La mistica dello sport

pubblicato da TicinoSette #32 - 10 agosto 2012

In tempo di europei di calcio e di olimpiadi i luoghi comuni sullo sport si sprecano. Ma c'è chi vi legge soprattutto l'avvilimento della società, il nichilismo e la mera competizione...

Da oltre cinquant'anni siamo abituati alle sbornie sportive a scapito di ogni riflessione critica. Il primo paradosso è che se ne parla di più di quanto non lo si pratichi e il canton Ticino, in tal senso, non fa una bella figura rispetto al resto del paese: da noi il livello di attività è "chiaramente al di sotto della media svizzera" e "negli ultimi otto anni non è aumentata". (1) I milioni di adepti e di tesserati alle società sportive nel mondo non sono nulla rispetto ai miliardi e miliardi di passivi e sedentari spettatori. Un secondo paradosso è che se ne parla di più di quanto non si fa (o si dovrebbe fare) per la cultura, l'ecologia, la politica o l'economia. La maggior parte dei quotidiani ogni giorno pubblica fino a quattro pagine di sport, le reti televisive trasmettono ore e ore di chiacchiere ogni domenica. Qualcosa forse non funziona: per alcuni critici osservatori ciò dimostra il degrado della nostra società.

Lo sport come pretesto
Politici, educatori e professionisti amano ripetere fino alla noia che lo sport è socializzazione, crescita personale, benessere fisico e mentale, ecc. Sono dei luoghi comuni, politicamente corretti, ma dimenticano che nello sport c'è anche il male: competizione, culto del corpo, danni fisici, pedofilia, corruzione, speculazione, droga, razzismo, violenza. Lo sport infatti è un "fatto sociale totale", dicono i sociologi, perché contempla tutti gli aspetti di una specifica cultura. Parlare solo bene dello sport è dunque non solo riduttivo, ma anche fuorviante: oggi professionismo, sport di massa e attività ludico-emozionale sembrano solo dei pretesti per tentare di soddisfare aspirazioni moderne ben più potenti: estetica, fama, denaro. Per questo, afferma ad esempio Robert Redeker, scrittore e filosofo francese, "con lo sport si crede di risolvere quello che non si vuole risolvere con la politica e il sociale". (2) Ad esempio l'innato problema del razzismo che i politici non sanno più come affrontare: ci illudiamo che la presenza di minoranze etniche in una squadra di pallacanestro dimostri una "integrazione riuscita". Oppure si fa credere che si possa risolvere l'emarginazione sociale facendo giocare tutti a pallone. Sappiamo che non è così e i risultati di questi messaggi superficiali sono davanti ai nostri occhi o, se volete, dentro lo schermo della televisione.

Cerimonia della bestialità
Siamo in un periodo di cosiddetti "eventi maggiori": europei di calcio e olimpiadi. Fenomeni capaci di "fermare il mondo", catalizzare miliardi di teste ma che, di "maggiore", hanno ben poco. Prendiamo il calcio, attività regina ed incontestata del circo sociale e mediatico. Da esso, scrive Redeker, "non discende alcun messaggio spirituale o culturale, nessuna speranza per l'umanità, nessuna promessa per il miglioramento della sua condizione. Si celebra soltanto il culto dei marchi pubblicitari e la legge del più forte". Lo abbiamo visto col razzismo, lo si potrebbe fare con la violenza, oppure pensiamo soltanto alla discriminazione della donna. Si interroga Redeker: "in cosa lo sport in generale, e il mondiale di calcio in particolare, ha fatto progredire la causa delle donne?". Il fatto che le donne possano praticarlo da oltre un secolo e riferirne (da poco) ovviamente non c'entra nulla, poiché durante questi eventi permane lo sfruttamento sessuale, la disparità mediatica e salariale della donna rispetto ai colleghi maschi. Sì, proprio quei "damerini" viziati e vanitosi, campioni semmai della simulazione e dell'ignoranza, assurti a semi-dei dello stadio. Secondo Redeker sono più il risultato di una "proiezione mistificatrice di una società di schiavi salariati", perché capaci di incarnare "i sogni di successo di una massa di diseredati, di esclusi e di falliti", che non l'espressione di modelli di vita positivi o di eroi contemporanei. Cosa ci sarà mai di educativo stipendiarli milioni di euro al mese, cioè quanto una persona comune non guadagnerà mai in tutta la sua vita? Di edificante nel veder passare gran parte della vita un giocatore a prendere a bastonate un disco di gomma sul ghiaccio? "Una società dominata dalla passione sportiva è una società rosicchiata dal vuoto, dalla noia, dall'alienazione e dell'istupidimento populista" tuona il sociologo francese Jean-Marie Brohm. (3) Gli fa eco il collega Michel Caillat per il quale "l'immagine di questi sportivi, appassionati dalla sofferenza, è un segno più vicino alla regressione, se non alla barbarie, che non all'idea del progresso della civilizzazione". Il recente pestaggio di un calciatore italiano da parte del suo allenatore dice qualcosa a qualcuno?

Giornalisti adulatori
Complice di questo degrado sono il giornalismo sportivo e tutti i suoi simpatici ma servili accoliti e protagonisti (cronisti, inviati, commentatori, ecc.), potenti amplificatori di questa grande pochezza. A loro si rivolge il collega svizzero tedesco, docente di filosofia e teoria dei media Ludwig Hasler: "è proprio necessario osannare e trasformare in idolo sportivo ogni adolescente immaturo che si cela dietro l'atleta?". (4) Certo che no, ma loro lo fanno lo stesso. "Con il loro penoso bla bla e parlottio senza senso", scrive Hasler, sono solo capaci di mistificare un tennista già ricco e famoso, mentre ignorano una talentuosa pallavolista o un fondista, solo perché "figli di uno sport minore". Alla loro cieca adorazione verso i divi dello sport, contrappongono solo la loro frequente sedentarietà e, a volte, la frustrazione di sportivi mancati. Per far parte della loro "casta" non serve nessuna laurea, ma solo tanta ossessiva passione, con il risultato abbastanza comune della mediocrità rispetto, ad esempio, ai colleghi italiani. Anche loro, ahinoi, commentano l'evidenza e domandano ciò che è ovvio per tutti, ma pare abbiano qualche marcia in più, non solo lessicale. Ma anche loro, e questo è il punto, perdono il loro tempo dietro a personaggi che, continua Hasler, in fondo "non producono niente ma si limitano a lavorare sul loro corpo" sprecando energie, "ma inutilmente". A volte questi "sognatori e distributori d'onirismo populista", come definisce Brohm i cronisti, sottacciono e sminuiscono realtà gravi ed incontestabili dello sport, timorosi di uscire dal giro che conta. Cosa accadrebbe se non ci fosse tutta questa attenzione mediatica allo sport? Di sicuro avremmo più tempo libero.


Note: (1) "Sport nel canton Ticino", Lamprecht e altri, Observatorium Sport und Bewgung Schweiz, Zurigo (2008).
(2) Lo sport contro l'uomo, Robert Redeker, Città Aperta, Troina, (2003).
(3) Jean-Marie Brohm, La tyrannie sportive - théorie critique d'un opium du peuple, Ed. Beauchesne (2006).
(4) "La passione del corpo e la freddezza del denaro", testo tratto dal convegno "Sport e Servizio pubblico", Bienne (18 settembre 2010).


Reazioni:

- "Una voce fuori dal coro, finalmente"
"Egregio signor Jeitziner, ho letto con molto interesse il suo articolo "La mistica dello sport" apparso su Ticino7 del 10 agosto 2012. Trovo coraggioso il fatto che lei si chini su una tematica assai sentita in un periodo carico di avvenimenti sportivi con uno sguardo finalmente diverso. Le faccio i complimenti per aver saputo riassumere in modo così disincantato una situazione (quella degli sportivi) tutt'altro che da ammirare. Proporrei il suo testo come riflessione nelle scuole del nostro cantone. Cordialmente. E. G.
(giunto in redazione via e-mail il 13.8.12)


- "Bravo! Lo sport di punta viene solo usato come cibo per porci, ma se ne travisa il valore. Dovrebbe solo essere una piccola parte delle pratiche sportive. In realtà sui giornali potrebbero anche scrivere del torneo amichevole della domenica... ma questo non avviene!". D. S. (tramite Facebook il 14.8.12).

- Leggi qui la lettera della Dott.ssa Cristina Baroni, Firenze (giunta in redazione il 30.8.12).

- "Egregio signor Jeitziner, sono un docente di scuola professionale, giornalista sportivo, ex sportivo e autore di di libri. Le scrivo in riferimento all'articolo apparso su TicinoSette intitolato "La mistica dello sport" di cui condivido il concetto di fondo. (...) Un cordiale saluto". N. P. (tramite mail, il 7.9.12).