Hotel Europa

pubblicato da Ticino Sette # 34 - 23.8.13

Bellinzona, Milano, Bergamo, Valencia: cronaca di una partenza estiva, in un mondo che è (quasi) sempre paese. Tra stazioni affollate, cellulari sempre accesi, aria condizionata polare...

Esterno, mattina. Stazione di Bellinzona, diretto a Milano Centrale. Posto riservato, ma il genio allo sportello m'ha venduto un biglietto con un numero già prenotato. Nemmeno i computer si capiscono da una parte all'altra del Gottardo. A Chiasso sale la Finanza, controlla tutti gli italiani, mostro la mia bandiera ma manco mi filano, come le due brune zucchine con l'aria da "shopaholic". Stazione Centrale, formicaio imperiale, mercato delle valigie, imballate, a forma di proiettile, piattaforma di viaggiatori, ansiosi, eccitati come me. Si parte, si va. Ed io, col mio zaino verde e grigio, comodo, minimale, comprato giù alla fine del mondo. Schivo tutti, veloce, rapido, una pesce nel fiume, mi devo imbarcare nuovamente.

Valigie e panini
Bus per lo scalo di Bergamo. Mai stato a Bergamo, io. Sono tutti in piazza Luigi di Savoia, come elefanti morti. Pago cinque euro alla ragazza sandwich. Lo zaino non passa nel vano sopra i sedili, quindi finisce nella pancia dell'elefante, schiacciato tra certi trolleys giganti, camere da letto con la maniglia telescopica. E ti chiedi: ma vanno in spedizione, 'sti qua? Cinquanta minuti se non c'è traffico, ma a Milano ce n'è sempre. Dopo le rumorose telefonate di una donna veneta, eccoci ad Orio al Serio. Bel nome, ha carattere, mica come Capodichino giù Napoli. Budello milanese per il mondo aeronautico, però scalo internazionale, insomma. C'ho due ore davanti a me, mi viene fame, m'incolonno per 'sta menata tutta italiana, prima lo scontrino, poi il resto. Quindi doppia coda. Panino al prosciutto e rucola, non scaldato, la tipa mi guarda stupita. L'acqua ce l'ho già.

Mi sposto, vago, mi ci perdo, gente di ogni dove, famiglie di ogni tipo, in fondo tutti uguali. Fumata all'esterno, si boccheggia, altra gente sputata fuori da un altro torpedone. Un inglesino smorto mi chiede da fumare, ho solo del tabacco, quindi arrangiati. In coda per il check-in non posso credere che gli umani arrivino a tanto, bestiame, soltanto bestiame, come pinguini in partenza dalla banchina antartica. È un po' che non volo, scopro che da imbarcare ci sono solo io e il mio zaino, quindi posso tranquillamente scivolare al gate. Azzanno il panino tra donne mediorientali incappucciate e chiassosi nord africani, tiro fuori "El país", quotidiano globale, così, tanto per apparire quello che non sono. Capisco quasi tutto, mi sento un genio, un po' meno quando due articoli mi illuminano, uno del cubano Leonardo Padura, l'altro dello spagnolo Juan José Millás.

Innocui accendini
Schizzo all'imbarco, perché ho ancora il terrore che vissi a Gran Canaria, quando sentii il mio nome per l'ultima chiamata. Colpa mia, eravamo al bar e dicevo che c'era tutto il tempo. Vado al gate, ma prima l'assurdo zig zag tra paletti e cordoni, taglio, supero, scavalco selvaggio. Devo gettare tutto il da bere: amici americani, grazie. Devo citare Michael Moore: niente "oggetti pericolosi", ma l'accendino, proprio nessuno, te lo fa buttare. Sicché potrei dare fuoco all'interno della fusoliera... Supero il detettore di metallo, non "suono", però mi ordinano di togliermi il cappello, che magari ci nascondo una bomba?

Sono nell'aereo giallo e blu, un'ora e cinquanta, trovo posto a metà, fa bene alle gambe ma ho la responsabilità, qualora precipitassimo, di aprire l'uscita d'emergenza. Sì, già, certo, come no. Pieno di italiani, quasi tutti italiani. Redarguirei tutti quelli che non spengono il cellulare quando lo ordina il capitano, ma alla fine si decolla e si atterra sul cemento iberico. All'ufficio turistico non tentano nemmeno di fregarmi: dicono che non conviene l'abbonamento per tre giorni e risparmio venticinque euro, così li spenderò in paella e tinto de verano. M'imbuco nella metropolitana di Valencia, moderna, comoda, in mezzora sono in centro. Fuori son 37 gradi, qui dentro 18, si gela. Fermata Xátiva, salgo, esco, sole rovente, sotto l'imponente feria dei tori. C'è la polizia per un gruppo di manifestanti anti corrida, pacifici però. Ecco, succede già qualcosa, si protesta, s'incazzano, qui per i tori, da noi per... boh! Percorro la Calle Ribera tra aromi di cibo e puzza di spazzatura calda. Sette ore in ballo, mille e rotti chilometri, non vedo l'ora di lasciare il mio zaino, Hotel Europa, camera 410...

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