Centri commerciali. Oltre il bazar

pubblicato da TicinoSette #51 - 21.12.2012

Culture e prodotti, persino marchi e loghi, si fondono e si confondono in questi prefabbricati massificati...

Con 'ste volpi e 'ste uova c'hanno proprio stufato. Sono spazi orrendi tutti uguali in cui si incrociano ogni giorno, ma raramente interagiscono, casalinghe disperate, single affrettati, anziani dispersi, famiglie a passeggio manco fossero a Disneyland, bambini allucinati, turisti senza inventiva, giapponesi, indiani, capre e cavoli. Almeno i turchi e i persiani avevano (hanno?) i loro bei bazar con un minimo di storia, di importanza sociale, di creatività. Nella nostra società, invece, chi vende vestiti non interagisce con chi vende elettrodomestici, e chi compra i primi se ne frega degli altri clienti. Culture e prodotti, persino marchi e loghi, si fondono e si confondono in questi prefabbricati massificati, perennemente illuminati a giorno con le loro sciatte canzonette, interrotte solo da annunci promozionali ripetitivi. A fare da contorno, dipendenti perfettamente interscambiabili, come i loro sorrisi di convenienza e i loro gentili consigli.

La scienza dello scaffale
Tanti anni fa, in un noto grande magazzino food e non food, come si dice nel loro gergo, ero addetto al reparto bibite, con tutti i colori del mondo. Dovevo mettere davanti, pronte per la compera, le bevande che scadevano prima e lasciare dietro quelle a conservazione più lunga. Prendevo gassose da un litro e mezzo e traslocavo, agguantavo pacchi di tè freddo e spostavo, caricavo casse di aperitivi e traslavo. Tutto il giorno, chino sui cartoni di succhi e liquidi assurdi. Un giorno ho osservato gli scaffali, tutti gli altri scaffali, accorgendomi che tutta quella mercanzia non era mica messa lì a caso, oh no, la disposizione è scientifica. Si chiama "marketing sensoriale". Ad esempio si gioca coi colori degli imballaggi o dei prodotti stessi. La diversa gradazione di giallo della pasta ha il compito di "anticipare" il gusto, un certo tipo di gusto. Nei negozi di alimentari, frutta e verdura sono sempre all'entrata, ad invitarci all'acquisto coi loro colori "naturali" e i loro aromi "freschi". Non compriamo quasi mai liberamente, né quello che vogliamo veramente. Si chiama manipolazione del consumatore, perennemente desideroso perché triste, spesso frustrato perché indebitato.

Desideri e frustrazioni
Il centro commerciale è luogo per accattoni e ladruncoli, ma anche per acquirenti compulsivi. Tralasciamo questi ultimi, poveri cristi, e diciamo pure che nei negozi, grandi magazzini e centri commerciali svizzeri si ruba di brutto. Me lo aveva confermato una nota catena commerciale. Si ruba soprattutto, tenetevi forte, cosmetici, vestiti e salumeria. I ladri sono di ogni fascia di età e ceto sociale. Vabbè, poi c'è anche chi tenta di rubare una sega circolare in un centro commerciale di Pescara (chissà cosa voleva tagliare?); o quelli a Parma che senza la Playstation proprio non potevano vivere; o ancora quelli degli elettrodomestici in Toscana, ecc. Sono notizie vere. E poi ci sono i frustrati, quelli che i loro desideri non riescono ad esaudirli, perché non hanno i soldi o il tempo. Li vedi vagare tra i surgelati, poi salire al piano superiore nel reparto sportivo, poi in quello edile e hobby, poi tra le camerette di pino dei bimbi, ecc. Guardano, toccano, con facce da veri esperti, girano il cartellino col prezzo e fanno una smorfia o un'espressione di approvazione. In realtà, sognano alla grande e una volta alla cassa alzano le braccia, mostrando le mani vuote, e sorpassano in doppia fila gli ex desiderosi, ormai soddisfatti.

Il vuoto in centro
Quando mi capita, sempre più raramente per fortuna, di dover passare da Grancia o da Sant'Antonino, confesso di provare un certo disagio. Un giorno ho dovuto comprare un attrezzo che, ormai, nella mia cittadina non trovi più da nessuna parte. Nemmeno dal piccolo negoziante. Perché? Perché la bottega è stata chiusa da un pezzo a causa della concorrenza dei "grandi". Allora per comprare quel maledetto attrezzo ho dovuto per forza fare chilometri, auto o mezzo pubblico, sorbirmi il traffico, trovare parcheggio, arrivare al negozio, trovare il reparto, mettermi in coda per pagare e ripartire. Be', non so voi, ma se questo è il futuro... C'è persino gente che scrive libri (!) sui centri commerciali, ma il punto è un altro: non conta più cosa vendi, ma dove lo costruisci 'sto baraccone. Da un po' c'è la moda di ammucchiarli tutti in periferia, per poterli fare più grandi. Ma provocano solo intasamenti, inquinamento, e in realtà sono così vuoti ed anonimi. I centri commerciali hanno svuotato i nostri centri urbani.

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