Flavia Leuenberger


Surreale. Inevitabili incubi

pubblicato da TicinoSette il 30.12.2011

Luccicanti e possenti colonne vertebrali si stagliano oltre il nostro piccolo corpo, oltre il grande organo sensibile, che è la pelle, ma connesse con nervi sollecitati, stimolando muscoli ormai atrofizzati. Non sono le nostre, né le loro, ma di esseri spaventosi a metà tra l'umano, imperfetto nella sua perfezione; il rettile, freddo ed implacabile; la macchina, fredda ed indolore. Un incubo, forse anche il tuo, o qualcosa di simile, diventa immagine distorta, paesaggio intoccabile, fugace doloroso ricordo. Finché qualcuno, oltre il reale di "gigeriana" memoria, nella sua onirica ma lucida follia, non riesce a farlo combaciare con la propria spaventosa visione. Umano, rettile, macchina. Sangue caldo, sangue freddo, sangue unto: chi vivrà più a lungo? La carne intelligente ma autolesionista, la carne delle pulsioni ma stupida, la carne d'acciaio ma bisognosa di alimentazione?

Viscere parlanti

Tu umano che leggi, osservi e selezioni e ricordi un po', dentro la tua ridicola corazza tenti di prolungare una miserabile esistenza, magari già fallita a metà, perché fatta solo di parole incompiute e di materia inorganica, di quella materia che ti vanti di creare e di trasformare all'infinito. È questo che sai fare? Fare e rifare le stesse cose, gli stessi errori? Allora l'incubo, il buio, il dolore, la solitudine, le tenebre, saranno solo tue. E non ti accorgi ancora che, inquinante, la materia che imperterrito alimenti ti soffoca e ti uccide lentamente. Ci soffoca e ci uccide, ogni giorno, ogni notte, ad ogni risveglio. Maledetta la tua esistenza, se genera solo scomparsa. Hai paura di quei giganti che credevi sepolti, ma che riaffiorano nei luoghi che pensavi tuoi, sicuri e familiari? Fai bene. E ti senti inglobato perché infima presenza nel tutto che non comprendi. Allora sii umile, pensa al verme che ti divora e diventa Tenia a tua volta, impara a brulicare laddove non c'è luce, né calore, ma solo umidità e sporcizia nutriente. Un parassita non deve farsi scrupoli: mangia, divora, consuma! Fino a scoppiare, fino alle viscere che contieni, per lasciare solo un scheletro scheggiato, antico pasto di altri viscidi vermi.

La bestia che dorme

Dalle sue fauci incancrenite escono solo grida e lamenti. Ha fame, la bestia, ha sempre fame. Non sarà mai sazia finché l'umano la dominerà con furbizia e malvagia. Ma furbo non è chi annienta per suo godimento, semmai stolto. Non te ne accorgi? Fai già parte di lei, sei lei. Malvagio è il sentimento che nascondi perché non conosci, pericolosa è la pulsione che ti scorre nelle vene, la rabbia che covi tra un sonno e l'altro. Finché l'incubo si materializza. Solo allora il rettile, che attendeva, attacca e digerisce quelle tenere carni, sciogliendole nel suo stomaco acidulo ed espellendole nel mondo. Diventi concime. Il putridume in cui vive è la pulizia asettica che assilla l'umano e le sue difese farmacologiche. Eppure di biologie simili si parla, dipendenti entrambe dal calore e dal liquido. Ma caldo è anche il ventre del mostro, liquida è la bava schiumosa che cola tra le sue zanne. Sensuale uguale è la donna sospesa da cavi idraulici, con la testa di serpente, le vene come tubi, le mani a tenaglia, il sesso ad ingranaggio. Il suo amplesso con il rettile biomeccanico tratteggia l'indescrivibile. Già ti manca quel corpo che sta scomparendo nel muro nero della città, che ormai è solo una grande fabbrica inquinata. Allora, guarda a terra per capire da dove viene tutto ciò, da quale mondo infernale è sgusciato, da quale incubo è stato espulso, perché abbastanza terrificante non era.

Automi biologici

Il cranio dei morti si è fuso con arti e busti metallici, carapaci finemente intagliati e sagomati, di materia a noi sconosciuta. Hanno dato forma ad esseri immondi che solo uno spaventoso futuro può riservare. E così li sogni, ahinoi, li immagini avanzare con sorprendente leggerezza, velocissimi sopra un pavimento che ricorda antichi messaggi a te incomprensibili. Ma poi succede, ancora, l'orrore s'avvera. Mentre te ne stai lì, abbracciato da una specie di conchiglia, in realtà la sua cassa toracica pietrificata, senti grida che sono urla insopportabili, trapassano il cervello, trapanano il sensibile, provenienti da chissà quale profondità, forse solo dalla tua, inconscia. Un portellone automatico, chissà dove, si è chiuso improvvisamente, un corto circuito, bloccando la lunga coda dell'essere, che si spezza, si agita lucertola, spargendo liquido corrosivo. Brucia, consuma tessuti, nove piani sotto i tuoi piedi, nove volte sopra il sopportabile. Si fermerà mai? Ma il rettile umanoide è macchina intelligente, spietata, e forse non morirà per così poco. Il parassita si riproduce in fretta: gli basta uno solo dei miliardi di viventi. E a noi, biologiche esistenze, non resta che arrenderci al delirio di un visionario, perché sarà solo l'inizio della fine di un sogno, in un luogo nemmeno troppo surreale, fatto di infinita ed inevitabile oscurità.