La politica e gli invisibili

pubblicato da Ticinosette #4 - 23.1.15

Tocca ai giovani avvicinarsi alla politica o è il contrario? E perché le loro richieste di semplificazione dei temi non vengono soddisfatte?...

Da tempo il fenomeno dell'astensionismo dei giovani rimbalza sui media ogni qualvolta si va a votare su questo o quell'altro tema comunale, cantonale o federale. Ogni volta si lancia l'allarme e si tenta in tutti i modi di invertire la tendenza nella "più antica democrazia del mondo". Sembra paradossale, e infatti lo è. La maggior parte degli attori auspica che siano i giovani, tendenzialmente dai 15 ai 25 anni, ad avvicinarsi di più alla cosa pubblica, al senso di cittadinanza. Ma è davvero colpa loro o è la politica degli adulti che li snobba? Già, perché i tentativi non mancano: consigli cantonali dei giovani, sessioni dei giovani a Berna, incontri tra giovani votanti ed elettori svizzeri ("Polittour"), didattica e nuovi media ("Easyvote"), le proposte (sempre bocciate a livello nazionale) di abbassare a 16 anni il diritto di voto, ecc. Eppure...

Uno approccio sbagliato?
Il problema mi pare più filosofico. Platone diceva: "i giovani di buona qualità vanno educati alla filosofia, e non alla carriera politica", altrimenti impareranno solo "la scienza di adulare il padrone con le parole e di guadagnarsene la benevolenza con i fatti", quindi "non devono conoscere la strada che porta alla piazza, né dove si trovi il tribunale o il palazzo del consiglio, o qualche altra sede di riunioni pubbliche della città. (...) Intrighi di eterie per cariche pubbliche, e convegni e pranzi e festini (...) neppure per sogno deve venire loro in mente di fare".(1) Evidentemente oggi accade esattamente il contrario. Spesso è la politica che cerca (per non dire “manipola” o “strumentalizza”) l'elettorato giovanile quasi esclusivamente per interessi di parte (partitici, personalismi, scopi elettorali, ecc.). Lo slogan di questa politica è che tocca ai giovani avvicinarsi, interessarsi, farsi avanti, candidarsi, recarsi al voto, e così si lascia intendere che la cosa pubblica sia lontana, astratta, altera, oscura, roba “per vecchi”, ecc., come se i giovani (e le tematiche giovanili) non facciano già parte della società che la politica deve gestire. Questo approccio ha qualcosa di irritante a mio avviso, perché denota un atteggiamento che definirei “caritatevole” e di “sudditanza”. Prendiamo l'esempio del “Consiglio cantonale dei giovani”, iniziativa legittima e giusta ma che, appunto, conferma l'errore di fondo. Venne proposto nel 1996 da un politico (un avvocato che pochi anni dopo cadde in disgrazia per certi suoi affari) al governo a mo' di spazio di confronto per i giovani, come se non esistessero già vari consessi, istituzionali o spontanei. Come se i 15-25enni non siano da sempre oggetto del governare, anche solo per il fatto che possono essere figli degli stessi governanti. Parlamento e governo ovviamente approvarono, ma mossi più dall'etica o dall'interesse? Probabilmente da entrambe le cose.

Nel 2001 si tenne il primo forum dei giovani e da allora è un susseguirsi di richieste di attenzioni indirizzate ai politici adulti (peraltro non sempre esaudite, come vedremo). Ma chiediamoci: se la classe politica fosse davvero interessata ai giovani – opinione che oso mettere in dubbio - perché è nell'interesse della politica stessa farlo, allora tutte le iniziative citate all'inizio, così come le sezioni giovanili dei partiti, ecc., non dovrebbero nemmeno esistere. Detto altrimenti, se i politici scendessero dal loro “piedistallo” e andassero verso i giovani, come accade con tutti gli elettori, forse verrebbe davvero riconosciuto il loro ruolo di cittadini di fatto e non “di opportunità”. Non è forse una mera pretesa, retorica e un po' ipocrita, continuare a battere lo slogan (tanto abusato che è, appunto, ormai privo di significato) secondo cui i giovani devono avvicinarsi alla politica, quando sono gli stessi politici che non fanno (quasi) mai un passo verso di loro? Parecchie analisi, checché se ne dica, affermano che la politica è più esclusiva e classista di quanto si pensi. Quindi, se “i giovani sono il nostro futuro” quale futuro si potrà mai progettare se si parla più di loro che non con e, come vedremo, per loro?

Trent'anni di crisi
L'astensionismo giovanile è vecchio di almeno 30 anni e mi limito a citare il passaggio di uno studio dell'Università "La Sapienza" di Roma. “Se negli anni Sessanta e Settanta molti giovani erano impegnati nel tentativo di trasformare complessivamente la società ed erano molto interessati ad ottenere sicurezza sociale ed economica, a partire dagli anni Ottanta si sono spostati su nuove forme di partecipazione politica, focalizzate su temi più circoscritti e di breve termine" si legge.

"Di fronte all’assenza di una risposta concreta da parte delle istituzioni politiche, i giovani non hanno risposto né con l’apatia, né - tranne rari casi - con la ribellione, bensì con un cambiamento della forma di impegno attraverso la molteplice vita associativa. Hanno cioè cercato di ottenere spazi di autonomia dallo Stato invece di invocare risposte dallo Stato, soprattutto laddove si tratta di investire capitale culturale e sociale. Oggi, per riuscire a ritrovare gran parte del consenso perduto dei giovani, i partiti e le istituzioni repubblicane devono considerare come risorsa le diverse forme di impegno civile e sociale, aiutandole a crescere, fornendo spazi, strutture e riconoscimento, anche quando esse si pongono in termini critici e conflittuali nei confronti delle pratiche istituzionalizzate". È quello che sta forse accadendo ad esempio in Ticino? Al lettore darsi una risposta.

Una tendenza europea
Rispetto al nostro paese “molto democratico”, nel resto dell'Europa le cose vanno un po' meglio. Se guardiamo tutti gli elettori, nel 2006 l'85% dei francesi partecipò alle presidenziali, così come gli italiani alle legislative, un po' meno gli austriaci (sempre nel 2006) e i tedeschi (nel 2005). Nel 2003 solo il 45% degli svizzeri andò a votare per le federali! Certo il tema della votazione ha la sua importanza, ma non sembra modificare di molto la tendenza. Uno studio su oltre 8mila 15-25enni di otto paesi (Austria, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Slovacchia e Regno Unito) voluto qualche anno fa dalla Commissione Europea, non lascia scampo.

Cala l'interesse in generale: il 63% dei giovani si dice "non interessato alle vicende politiche nazionali e non per mancanza di idealismo, ma piuttosto per disillusione, scarsa fiducia nei partiti politici, scarso credito alle istituzioni". A loro non è tuttora chiaro il significato della politica: serve a "risolvere i problemi internazionali", ad "affrontare i problemi sociali", sono "vuote promesse", "corruzione", un "gioco per gente di una certa età". Se poi è un politologo svizzero come Markus Freitag (ma non è il solo) a sostenere che i giovani svizzeri "considerano l'attività politica tradizionale troppo dispendiosa e personalmente poco proficua, ma guai a limitare la loro libertà di espressione",3 evidentemente c'è un problema. I grandi cambiamenti sociali, dalla globalizzazione (le questioni politiche travalicano le frontiere) alla digitalizzazione (i giovani preferiscono il voto elettronico), spiegano solo in parte il problema.

Il "caso svizzero"
Cosa vorrà mai dire che è proprio il nostro paese ad avere il maggior tasso di astensionismo (in generale) rispetto agli altri paesi europei? Tra le cause ipotetiche, spiega il politologo Werner Seitz, ci sarebbe lo "stress da voto" che "contribuisce a stancare un po' l'elettorato" - ogni anno si vota cinque, sei volte, quattro al massimo in ambito federale, più i temi comunali o cantonali - (per questi dati vedi qui) e il sistema della "concordanza", per cui "le elezioni non hanno lo stesso valore di quello che caratterizza le altre democrazie parlamentari" (dove si può radicalmente cambiare il governo). Spiegare a un cittadino europeo perché il Consiglio federale rimane al suo posto anche quando si vede bocciata una proposta di legge dal parlamento o dal popolo, non è facile. Quando lo scrittore svizzero Denis de Rougemont tentò di farlo con un francese, quest'ultimo rispose: "ma allora non c'è più politica!". (2)

La “concordanza”, che è poi un compromesso (e che, come tutti i compromessi, non soddisfa mai tutti e, cosa più grave, non risolve mai un problema), fa sì che i quattro maggiori partiti svizzeri (Udc, Plr, Ppd, Ps) si spartiscono infatti le stesse poltrone da ormai quasi mezzo secolo. Sicché votare troppo spesso disaffeziona dal voto? Può darsi. Un sistema di maggioranza potrebbe stimolare di più i giovani? Non è da escludere. Ma se il sistema attuale (record mondiale di votazioni e sistema politico di compromesso) non li attrae più di tanto, come potrà farlo in futuro? Secondo la collega romanda Catherine Bellini, ai politici sembra che non interessa risolvere questo dilemma: “i commenti nati dalla mancanza di impegno istituzionale dei giovani e la leggerezza dei ricercatori (dei sondaggi, ndr.) mascherano, però, un problema reale che la classe politica rifiuta di affrontare di petto: l'astensionismo generalizzato". E se ai politici va bene così, allora di quale democrazia e di quale politica stiamo parlando? Di sicuro non di una comprensibile e intelligibile per tutti.

Il tentativo della semplicità
Anche da alcuni giovani ticinesi è giunta la conferma di uno dei problemi principali: la complessità dei temi e il linguaggio oscuro dei testi in votazione. Credo abbiano ragione, perché anche il sottoscritto a volte fa fatica a capire. Siccome il problema riguarda tutta la fascia della società con un basso livello di formazione, che senso ha "una democrazia dominata dalle classi sociali medio-alte" si chiede Seitz? Questo non mette seriamente in dubbio "la qualità del nostro sistema politico"? Quanto è cioè davvero democratico un paese la cui democrazia è dominata da decenni da una minoranza di votanti e dalle classi più abbienti? Possiamo legittimamente pretendere che un giovane, ad un certo punto, capisca anche ciò che è complicato, ma la domanda di base rimane senza risposta: perché i politici non fanno nulla per semplificare il linguaggio? I dietrologi impazzirebbero. Porto due esempi.

Nel 2009 a questa specifica richiesta del “Consiglio cantonale dei giovani”, il Governo ticinese rispose: "l'opuscolo informativo (ufficiale, ndr.) è già piuttosto conciso", le scuole e i media fanno (o dovrebbero fare) il resto. Mi permetto di osservare che: conciso non significa semplice; molti docenti hanno già parecchio altro da fare; sempre più giovani snobbano i media tradizionali; rendere semplice cioè che è complicato è arduo; non tutti i media brillano per chiarezza; la qualità di tutti i media si starebbe abbassando. Il secondo esempio è "Easyvote", cioè la diffusione di materiale di voto semplificato assieme a quello ufficiale, promossa dalla Federazione svizzera dei parlamenti dei giovani. È una buona idea ma ha tre grossi problemi: riproduce l'approccio che critico (tocca ancora ai giovani bussare alle porte degli adulti nei comuni); è molto tardiva (in Ticino risale solo al 2011). Risultato: mentre scrivo solo 15 comuni su 135 e una sola scuola su oltre 25 con allievi aventi diritto di voto vi hanno aderito. Come mai proprio in Ticino “Easyvote” riscontri queste difficoltà, lo lascio volentieri dedurre al lettore.

Il paradosso federale
Se dunque il cantone difende la causa (è patrocinatore) ma dice va bene così e che non gli compete, se i comuni si defilano, se le scuole hanno altro a cui pensare, almeno a livello federale le cose andranno meglio? Macché, rasentiamo il grottesco. Uno dei diritti politici costituzionali è la "libera formazione della volontà" che, credo di non sbagliarmi, in teoria può passare soltanto da messaggi comprensibili a prescindere da età, livelli di formazione, origine culturale, ecc. Ebbene, in pratica mi sbaglio. La scorsa primavera 44 deputati hanno chiesto al Consiglio Federale di generalizzare la diffusione del materiale "Easyvote". Risposta: non si può perché questo “diritto alla comprensione” è vietato dalla stessa Legge federale sui diritti politici!

La legge sembra fatta apposta per questo “inganno”: per il materiale di voto, gli articoli 10 e 11 parlano solo di "completezza, oggettività, trasparenza e proporzionalità", di "breve e oggettiva spiegazione", mai di semplicità. L'articolo 25 di quella cantonale parla di spiegazioni "in modo succinto e oggettivo", che non significa comprensibile o semplice. I teorici del complotto direbbero che il sistema sembra fatto apposta per escludere proprio coloro che, di solito, rappresentano il cambiamento e il progresso, cioè i giovani. Direbbero anche che è proprio così che si contribuisce al mantenimento dello status quo che tanto fa comodo alla classe dirigente o a gran parte di essa. Senza dubbio, se il sistema vuole che la politica resti complicata e non alla portata di tutti, mi pare che ci stia riuscendo molto bene.

Note:
(1) Il filosofo e la politica: i consigli di Platone, e dei classici greci, per la vita politica di L. Grecchi (Alpina, 2007).
(2) La Suisse, ou l'histoire d'un peuple heureux, D. de Rougemont (Hachette, 1965).

Reazioni:
"Ho letto l'articolo, lo trovo interessante e ottima la ciatazione di Platone" (M. A., ricevuto via sms, 23.1.15).

"Ciao Marco (...) ho appena letto il tuo articolo "Gli invisibili" e volevo dirti che mi è piaciuto" (J. D., e-mail, 26.2.15).