Mi prendo un anno sabbatico

pubblicato da Ticinosette #46 - 11.11.2016

In un paese come il nostro in cui lavoro ed efficienza sono al primo posto, non sembra essere una consuetudine quella di prendersi un lungo congedo...


Quindici, venti anni fa, andava di moda l'Australia per studiare l'inglese e rinfrescarsi le idee, subito dopo l'università o dopo i primi anni di lavoro. Ma c'era anche il bancario che ha mollato tutto per girare i Caraibi e l'Indonesia, la presentatrice televisiva volata a New York inseguendo il sogno della recitazione ecc. Nel 2012, è forse il caso più popolare in Ticino, l'ex comandante della polizia cantonale, Romano Piazzini, si licenzia e farà il giro del mondo in barca a vela con la moglie per cinque lunghi anni. Ma oggi? In questi tempi di maggiore insicurezza in vari ambiti, che ne è dunque di una scelta, mai facile e spesso da concertare, come un congedo non pagato?

Da noi un po' meno
L'anno sabbatico, scrisse qualche tempo fa la stampa locale, “va tanto di moda nei paesi anglosassoni, ma anche Olanda, Svezia, Australia e Nuova Zelanda dove è molto diffuso. Da noi un po' meno. La legge sul lavoro non prevede nulla. E le grandi aziende raramente sono confrontate con richieste di questo tipo. Ma tra i giovani piace molto, soprattutto per imparare un'altra lingua o fare un'esperienza all'estero”. Ciò non sorprende poi tanto, essendo la Svizzera un paese tra i più efficienti al mondo: gli svizzeri amano lavorare, operosi, puntualissimi, fedeli all'azienda e attaccati alla pensione.

Il fatto che abbiamo più volte votato contro l'abbassamento dell'orario di lavoro settimanale, o persino contro più settimane di vacanza, la dice lunga. Così non appena si paventa il desiderio, o talvolta la necessità, di staccare per un po' ecco sistematicamente almeno tre ostacoli. Il primo è il datore di lavoro: c'è chi è più “sensibile” a queste richieste e chi meno, chi può fare a meno di uno o più dipendenti per più mesi e chi no. Il secondo è la propria soggettività e le componenti legate al carattere, ai desideri, alle possibilità economiche, alla situazione famigliare ecc. Il terzo ostacolo concerne invece la percezione da parte dalla società: chi stacca è un fannullone, un pazzo o un avveduto?

C'è azienda e azienda
Per i sindacati un congedo dovrebbe essere molto spesso un diritto, ma la legge svizzera non prevede alcun “anno sabbatico”. Ecco quindi il lavoratore nella “giungla” dei datori di lavoro: bisogna negoziare con ognuno di loro. Facendo eccezione dei liberi professionisti, se c'è un datore di lavoro piuttosto generoso e comprensivo in questo ambito allora è lo Stato (cantone o Confederazione). Eppure non mancano le sorprese.

Infatti mentre la legge sui dipendenti cantonali (vedi art. 46), e federali, contempla la possibilità di congedi a carico del lavoratore, negli ultimi 15 anni (dal 2000 al 2015), nonostante l'aumento di un migliaio di persone occupate nell'amministrazione cantonale, le assenze per “congedo non pagato” anziché aumentare sono... diminuite (vedi i Rendiconti governativi)!

Nel privato è tutta un'altra storia. “Poche imprese possono permettersi di fare a meno di un propria risorsa per un periodo così lungo. E’ quindi più facile che siano presenti in aziende di una certa dimensione. “L'anno sabbatico è certamente uno strumento interessante, ma di certo non il più frequente” ci dice Stéphane Pellegrini, presidente del comitato “HR Ticino”, l'associazione di specialisti nelle risorse umane.

Ma volere è potere. Brian e Lisa, 30enni di Bellinzona, lui fisioterapista licenziatosi, lei infermiera a cui è stato concesso un congedo, ai media hanno raccontato il loro giro del mondo in sei mesi: “abbiamo voluto dare la priorità alle necessità personali. La stabilità del posto di lavoro non è tutto. A noi faceva più paura l’idea di vivere con dei rimpianti” disse Lisa.

Nelle aziende globali è diffusa tutta un'altra filosofia. Nel 2011 una rivista economica aveva riportato i casi di due multinazionali elvetiche. Ebbene, per un colosso bancario l'anno sabbatico “è un modo per tenere i collaboratori eccellenti i quali, in altri circostanze, ci lascerebbero per realizzare i loro progetti”. Per una multinazionale farmaceutica “un buon equilibrio tra vita privata e lavoro aumenta la produttività. E un parametro importante per raggiungere questo equilibrio è una pianificazione flessibile delle assenze”.

Il caso degli studenti
“Gli anni sabbatici sono molto frequenti tra i giovani che ne fanno uso prima degli studi universitari o subito dopo. Oggi sono pure presenti, ma in termini decisamente più ridotti, in età più avanzata, quando il lavoro e lo stress portano a valutare se e come cambiare vita” ci dice ancora Pellegrini. Quantificare il fenomeno tra i 15-25enni è difficile, ci confermano vari uffici competenti. Non sembrano molti i giovani che si prendono una pausa tra gli studi. Tra chi ha terminato la scuola media nel 2015 si contavano poco più di 150 ragazzi che hanno optato per il “volontariato” o “altre scelte” invece del liceo o dell'apprendistato.

La propensione sembra maggiore tra i liceali. Nel 2001 uno su cinque aveva interrotto temporaneamente gli studi per corsi o soggiorni linguistici, oppure per “altro”. La 21enne Giolitta di Bellinzona aveva raccontato pubblicamente la sua esperienza: fresca di maturità liceale si prese un anno sabbatico per andare in Canada a studiare l'inglese. “Dopo tanto studiare, avevo bisogno di relax. Vedere un posto così diverso ti apre la mente, ti fa sentire meno provinciale. Un sabbatico così fa bene, credo che lo rifarò” disse.

La 20enne Diana, ex liceale a Mendrisio, su consiglio dei genitori, fece lo stesso tra Inghilterra e Germania “per migliorare la sua conoscenza di inglese e tedesco e prepararsi all'esperienza universitaria”. Luana, 17enne di Dino impegnatissima nell'automobilismo sportivo, nel 2012 si prese un anno sabbatico “per staccare un attimo la spina, riordinare le idee, concentrarsi sugli impegni scolastici e pianificare”.

Una scelta da meditare
Se, come ha affermato il sociologo di Ginevra Sandro Cattacin, staccare la spina "sarà comunque un trend sempre più marcato”, perché “il nostro sistema di lavoro butta via la gente più velocemente di un tempo e crea un senso di stress, di inadeguatezza”, è certo che si tratta di una scelta da valutare bene, ci conferma Jacqueline Castelnuovo, psicologa del lavoro presso lo studio di psicologia sistemica Schaad a Locarno.

Tra i vantaggi, dice, figura sicuramente “una crescita personale a livello culturale, linguistico e gestionale, un bagaglio di competenze e conoscenze che si può presentare al datore di lavoro”. Ovvero “un periodo di 'pausa' può essere benefico per concentrarsi su di sé e sui propri obiettivi, in modo da eventualmente dare una nuova direzione alla propria carriera scoprendo dei nuovi centri di interesse”.

Ma ci sono anche dei pericoli, annota Castelnuovo: “il più grande svantaggio di un lungo periodo lontano dal lavoro riguarda il rapido progresso tecnologico odierno: la persona rischia di non essere più aggiornata (…) e di ripartire quindi svantaggiata rispetto ai colleghi. Inoltre, un’esperienza poco o mal pianificata potrebbe causare un forte stress, una reazione di rabbia o delusione, senza contare lo spreco di tempo. Da non dimenticare, il potenziale calo di motivazione al rientro”.