dare la notizia, deve profilarsi per come la commenta e la rende fruibile anche a chi già la sa". Ma, aggiunge, "chi scrive su un giornale ha il dovere di andare a fondo della questione e di riferirne in modo curato".

L'alba di un nuovo linguaggio?
Questo scetticismo, diciamo, sarebbe giustificato dalla tecnologia stessa che consente di pubblicare in pochi secondi. "I media online pubblicano in tempo reale e dunque diventano imbattibili quando c'è di mezzo una notizia" osserva Bullo. "Oggi chi ha in mano uno scoop nei giornali classici non può più permettersi di tenerlo per sé, perché il rischio di 'perdere' l'esclusiva è troppo grande. Dunque passerà la notizia all'edizione online del suo giornale, riservandosi di svilupparla il giorno dopo sulla versione cartacea".

Per Mellini "l'immediatezza e una certa forma di sensazionalismo che spingono a ottenere i famigerati 'clic', non sempre sono garanzia di qualità, sia nel linguaggio scelto sia nell'approfondimento dei contenuti, che richiedono tempi che chi opera online non ha". Pare di capire che la frattura tra cartaceo e digitale, almeno dalle nostre parti, è ancora molto netta.

Ma i nuovi media sono davvero poco adatti ad una informazione curata? L'immediatezza dell'online è inconciliabile con l'approfondimento? In realtà gli esempi non mancano. In Italia "calciomercato.it" diretto da Eleonora Trotta è riconosciuto per la sua qualità e attendibilità. Lo stesso vale, ad esempio, per quello brasiliano "lancenet.com.br", tant'è che "nessun giornalista" di "Lance!" vorrebbe "lavorare per l'edizione cartacea (140 mila copia al giorno) anziché per quella online (8 milioni di visite)". Questo implica non solo dei cronisti competenti e attenti, ma anche e soprattutto un nuovo linguaggio: trasporre semplicemente all'online quello che sarà scritto sulla carta, dicono gli esperti, non può funzionare.

Lo diceva già nel 2007 Jeff Jarvis, giornalista e docente statunitense: "cover what you do best, link to the rest" (copri quello che sai fare meglio, collega il resto). Serve cioè un linguaggio, spiega la Trotta, "più moderno", con "molti più neologismi e la lettura deve essere più veloce e fruibile rispetto a quello dei giornali cartacei. Oltretutto è fondamentale l'interazione con video e audio".

Quale futuro?
Già, l'interazione, ma quale e come? "In una prima fase" afferma Fabio Ciotti, italianista all'Università di Torino, "ogni nuovo medium comunicativo cerca di utilizzare i linguaggi e i modelli comunicativi delle tecnologie che lo precedevano. Ma successivamente le caratteristiche tecniche del nuovo strumento influenzano tale linguaggio, fino a modificarlo profondamente o a produrne uno nuovo".

Ancora oggi, sostiene Pasquale Mallozzi, docente di scritture giornalistiche online alla Sapienza di Roma e giornalista del "Corriere dello Sport", "le forme della cultura digitale sono completamente sconosciute nelle redazioni tradizionali, che si vantano ancora di un giornalismo antico nelle forme e nella struttura mentale che c'è dietro". "Non si fa altro" insiste, "che riportare pezzi di stampa, pezzi di tv, pezzi di radio sull'online, dimenticando che c'è bisogno invece di un nuovo modo di raccontare le cose e di tenere insieme i diversi linguaggi".

In particolare con un occhio di riguardo ai giovani e alle loro esigenze di futuri lettori, anche perché se l'online starebbe ancora cercando il suo terreno, il cartaceo invece ne sta perdendo: l'erosione di lettori è una tendenza globale e non si vede perché non dovrebbe riguardare anche la Svizzera, benché vanti un tasso di lettori di giornali tra i più alti al mondo. Quale futuro dunque per il giornalismo sportivo?

"Faccio già fatica a immaginarmi come sarà fra due anni!" risponde Bullo. "Di una cosa però sono certo, e citerò il titolo di un articolo di Gianni Mura: 'Coraggio, cari giornalisti, il meglio è passato!'". Per Mellini, semplicemente, "non si può fingere che nulla sia cambiato, né ci si può limitare a salire sul carro dell'online senza preservare i canoni che hanno fatto la forza del giornalismo sportivo e non solo".

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