Ma che bel film! Pubblico, critica e successi

pubblicato da Ticinosette #30 - 27.7.2018
Se un film sbanca al botteghino vuol dire che è un buon film? Nel 2015 “Star Wars – Il risveglio della forza” ha incassato nel primo week-end di programmazione 517 milioni di dollari in tutto il mondo, riporta “Rai News”. Si parlò di incassi record. Che vuol dire?

Che è stato il film più visto dell'anno (ma senza contare download e streaming) e che ha generato più guadagni di tutti (ma i prezzi dei biglietti non sono uguali ovunque). Quali sono dunque i criteri per affermare che una pellicola è (o non è) di qualità? E quanto conta il giudizio del pubblico?

Se il cinema è la settima arte allora ogni film è un'opera? In teoria sì, ma la qualità può variare molto altrimenti non esisterebbero, per esempio, i “Razzie Awards” (i premi USA dei peggiori film, attori, registi ecc.). Persino la critica perderebbe la sua funzione, ancora di più di quanto non l'abbia già persa oggi. Le opinioni divergono.

Tutte uguali ma...
“La domanda presuppone una considerazione: cosa si intende per un'opera cinematografica'?” ci dice Ugo Brusaporco, critico per “La Regione”. “Tutti i film sono opere cinematografiche, lavori cinematografici, anche se fatti in digitale” commenta.

E precisa che “se proprio si vuole distinguere possiamo dividerli tra pre e post televisione, perché la televisione ha segnato l’espressione, il linguaggio cinematografico, più di quanto avesse fatto il passaggio dal muto al sonoro o quello dal bianco e nero al colore”. Quindi? “Dunque diventa diverso valutare un film di Griffith o uno di David Lean, uno di Chaplin o uno di Tarantino, uno di Tex Avery o uno di Hanna e Barbera e così via” afferma il critico.

Per Mariano Morace, già critico alla “RSI” e storica penna sul Locarno Festival dal 1973, un criterio imprescindibile è l'immagine che il regista riesce (o non riesce) a portare sullo schermo. “Dobbiamo considerare che un film è un racconto per immagini” sostiene Morace, “anche se nella valutazione a mio parere viene prima il valore delle immagini e il loro rapporto con la storia raccontata, anzi è proprio questo rapporto che ne definisce il valore. La storia è importante, ma l’uso delle immagini ancora di più, e soprattutto le immagini non devono essere 'solo belle', ma funzionali alla narrazione”. Insomma, bisogna sapere mostrare e rappresentare.

Preferenze popolari
Chi premia o meno la bontà di una pellicola è anche il pubblico che paga per vedere un film in sala, o che riempie Piazza Grande a Locarno, dove lo spettatore comune ha la possibilità di dire la sua col “Prix du public”. Ma con quale peso? Poco, secondo Brusaporco.

“Non si può valutare genericamente un’opera cinematografica, se non amando il cinema e conoscendolo, e il cinema non è solo quello hollywoodiano o in genere occidentale” sentenzia. Insomma, serve competenza. “Ho appena visto un film di Singapore e se avessi usato criteri occidentali nel guardarlo mi sarei perso la sua poesia” dice. E dunque i film che passano in piazza sarebbero più “commerciali” e meno “opere d'arte”? “'Blade Runner' è un film di pubblico o artistico? 'Up' è un film di pubblico o artistico? In Piazza Grande sta bene il buon cinema” svicola Brusaporco.

Antonio Mariotti, critico al “Corriere del Ticino”, ritiene invece che la programmazione in Piazza “è rimasta un enigma irrisolto per molti direttori artistici del Festival. David Streiff ha avuto la fortuna di poter mostrare a Locarno il meglio di Cannes; Marco Müller è riuscito ad accaparrarsi le anteprime di diversi blockbuster americani. Dopo di loro molti tentativi, pochi riusciti”. Il motivo? “Il film ideale per Piazza Grande deve essere in grado di emozionare migliaia di persone tutte insieme, quindi qualità e quantità”. Ma non è un’utopia? “No, oggi le sorprese cinematografiche di questo tipo esistono. Speriamo di scoprirne a Locarno 71” dice.

Secondo Morace, semplicemente, “un film esiste se è visto da un pubblico, così come un libro esiste se ha dei lettori. Questo vale per tutti i film, dunque anche per quelli di Piazza Grande. Poi è certamente importante tener conto del tipo di pubblico che frequenta la Piazza, e nell’equilibrio tra questi due fattori sta la difficoltà (e la capacità) del direttore del festival”.

Ma a prescindere dal luogo di proiezione, appare evidente che tra il gradimento del pubblico e quello di una giuria di esperti c'è un abisso. Un esempio: nel 2014 a Locarno il “Prix du public” andò a una simpatica commedia svizzera tedesca (“Schweizer Helden”), mentre il Pardo d'Oro della giuria a un film filippino in bianco e nero della durata di cinque ore e mezza (“From what is before”). Fate voi. 

Sette curiosità da Locarno

Delle chicche svelate da alcuni giornalisti, tra cui lo “storico” del festival, Dalmazio Ambrosioni, autore del volume “Locarno – Città del cinema” (Dadò, 1998).

1. Lugano invidiosa
Il Festival inizia a Lugano nel 1944 e 1945, ma i luganesi bocceranno l'idea della nuova sede al Parco Ciani in votazione popolare. Tre mesi dopo Locarno si accaparra l'evento e non si fermerà più. “A Lugano si son mangiati le mani per decenni” ricorda Ambrosioni.

2. Arriva la Dietrich!
Nel 1960 sbarca a Locarno Marlène Dietrich anche se, ricorda Ambrosioni, dirà che “come attrice appartengo all’album dei ricordi”. Eppure “tutti rimarranno colpiti dal suo sguardo altero, dallo splendido vestito e, soprattutto, dalla sua lenta, fotografatissima discesa lungo lo scalone del Grand Hotel”.

3. Grazie architetto
Dopo il ’68 il Festival “è praticamente defunto, relegato in sala, al Kursaal, con poche decine di spettatori” ricorda Ambrosioni. Un concorso di idee permetterà all’architetto Livio Vacchini di proporre il mega schermo in piazza. Ma “la proposta è troppo nuova, non piace a nessuno”, ricorda Ambrosioni. Il resto è storia.

4. L'arte di arrangiarsi
Siccome mancavano i soldi per la nuova sede, la cabina di proiezione è tuttora composta da due piscine capovolte, prelevate da una ditta di Ascona, svela Ambrosioni, poi si ritagliò la porta d’ingresso e il foro per la proiezione. Et voilà! Un esempio di inventività ticinese.

5. Il tabù della televisione
Per ben cinque edizioni, dal 1983 al 1987, ricorda Ambrosioni, il Festival ospitava la sezione “TV-movies” dedicata alle produzioni televisive, diretta da Gian Franco Bertelli. Ebbe ottimi riscontri internazionali. E poi? “I puristi del cinema l’hanno affossata”. Mah...

6. Il primo Blockbuster
Una volta, ricorda il critico Mariano Morace, i film “commerciali” erano proibiti. La regola fu infranta nel 1977 dall'allora direttore Moritz De Hadeln, quando propose in piazza “The Car” di Elliot Silverstein, oggi considerato “un caposaldo” dice il critico. Il film fece scandalo perché, aggiunge, “giudicato bassamente 'commerciale'”.

7. I sequel non li voglio
Scarseggiano le star? Be', nel 2013 ci saremmo giocati Bruce Willis, Helen Mirren e John Malkovich, protagonisti di “Red 2”. Secondo una voce di corridoio, ci svela il critico RSI Marco Zucchi, la proposta del distributore sarebbe stata rifiutata dal direttore Carlo Chatrian, perché lui non sarebbe interessato ai sequel.