foto: Caterina Bugno


Le sue corde - Nella bottega di Nick

pubblicato da Ticinosette #34 - 22.8.14

Reportage - "Se qualcosa è semplice da riparare, è semplice da costruire". Clarence Leonidas Fender (1909-1991)...

Luogo e creazione che fanno una famiglia, che ora qui son la signora chitarra, il signor basso, elettrico acustico potente delicato, zio amplificatore e i cuginetti pedalini che riverbereranno e distorceranno un suono, quel suono, il tuo. Immaginatela, la chitarra, panciuta o leggera, lucida o ruvida, e le sue curve; il manico di basso e i suoi tasti e le sue spesse corde. Ora ecco il liutaio, l'artigiano dell'acero e del nichel, qui soprattutto "il riparatore", che ci mette occhi e mani come fanno i calzolai con le tomaie. Suono diventato mito o persino ossessione, ora riposa sul banco di legno in questo piccolo "ospedale" fuori borgata.

Siamo nelle mani di uno degli ultimi che ancora trastullano legno, acciaio, magneti, trasduttori, valvole e coni in questo Ticino dalle mille note, più o meno valide. Eppure il nome di questo bernese trapiantato nella Svizzera italiana supera Chiasso e Airolo. Incontrai il mondo di Nick Schnieder alcuni anni fa, per caso, seguendo una mia passione, infima rispetto alla sua. Persona buona, umana, generosa, uomo di poche parole a cui non sapresti dare un'età precisa, apparentemente rude, indubbiamente "selvatico". Eravamo in terrazza e, tanto per capirci, lui indossava un cappellaccio da vaccaro, le sue dita erano sporche, la pelle irruvidita dal metallo.

Dentro la bottega
La bottega è piccola, ricavata al pian terreno di un vecchio stabile di Bellinzona dove scorre la ferrovia e rintoccano delle campane. Trovarlo è difficile, incontrare lui in giro è ancora più arduo. Mi faccio stretto per passare dalla porta d'entrata, porta che un tempo stava da un'altra parte, se ben ricordo, sempre qui a "San Biagio" ma prima ancora a Monte Carasso dove, alcuni anni fa, con gli ultimi risparmi, mi disse di aver aperto il suo primo negozio. La porta non si apre completamente tanto è il materiale ammassato in bottega. Gli scaffali di legno fino al soffitto contengono carcasse, colli e pance d'acero, fili elettrici, corde, manici, pezzi di questo e di quell'altro. E poi superfici ricoperte di gomme e carte abrasive, cacciaviti, lampadine, migliaia di viti e bulloni, seghetti, rilevatori di profilo, saldatori, righe in metallo, lime, tronchesi, pinze speciali, "Fret Tang Nipper", regolazioni "Truss Rod", tamponi in legno raggiato, ecc.

L'orologio alla parete è senza lancette. Mi raccontò di lavorare anche di notte, per non sentire la solitudine e per superare i momenti difficili della vita. La luce verdastra e violacea del suo piano di lavoro, il buio di una lacca scura, il colore vivo del legno, la cromatura del "pick-up" che, mi si dice, solo a lui si fa conoscere dall'interno. Già, serve fiducia col liutaio indipendente, fiducia totale, quando gli dai in consegna il tuo strumento che qualcun altro ha già creato, ma che da lui si lascerà riposare, analizzare e riparare o soltanto "migliorare".

Quello della "Lowden"
Lui diceva in modo onesto che si poteva fare, oppure no, e che il prezzo sarebbe stato questo e quello. Un prezzo sempre "da amico". A volte l'unico rumore era quello del caffè che bolle o delle chiacchiere del baffuto Sergio, suo amico chitarrista. Ora questo liutaio un po' particolare sta scrutando in silenzio un profilo, una sagoma, dei tasti, delle corde, boh, lo sa solo lui con quegli strani occhiali in testa. E magari c'era solo la voce di Paul, il bassista sessantenne del Sottoceneri che raccontava dei suoi ultimi concerti, o quella di Andrea chitarrista cover della capitale. O quella del cantautore di Gnosca che osservava altri modelli e pezzi ricercati.

Al nostro liutaio, mi disse quel giorno, potrebbero portargli via tutto ma non la sua "Lowden" acustica, fatta a mano dall'omonimo irlandese George, uno tra i più reputati al mondo e che, sono sicuro, tra gli intenditori non necessita di presentazioni. Tra il nostro liutaio bernese, un po' elettricista, un po' rocker, un po' filosofo, e il grande irlandese, scorre guarda caso un filo rosso. Leggo nel suo sito che proprio in Svizzera c'era il suo maggiore rivenditore negli anni Ottanta. Proprio in Ticino l'irlandese costruì uno dei suoi primi modelli.

Arte e strumento
Ora è il bernese che lo fa: la mano è diversa, il suono anche, ma che importa, in fondo, essendo la musica linguaggio universale? Proprio nulla. Un giorno un amico chitarrista, "mister effetto" per quelli del settore, mi parlò di lui ancora. Non era soddisfatto di un suo ultimo acquisto americano e mi disse che avrebbe portato la sua nuova Fender dal nostro strano liutaio per "migliorarla". Migliorarla in che senso? Boh. Un altro giorno accese i suo pedalini e il suo amplificatore, passò il plettro su tre corde e rimasi sorpreso di come fosse cambiato il suono: "l'ho portata da Nick!" disse con un sorriso.

La stessa cosa avvenne con un pedalino per un effetto ben preciso. Io allora ero fermo alle acustiche e ai loro manici storti a causa degli sbalzi di calore. La corda del "mi", diciamo, aveva perso le tonalità che ritrovò ben presto. E poi un bel giorno saltò fuori una Tulip giapponese originale degli anni Sessanta, venuta a galla da qualche chincaglieria di Parigi; assieme a un amplificatore italiano (sì, italiano) degli anni Ottanta. Ci aveva forse messo le mani questo moderno liutaio? Qualcuno utilizzò questa strumentazione ad un concerto?