Un piano per il cantone

pubblicato da Ticinosette #22 - 22.6.2016 /
e da Collage # 2/16

Territorio - Il Ticino vanta un tasso di consumo del suolo tra i più alti in Svizzera. Quali le prospettive future per le zone abitate, industriali ed agricole? E qual è il grado di preparazione per l'apertura di AlpTransit?

Il territorio svizzero, come quello ticinese, è prezioso non solo perché è piccolo, ma anche perché è sempre meno quello su cui costruire. Nelle zone di pianura ogni secondo scompaiono 2,2 metri quadri di terreno coltivo, mentre in 24 anni “l'area residenziale da sola è aumentata del 44%, con un ritmo doppio rispetto alla popolazione”. Quindi, che fare del suolo ancora edificabile? Come usarlo?

Sono un po' le domande di fondo dell'iniziativa “per il paesaggio” lanciata nel 2008, che mirava alla “protezione delle terre coltive, alla separazione tra aree edificabili e non edificabili, allo sviluppo degli insediamenti (…) nelle zone già costruite”. Il governo federale condivise le preoccupazioni ma propose nel 2010 un contro-progetto tramite la revisione parziale della legge federale sulla pianificazione del territorio (Lpt). Scopo: “arginare l’espansione disordinata degli insediamenti nel territorio e (…) migliorare la protezione delle superfici coltive”.

Nel marzo del 2013 il 46% dei cittadini – e quasi tutti i cantoni - accolse la proposta governativa a schiacciante maggioranza (63%), segno di una crescente sensibilità nella società rispetto allo sperpero (o alla conservazione) del territorio. Dal maggio 2014 la nuova Lpt è nelle mani dei cantoni i quali, entro il 2019, dovranno adattare i cosiddetti “Piani direttori”.

Ma se il Ticino è già un cantone con un “consumo di terreno superiore alla media” nazionale, e ha già subito “trasformazioni molto profonde” nell'utilizzo del suolo, come intende affrontare la sfida in vista di progetti concreti come “AlpTransit” o più concettuali come la “città Ticino”? Ne parliamo con due tecnici, l'architetto e docente all'Accademia di architettura di Mendrisio, Michele Arnaboldi (MA); e Stefano Wagner (SW), ingegnere agronomo e pianificatore (coinvolto nel “Nuovo Quartiere di Cornaredo”, nella pianificazione del Pian Scairolo, nella Commissione regionale dei trasporti del Luganese, nda).

Il Ticino pianifica e come il suo futuro?
MA: “Attualmente in Ticino si continua a pianificare con gli strumenti che si rivelano sempre meno adeguati per rispondere alle continue nuove esigenze. Bisognerebbe trovare nuovi strumenti più efficaci che riescano a promuovere la qualità del progetto. Solo attraverso un processo di progetto si può capire quali soluzioni siano necessarie per risolvere tutte le contraddizioni attuali del nostro territorio”.

SW: “In questo momento vedo una crescente pressione, contraria ad un sano principio di sussidiarietà, di imposizione dall'alto per soluzioni a problemi locali (secondo un meccanismo detto “top-down”): dalla Confederazione sul Cantone e da quest’ultimo a cascata sui comuni. È una grossa difficoltà, non da ultimo anche politico-istituzionale. Se tutti facessero solo quello che devono realmente (legalmente) fare e si immischiassero meno in quello che pensano che debbano fare gli altri, secondo me andremmo sicuramente avanti meglio. L’autorità cantonale, avendo visibilmente poca fiducia negli attori locali, si occupa sempre più di pianificazione locale, dimenticando che questo non è, per diritti costituzionali, il suo dominio. E mi lasci pure dire: “salendo” nella gerarchia istituzionale non aumenta giocoforza la competenza, ma sicuramente la dimensione degli errori e diminuisce la responsabilità!”.

Quali sono allora le priorità?
MA: “Sono convinto che la priorità sia la ridefinizione e la riqualifica dello spazio pubblico attraverso la lettura del nostro paesaggio, quale matrice per il disegno della futura urbanizzazione”.

SW: “Faccio un esempio. Se la Città di Lugano volesse, nel contesto di una fermata del nuovo Tram, realizzare un edificio “alto” (diciamo di 45 metri), non vedo cosa abbia da eccepire il cantone nel merito. Sembrerebbe invece che qualcuno debba prima fare il “grande progetto regionale”, cioè il solito studio che non porterà a nessuna decisione in tempi utili. Intanto però non si riesce a procedere con la realizzazione delle infrastrutture promesse ormai da decenni, quello che sicuramente sarebbe oggi il compito prioritario del Cantone”.

Cosa differenzia la cultura della pianificazione ticinese da quella svizzera tedesca e francese?
MA: “Le città della Svizzera tedesca e francese nei recenti importanti sviluppi hanno avuto sicuri riferimenti di cultura urbanistica e paesaggistica presente da più decenni. In Ticino non abbiamo ancora questa cultura perché siamo passati da un territorio prevalentemente agricolo ad un territorio costruito di città diffusa, priva di concetti di urbanismo e di paesaggio”.

SW: “Non mi piace quando si usano termini come “cultura della pianificazione” senza spiegarmi cosa esattamente sarebbe, cosa caratterizzerebbe (come sottintende evidentemente la domanda) gli altri in positivo. Da noi è comunque evidente noi soprattutto un’incapacità di agire, di ragionare ed di impostare i discorsi in termini interdisciplinari. Su certi temi ad esempio io ritengo prioritario lavorare con un ecologo, un agronomo e un forestale, piuttosto che solo con un architetto. E’ forse vero, come sostengono gli architetti, che il Ticino non ha una cultura urbana, ma la domanda chiave e perché e se debba giocoforza averla. La maggior parte del territorio di questo cantone non è una città e forse è anche meglio che nemmeno lo diventi!”.

Veniamo ad Alptransit. Il Ticino è pronto per i cambiamenti che porterà?
MA: “Non credo che il Ticino sia pronto in modo sufficiente ai cambiamenti che Alptransit porterà. Purtroppo non si è ritenuto necessario cercare di proporre modelli di sviluppo possibile, non solo dal lato urbanistico ma anche dal lato economico. Mi sembra che il Ticino sia semplicemente sulla porta di un cambiamento epocale senza avere in mano chiari strumenti di sviluppo territoriale. È necessario porre maggiore attenzione sulla necessità di sviluppare progetti urbanistici e di paesaggio innovativi”.

SW: “La prima esperienza negativa il Ticino l'ha già fatta con il cosiddetto “cantiere del secolo”. A Pollegio agli operai non interessava un gran che integrarsi, si tenevano i soldi per portarli a casa: sono stati affittati, nonostante gli sforzi del Comune, solo pochi appartamenti, perché si prediligeva stare in un container e spendere poco. Non penso nemmeno che avremo una situazione come l'ha avuta il Vallese, dove il Lötschberg ha portato a reali impatti socio-economici, possibili a partire da una nuova dimensione di pendolarismo tra il Vallese e Berna. In Ticino Alptransit, se tutto va bene, ci porta ancora a essere ad almeno due ore dai centri verso nord, e in più c'è un’evidente barriera culturale. Per capirci: in Vallese la gente è andata ad abitare a Visp e a Sion perché restava vicino a Berna, ma non si andrà ad abitare a Bellinzona perché più vicina a Zurigo, ma perché gli affitti sono inferiori rispetto a Lugano. L’effetto sarà quindi notevolmente diverso”.

Ma allora quali sono i cambiamenti e gli sviluppi attesi o auspicati?
MA: “Sicuramente con Alptransit, ma soprattutto con la rete TILO, potremmo usufruire di un trasporto pubblico di qualità che cambierà le nostre abitudini di mobilità all’interno del Cantone ma anche con Zurigo e Milano. Credo che si apriranno nuove opportunità di sviluppo di lavoro per il Ticino, ma per facilitare l’accesso a queste opportunità sarà necessario definire nuovi concetti di sviluppo territoriale”.

SW: “Mi spiace dirlo, ma sono preoccupato in questo momento per gli impatti negativi. È stato importante il salto culturale portato dal sistema transfrontaliero TILO, includendoci nel sistema di trasporto urbano con Milano, con la Lombardia, ma che è ora minato dalla mancanza del collegamento merci con i centri intermodali lombardi, che si svolgerà ancora per decenni lungo la linea storica ottocentesca che attraversa gli abitati del Sottoceneri e del Gambarogno. Finché funziona, l'aeroporto di Lugano-Agno già garantisce ottimi collegamenti e anche con Alptransit ci metterò sempre cinque ore per Ginevra. Ma poi, chi l'ha detto che è Zurigo la destinazione o Basilea? E i turisti non verranno certo perché ci mettono meno tempo: lì direi che per quel settore il problema resta di tutt’altra natura. È verso sud che c'è oggi un vero e proprio “missing link europeo” non solo di trasporto pubblico. Torno al problema principale: perché le sei corsie autostradali non sono ancora realizzate? Dov'è l'Alptransit Lugano-Milano? Forse dovevamo occuparci di quello negli scorsi decenni, piuttosto che disegnare una “nuova città” sul piano di Magadino!”

Prevede altri problemi?
SW: “La mancanza di un corridoio merci per i 220 treni che attraverseranno tutti i giorni la stazione di Lugano, Melide, Mendrisio e Chiasso: non vorrei che la risposta siano dei ripari fonici come quelli di Bissone, perché se c'è una mancanza di cultura urbanistica è proprio quella, cioè la negazione di una maniera intelligente di affrontare il problema, “cerottando” le ricadute negative. Nel caso specifico, mi sembra che la medicina abbia causato effetti peggiori della malattia”.

Arnaboldi però parla di un trasporto pubblico di qualità come un'opportunità di cambiamento. Non è d'accordo?
SW: “Il trasporto pubblico non è “buono” per definizione: di fatto, induce una mobilità che copre in generale i suoi costi solo al 20%. Dal punto di vista macro-economico un disastro, perché stiamo sempre e solo continuando a sussidiare la mobilità. Il successo del TILO non porterà la gente dalle strade intasate al treno. Il TILO col tunnel di base del Ceneri comporterà una forte spinta “centripeta”: il Locarnese sarà a venti minuti da Lugano, farò il pendolare con il TILO, ma la definizione ormai ideologizzata che questa mobilità pubblica vada bene e quella privata sia dannosa, mi permetto di non condividerla. Alla fine resta soltanto una maggiore mobilità, con i suoi costi non coperti”.

Restiamo su Lugano. Con Alptransit si riposiziona, su quali temi si focalizza?
MA: “Con Alptransit e il completamento della rete regionale TILO, il territorio del Cantone diventerà a tutti gli effetti una città, la Città Ticino. Per questa ragione tutti i centri strategici cantonali, Biasca, Bellinzona, Locarno, Lugano, Mendrisio-Chiasso, faranno parte di un’unica città composta da quartieri con vocazioni e valori paesaggistici differenti, complementari fra di loro. Solo un Ticino unito potrà garantire uno sviluppo armonioso del nostro territorio. Pertanto Lugano diventerà una parte importante del Cantone con le sue peculiarità”.

SW: “L'impatto di Alptransit saranno i citati treni merci e, come diciamo in termini tecnici, ad una forte “gentrificazione”. L’attuale politica di sviluppo territoriale, improntata su una limitazione dello sviluppo edificatorio, spingerà paradossalmente ancora una volta verso la periferia gli abitanti, laddove le riserve sono ancora disponibili. Un cittadino medio farà sempre più fatica ad abitare a Lugano per una questione economica e andrà così ad abitare sugli assi del trasporto pubblico, apparentemente comodi. I luganesi abiteranno domani a Tenero-Contra, ad Arbedo-Castione, perché il TILO li porta a Lugano in venti minuti. Ma alla fine intaseranno ancora di più le strade, la sera o il week-end quando si fa la spesa, perché abiteranno comunque in una posizione sbagliata. Tenero o Arbedo avranno sì delle opportunità per costruire palazzine come si è fatto venti anni fa a Molino Nuovo. Bello, giusto o sbagliato che sia, io qualche dubbio su questo sviluppo mi permetterei di averlo”.

A una “città Ticino”, una città diffusa con dei centri, lei non ci crede?
SW: “L'idea guida su cui stiamo lavorando per il Luganese è molto diversa, cioè quella di “città-agglomerato”; ma questa non nasce da un progetto architettonico o urbanistico come la Città-Ticino di Aurelio Galfetti, ma bensì da una visione prima di tutto politico-istituzionale, che per me è la base di una cultura del territorio. La “città-agglomerato” non implica però che tutto il territorio debba essere trasformato in città, proprio perché è un agglomerato nel quale ci deve essere uno spazio verde gestito ancora con moderne logiche rurali. In Val Colla non voglio urbanità, vorrei che vi continuino ad operare dei contadini: questa mi sembra fosse anche l’aggregazione voluta da Giorgio Giudici. Abbiamo delle componenti in questa visione che non sono esplicitate per – confermo – mancanza di cultura urbana, ma che tutto il Ticino diventi una città è terribile solo pensarlo. Anzi, se posso dire, è semmai questa la vera mancanza di cultura”.

Nota dell'autore: intervista realizzata in collaborazione con Jordi Riegg.