Musica solo da bere?

pubblicato da Ticinosette #23 - 3.6.2016

Molti esercizi pubblici ticinesi propongono concerti dal vivo. Ma con quale approccio? Ed è giusto far pagare l'entrata?

La musica dal vivo “non è un diritto” ma “un lusso”, ha detto di recente Rocco Tanica, ex membro degli italiani “Elio e le storie tese”. Se pensiamo ai tanti bar ed esercizi pubblici ticinesi che propongono concerti, allora è giusto imporre al cliente un prezzo all'entrata? Il dibattito è riapparso di recente su Facebook, dopo che un membro di un'associazione che organizza ottimi concerti in un locale del Sopraceneri, ha scritto: “a chi scoccia pagare 10 franchi per ascoltare un concerto live può, per quanto mi riguarda, stare a casa!”.

Troppi maleducati?
Nel 2014, un'artista ad un evento estivo nel Sottoceneri a pagamento, ha interrotto il concerto perché il pubblico, in prevalenza locale, “non è predisposto ad ascoltare”. Nel blog sulla vicenda una donna disse: “anni di musica completamente gratuita (…) non hanno certo contribuito ad insegnare l'educazione ad un pubblico che (…) si è dimostrato sempre più maleducato (...)”.

Per un altro “fino all'altro giorno i concerti (…) erano gratuiti e dove i 'scià 'na bira' urlati ad alta voce si sprecavano...“. Un'altra donna sostenne che “far casino mentre una band suona dal vivo è maleducazione e mancanza di rispetto”.

Insomma, sembra che il problema venga da lontano. È un fatto che per tanti anni siamo stati abituati, nelle piazze cittadine, in estate, alla musica dal vivo gratuita grazie a sponsor e sovvenzioni pubbliche.

In taluni casi la crisi ha imposto dei correttivi, col risultato che c'è sempre chi borbotta per pochi franchi all'entrata, che di norma servono per pagare gli artisti. Avarizia dunque? Oppure scarsa “sensibilità” e “rispetto” verso la musica? In questo ambito anche i tantissimi esercenti dei bar del cantone giocano un ruolo non irrilevante.

Esercenti molto diversi
La molta musica dal vivo nei bar ticinesi se nulla ci dice della qualità, né dell'offerta, né dell'organizzazione, tanto meno della “sensibilità musicale” di osti e avventori, è comunque indice di grande vivacità. Ma c'è ovviamente caso e caso.

L'unica certezza è che l'esercente vuole fare soldi. C'è chi fa pagare l'entrata, chi no ma rincara il prezzo delle bibite, e chi nulla di tutto questo. Sono approcci diversi che sottintendono una diversa politica aziendale e/o artistica: agli estremi troviamo l'entrata a pagamento che “valorizza” l'evento e chi invece lo offre gratuitamente, vuoi perché è un pretesto per incassare di più, vuoi perché non vuole scoraggiare certi clienti.

Ma che dice l'associazione degli esercenti? Per esempio afferma che “l’offerta musicale (…) non deve trasformarsi in motivo di disturbo per il cliente” (art. 9). Nei fatti ciò non si riscontra quasi mai, anzi, c'è un pubblico spesso felice e rispettoso, un altro indifferente (che semmai disturba il primo), un altro ancora insofferente se deve pagare l'entrata.

Per contro ci sono esercenti che fanno di tutto pur di incassare: l'anno scorso ecco gli “abusi da parte degli esercenti (…) per far entrare gratuitamente persone ai concerti” di un noto (e costoso) festival musicale del Sopraceneri.

La cultura in un bar
Su Facebook un cantante e chitarrista ticinese ha infierito: a molti esercenti, scrive, “(...) della musica non frega assolutamente nulla. La band ha il compito di portare nel locale il suo gruppetto di amici. L'importante è vendere birra, non certo proporre arte”.

Se così non fosse, dice, non ci sarebbero “band che suonano in un bar con dietro acceso un maxi schermo che trasmette Juve-Salernitana (…)”. Tra i vivaci commenti c'è lo sfogo di un altro cittadino sulla questione tecnico-logistica, ovvero “gerenti che si rifiutano di investire su un buon impianto, mixer, microfoni”.

Anche qui c'è del vero? In altre città svizzere o estere questi tratti di “italianità”, dal cliente rumoroso al cattivo gusto dell'esercente per l'arredamento, non ci sono, ma sparare nel mucchio è forse esagerato. Per il nostro musicista “in Ticino ci sono anche locali fighi. Sosteniamoli. E ultimamente sono sempre di più”.

Insomma, quel che traspare è che anche l'esercente di un bar di quartiere può contribuire alla qualità culturale di una città, di una regione. Probabilmente senza nemmeno l'obbligo di seguire certi corsi della scuola esercenti.

Reazioni:
Leggi qui (p. 3) la lettera al giornale del lettore M. P.

"Bello l'articolo. Ed è vero, anche un bar di quartiere può contribuire alla qualità culturarale di una città. Così succede, del resto, in tutto il mondo" (J. R. tramite Facebook).

"Bello il tuo articolo su T7" (C. E. tramite Facebook);

"Bisognerebbe scrivere di più su questo argomento!" (M. B. tramite Facebook).

Vedi anche qui l'editoriale del settimanale.






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