Arrivo a Firenze e ritorno

pubblicato il 13.3.2018
Eccomi a Firenze, l'entrata a Santa Maria Novella me la ricordo, fu quel viaggio scolastico di più di venti anni fa al liceo. Quando tutti i compagni di scuola, figli di italiani, scesero dal treno con una radio gigante in spalla e gli “Snap” a tutto volume. Dio, se ci penso oggi, me ne vergogno un po', “sbarcano i barbari” si saranno detti gli eleganti fiorentini... Nessuno si sarebbe immaginato che arrivavamo dall'educata e ordinata Svizzera. Ancora sul treno, noto che la maggior parte dei passeggeri italiani raccoglie con un certo anticipo bagagli e giacche, intasando il corridoio all'inverosimile, bramosi di scendere per primi. In Svizzera di solito si attende comunemente seduti finché il treno è fermo. Chissà perché qui no? Provo a pensarci. Poi capisco, perché quello che ho visto a Milano Centrale un'ora e mezza prima è chiaro: prima scendi, prima saprai a quale binario ti devi recare, quindi corri e ti stressi meno, dato che il tuo binario lo vieni a sapere sempre all'ultimo momento...

Provo a indossare la giacca ma non ci riesco, perché è tutto così stretto in questo Frecciarossa, forse l'unico difetto che ha. Finché la ragazza del sud seduta al mio fianco mi sorprende con la sua gentilezza: mi dà una mano, allungandomi la manica della giacca. Mi sento un vecchio, un disabile, e non ho mai visto una cosa del genere in Svizzera viaggiando da solo. Ecco l'Italia che amo, generosa e altruista... Mi avvio all'uscita della stazione e, come a Milano, ci sono gli stessi sbarramenti e portelli di uscita, con tanto di poliziotti, ferrovieri, persino militari in giro. Non sei libero di uscire dalla stazione da dove ti pare? No. Devi usare le porte segnalate. Forse è un modo poco ortodosso per gestire meglio il caos italiano.

Cerco il Wi-Fi ma è come cercare tartufi. Non avendo rete italiana, o non va o devi lasciare i tuoi dati. Ogni volta che vado in Italia mi chiedo: ma il Wi-Fi free-zone non l'hanno ancora inventato? E se c'è, perché la metà delle volte non funziona? Ottengo un debole segnale, viene da “Fratelli Cuore”, forse il nome di un ristorante, chissà... Sono stanchissimo, ho sonno, bisogno di dormire. Ce la farò a trovare l'albergo senza telefonino? Mi avvio all'uscita e quasi cado a terra, il corridoio di accesso alla stazione è una pista di pattinaggio dovuta all'acqua e alle pozze portate dai passanti. Fuori ancora non piove, ma è un brulicare di gente, di turisti, italiani, fiorentini, africani, cinesi e chissà di dove... Provo ancora quella sensazione come a Milano, di gnomo, di nanetto, di noi ticinesi abituati al niente rispetto a queste grandi e caotiche città metropolitane. Essere qui, ora, nuovamente, mi fa sentire bene, anche se non ho grandi ricordi di Firenze. Ho, come molti altri, il pregiudizio sui toscani, un po' snob, un po' chiusi: sarà vero?



Mancano quasi 3 ore all'appuntamento al Circolo svizzero di Firenze, dove presenteremo il nostro libro. La via dell'hotel la ricordo a memoria, e so che non è lontano Via della Scala 25. Ho riservato apposta qui perché costa poco (40 euro la notte) ed è vicino alla stazione, così domani non divento matto... Se non hai rete, mi dico sempre, affidati alla rete di gente, alle persone, ai cittadini. Il piazzale della stazione è un delirio, è tutto sbarrato per dei lavori, c'è gente ovunque, tanta polizia, ma che succede? Chiedo a una ragazza se è di qui, sì, è di qui, e se conosce la strada. “Non è lontano, guarda, è l'altra strada, parallela a questa, vai al semaforo e poi a destra” mi dice. La ringrazio. Trascino me e il mio trolley al primo incrocio, fino al semaforo. I marciapiedi sono alti, almeno il doppio dei nostri, scomodi se hai un trolley o una valigia. La strada, lucida e scivolosa di pioggia, è lastricata. Vedo tre vigili urbani, due donne e un uomo, che smaltiscono come possono il caotico traffico... Chiedo a lui da che parte sta il 25, a destra o sinistra? E lui con fortissimo accento fiorentino mi indica a sinistra... Sentire questo marcatissimo accento dopo tanti anni non lascia indifferenti e ammetto a me stesso che, in fondo, non mi dispiace...

Non piove ancora, ma peccato per il cielo grigio. In lontananza vedo una famose torre di Firenze ma non ho idea di cosa sia! Arrivo all'hotel, una specie di pensione in realtà. Suono il campanello, uno di quei bei campanelli enormi in ottone lucente come se ne vedono anche a Milano o a Venezia, tanto che ne scrivo nel mio libro. Avete presente i campanelli svizzeri? Sono proprio brutti. Un tizio stralunato sbuca dal primo piano alla finestra: “Sì?” dice. Io spazientito e stanco, rischio di mandarlo a quel paese, ma riesco ad essere gentile: “ho una prenotazione”. Mi apre, entro, constato quanto ho scritto nel libro: dall'esterno sembrano palazzi brutti, ma dentro è di un lusso pauroso.


C'è un cartello appeso al vecchio ascensore che dice di non usare l'ascensore per i clienti dell'hotel. Forse perché l'ascensore è davvero troppo vecchio? Mi trascino a fatica al secondo piano. Il tipo alla ricezione è lo stesso di prima: si presenta in jeans e t-shirt bianca, è omosessuale da come parla e gesticola, e ha una forte tosse. Sbrigo le formalità e quando lui guarda la fotocopia del mio documento mi dice: “ah, vedo che ha fatto da poco gli anni...”. Sorrido. Mi dà le chiavi e mi mostra la camera. “Ecco, un bel letto singolo per lei...” fa lui. Ringrazio e saluto, poi mi rinchiudo dentro, chiudo tutte le finestre, mi spoglio e vado subito a dormire un paio di ore... È un bel lettone italiano, come quello della nonna, alto, forse un po' rigido, ma nelle mie condizioni dormirei ovunque.

Suona la sveglia troppo presto, a causa dell'ansia di non sapere come recarmi all'appuntamento più tardi, così la posticipo ancora di una mezz'oretta. Sento delle voci dal palazzo che mi tengono in dormiveglia, sogno, forse, ma non ricordo cosa. Quando mi risveglio ho tutto il Wi-Fi che voglio. Guardo dove sta il Circolo svizzero, e non sta vicino. La collega, che è fiorentina, mi suggeriva di prendere il bus 17 per arrivarci, in zona Piazza delle Cure e poi è lì vicino. Già, quando ti dicono “vicino” nelle grandi città non è mica come a Lugano... Mi do una rinfrescata, mi vesto, racimolo le 40 copie dei libri con l'assoluta urgenza di liberarmene completamente vendendole alla presentazione. Ma come le porto? Col trolley no, poi ce l'ho tra i piedi tutta la sera... Ah, li infilo in un grande sacchetto della Migros, preso a casaccio da casa. Terrà il peso?

Alla ricezione non c'è più il tipo gay, ma uno che dice di essere suo fratello. Mi lamento del rumore di poco fa, che volevo riposare... Lui si scusa e dice che lo dirà a questa gente. Mi faccio spiegare cosa ho bisogno ma lui, del bus 17, non ne sa nemmeno dell'esistenza. Ah, gli italiani e i mezzi pubblici! “Vuole una piantina?” mi chiede. Volentieri. Mi indica dove siamo e indico dove devo andare: “Se prendesse il treno fanno 10 minuti” dice. Lo ringrazio, esco, mi devo spicciare, e non ho nessuna intenzione di prendere il treno perché ho in testa il famoso 17: non sarà mica complicato prendere un bus a Firenze, no? Ancora non piove per fortuna. Per strada fermo il primo signore che mi capita davanti, uno dell'est a giudicare dall'accento: gli chiedo del 17. “Dove deve andare?” mi fa lui giustamente. Gli spiego, così mi fa cenno di seguirlo. Mi accompagna fino alla fermata del 17, peccato che è quello che va nella direzione opposta, zona Cascine... “E l'altro dove si prende?” chiedo. Non lo sa.

Torno alla stazione, già scazzato. Chiedo in giro, vengo a sapere che i bus, oggi, a causa dei lavori alla tram-via e ad una manifestazione di non so bene cosa, vengono deviati. La piazza della stazione di fatto è un cantiere. La plastica del sacco della Migros comincia a cedere sotto il peso dei libri. Impreco un po' su questa Italia, poi riflettendo mi dico che accadrebbe ovunque tutto questo... Alla stazione sono convinto che tutti i bus passano, e invece no: nessuno sa del mio 17, nessuno sa dove si fermi... Persino il conducente di un autobus turistico non sa aiutarmi, e ci credo, è di Perugia, mica di qua! Vago in tondo come un matto, ora il sacco della Migros lo tengo come un sacco di patate... Orca, vedo un 17 in lontananza, oltre le transenne dei lavori, ma poi vedo che va dalla parte sbagliata. Comincia a piovigginare, comincio a rinunciarci. Scelgo un taxi: mica costeranno come a Lugano, no?

La fila di attesa per i taxi, io che non vedo mai file per i taxi in Ticino, è lunghissima di asiatici, americani, britannici, scandinavi. Comincio a maledire questa città così tanto turistica... Attendo un po', vorrei fumare ma verrei distratto, perché qui i taxi vanno via come il pane... In coda chiedo a una signora se è del posto, dice di sì, e insisto con sto bus 17 della malora... Neanche lei mi saprà aiutare... Esco dalla fila dei taxi e ritento, giro ancora a zonzo, chiedo qua e là, ma niente di niente... Arrabbiato, scrivo alla collega che il bus 17 praticamente non esiste, come la sua fermata... Ma è inutile, non ho rete e l'sms lo riceverà tra un mese... Quando torno ai taxi sono il primo della fila e fermo il primo, ho il sacchetto tra le mani come fosse la testa mozzata di Medusa. Mi abbasso dal marciapiede alto trenta centimetri, chiedo il costo della tratta: “Una decina, dozzina di euro, più o meno!” fa l'uomo dagli occhi di ghiaccio. Ah, solo? - penso... Lo prendo!

Fanculo il 17, mi dico, col taxi arriverò prima e sto più comodo! Invece per un buon venti minuti siamo incastrati nel traffico poco lontano dalla stazione, causa lavori alla nuova tram-via e alle deviazioni, mi conferma il tassista che più toscano di così non potrebbe parlare. Guardo l'ora e alla fine sono ancora in tempo. Gli chiedo un'osteria o una trattoria, per domani, perché almeno una mangiata toscana la voglio fare. Vicino alla stazione, preciso. “Provi da Marione!” dice lui. Marione? “Sì, in Via della Spada!”. “Ma cerco roba casereccia...” preciso. “Lì costa il giusto, c'ha poche cose, sempre le stesse, e poi ci vanno tutti i tassisti... Però non prende prenotazioni!” fa lui. Ottimo, lo ringrazio. Per ironia della sorte, in colonna sotto un viadotto, davanti a noi, cosa vedo? Il famigerato 17...

Arriviamo a Piazza delle Cure e gli dico di lasciarmi pure lì. “Facciamo undici, che le ho detto dodici!” mi dice. Cavolo, mi fa pure lo sconto! E ora dove sarà Via del Pallone 3A, dove sta il Circolo svizzero? Mi affido nuovamente alla gente. La commessa di un negozio, aiutata da un signore anziano che smanetta col telefonino, ha già sentito il nome della via ma non sa dirmi dove stia... “Be', ma c'è internet” commenta l'uomo. Evito di rispondere e giustificarmi. Ringrazio e mi arrangio, tanto è a sinistra e poi da qualche altra parte... Ora ho sete e voglio fumare. Di strada capita a pennello una fiaschetteria di vini sfusi, entro, ma ordino un caffè da 1 euro in cialda e chiedo indicazioni. Semplice, a sinistra e poi destra, dopo il semaforo. Esco, fumo, mentre due ragazze fiorentine chiacchierano. L'accento marcato non mi dà fastidio, mi devo ricredere.

Arrivo a Via del Pallone, libri sotto braccio come mattonelle, e vedo la collega, il tizio che farà da moderatore e la presidente del Circolo. Sono puntualissimo. Scherzo con la collega sul 17 e alla fine ci rido sopra. Sulla porta d'entrata c'è un grande poster dell'evento di stasera: è un ingrandimento di un flyer che ho preparato in fretta e furia a Lugano. Non sono un grafico... Il Circolo è inserito in un vecchio stabile che un tempo fu anche Scuola svizzera. Le sale sono spartane ma addobbatissime di fotografie, stemmi e simboli svizzeri. Compie la bellezza di 150 anni! Fa strano, trovarmi a tanti chilometri di distanza dal mio paese ma in un luogo che è un'isola elvetica in Italia. È un po' come non essere mai partito...



La presidente ha un forte accento tedesco, ci mostrano i vari libri pubblicati dal moderatore toscano, esperto filologo. Sappiamo che arriverà parecchio pubblico e ne siamo felici. Ci accordiamo per tornare qui verso le 19.45h, così noi e due conoscenti della collega, uno scrittore di Milano, una insegnante di moda di Pesaro che vive qui, andiamo alla fiaschetteria. Tre calici di rosso toscano sfuso – che non sarà amato da tutti - e un caffé. Torniamo al Circolo, sta già arrivando parecchia gente, molte teste grigie a dire il vero, ma anche qualche giovane. C'è un grande poster appeso fuori dalla porta d'entrata che annuncia la serata/evento. Mi sento emozionato a dover parlare di Svizzera qui a Firenze, in questa Italia di oggi... I membri dell'associazione sono quasi tutti ultra sessantenni, se non nonnetti, ma in forma, curiosi, interessati... chi di Uri, Basilea, ma nessuno di origini ticinesi, strano! Alcuni non tornano in patria da tanto tempo, altri ci vanno ogni anno...

Si comincia. Tavoli, sedie, microfoni, scartiamo i libri e li disponiamo per la vendita. Quando faccio una palla del sacchetto della Migros e lo do alla presidente per buttarlo, lei si emoziona: “oh, della Migros! Lo teniamo!” dice. Sarà un'oretta di discussioni, letture, aneddoti, domande dal pubblico, specie dai curiosi nonnetti... Poi un piccolo rinfresco con schiacciata, vino toscano e prosciutto. Le copie andranno a ruba, più che a Milano o Locarno! E questo anche grazie alla collega che è di qui e che ha convogliato tanti suoi amici e conoscenti... Qualche svizzero d'origine mi confida che i fiorentini non sono poi così aperti e socievoli; un ragazzo mi chiede lumi sul sistema mediatico elvetico; una libraia mi promette che farà il possibile per avere da lei il volumetto...



Continuiamo la serata con gli amici della collega in un'enoteca nei pressi del centro. Sono felice ma stanco, eppure tengo botta. S'apre una bottiglia di rosso toscano scelto dall'amico enologo della collega e, quando mi tocca il bagno, ecco che prima non funziona lo sciacquone e poi ci dicono che è definitivamente "inagibile". Perché i bagni italiani sono spesso fuori uso? Si rincasa e la farò altrove, cioè per strada. Tra le vie del centro, nella zona del mio hotel, è una Firenze notturna deprimente, vuota, solo gruppetti di turistelli statunitensi ubriachi... la via più “animata” ha tre, quattro locali, pieni, ma pochi... Lugano sarà mezza deserta la notte, ma anche Firenze non scherza! Mi dirigo verso l'hotel, passo davanti al pub “The Joshua Tree” che avevo già visto nel pomeriggio ma sta chiudendo... Chiedo una birra che mi viene fornita per miracolo, solo perché c'è un bicchiere di plastica rovesciato sul manicotto dello spina-birre. Poi insisto: “ci sono altri locali?”. Una delle due cameriere frena subito le mie aspettative: “lascia perdere, un paio di discoteche ma sono tamarre, piene di ragazzini!”. Vado a dormire.

Quando devo lasciare la stanza alle 10h penso soltanto alla trattoria! Saldo la stanza e il proprietario gay si fa più curioso: “è venuto per il Salone del gusto alla Leopolda?”. No, gli dico. “La gente ci va questa domenica, a gustare formaggi e salumi e bere vino e si ubriacano...”. Peccato, non lo sapevo, ma non ne avrei avuto il tempo. O la voglia. Lascio la valigia che recupererò più tardi ed esco a fare un giro in città.



Fuori pioviggina, il tempo volge sicuramente al peggio, passo per Piazza Santa Maria Novella e poi a casaccio per le vie umide e scivolose, tra decine di turisti da mezzo mondo. Sono comparsi dal nulla, ma ieri sera questa gente dov'era? Supero la Basilica di San Lorenzo e sbuco davanti alla bellissima Cattedrale di Santa Maria del Fiore col campanile di Giotto. Molti immigrati africani sono raccolti agli angoli delle vie, vendono cose utili almeno: ombrelli! Mica come quelli nostri del Bangladesh che vendono solo rose...



Entro alla Feltrinelli per stare all'asciutto, frugo tra i libri e compro “Lettera agli italiani” del caustico Marcello Veneziani. Ne leggo alcune righe e mi piace subito. Per un attimo credo di voler verificare se il mio libro è tra gli scaffali, ma non ho voglia di cercarlo. Torno per strada e il tempo è impazzito: fa caldo, piove e spunta il sole a sprazzi. Ho voglia di un caffè e di una brioche e mi fermo al primo baretto gestito da immigrati. È domenica, e tutti i negozi sono aperti, mica come il nostro mortorio da “cantone turistico”. È quanto ha voluto rimarcare un fiorentino ieri sera alla presentazione... Mi oriento sulla piantina, la via della trattoria è poco distante, ma è troppo presto per pranzare. Il fetore delle fogne di Firenze mi accompagna, ce ne sono per 700 km, leggerò, tanto che qualcuno si è già chiesto: “perché Firenze puzza?”. Non mi lamento, è molto peggio in certi periodi a Venezia. E persino a Lugano in zona Cassarate quando piove molto... ma guai a dirlo!

Ecco Via della Spada e poi la trattoria da “Marione”, manca mezzora a mezzodì. Entro lo stesso, chiedo a un cameriere se posso attendere l'ora di pranzo e lui dice: “sì, ma non all'interno”. Resto basito. In Svizzera avrei potuto farlo senza problemi. Poco dopo c'è un bar e decido di attendere lì, tra i turisti soprattutto statunitensi, soprattutto ragazze, carine ma enormi, giganti, obese, con quella loro voce nasale insopportabile. Chiedo i quotidiani e una donna mi passa “La Nazione”, il foglio fiorentino. Sopporterò il baccano delle cow-girls al mio fianco, userò il bagno del bar che stavolta funziona bene e poi ritorno alla trattoria. C'è già una fila di gente che attende! È una famiglia di dieci persone impalata davanti alla porta. “Si può entrare o no?” chiedo spazientito. Allorché entrano. A volte bisogna fare da incitatori... Dico che sono da solo e non mi capita spesso di mangiare da solo al ristorante. C'è chi non lo fa mai, perché ci si imbarazza.



La trattoria è piena in pochi minuti, è gettonata, è buon segno! Grazie tassista! L'interno è caldo, di legno, tovaglie a quadretti, prosciutti appesi al soffitto e quant'altro. Ah, le trattorie d'Italia io le amo! Scelgo rapidamente: insalata di carciofi, rucola, grana e limone; per secondo tagliata di manzo fiorentino con contorno di rucola e patate al forno; un calice di rosso della casa. A parte la sorpresa del carciofo crudo – pensavo lo si mangiasse solo cotto – è tutto ottimo per soli 26 euro... Fossi stato a Lugano saremmo già sui 40, 50 franchi senza problema.




Mi chiedono se voglio il caffè, dico di no, e il cameriere rimane stupito. Non sono italiano, mi spiace, e di caffè ne ho già bevuti... Quando me ne vado faccio i complimenti alla casa.
Passo davanti a uno spaccio di vini, decido di tornare a Lugano con un rosso toscano, quanto meno. Il tizio è del Bangladesh, non parla bene italiano, allora parliamo inglese. Mi mostra un po' di rossi toscani, i prezzi variano molto, prendo un “Poggio alla Nebbia” del 2015, e speriamo sia buono. Mi fa lo sconto. Recupero la mia valigia e decido di aspettare il mio treno nella sala d'aspetto dell'affollata stazione.



Anche qui trovare il bagno pubblico è un'impresa, come a Milano, e costa sempre 1 euro: lo sciacquone tipo Niagara è identico a Milano, ma è più pulito. Due adolescenti americani sembrano schifati, tuttavia, e li sento dire “cazzo, usciamo di qui!”. Mi chiedo cosa avranno fatto, visto e mangiato nei loro giorni fiorentini. L'attesa sarà lunga, di un paio di ore, tra lettura e Wi-Fi a singhiozzo. Alle 15h mi attende il Freccia Premium e di nuovo non capisco due cose di questa Italia che amo: la prima, perché i binari di arrivo dei treni vengono annunciati così tardi? Ecco perché poi vedi la gente che corre come galline impazzite coi bagagli... La seconda, perché l'accesso ai treni è blindato e non si può attendere sul binario? È l'esotismo di un breve viaggio, non lontano da casa.


Faccio due chiacchiere con una coppia di 60enni scozzesi arrivati da Roma e diretti a Malpensa. Assisto a sceneggiate tipiche delle famiglie italiane. Finalmente entro ai binari, la polizia ferroviaria blocca un ragazzo un po' su di giri. Mancano dieci minuti alla partenza e ovviamente nessuno sa a quale binario bisogna andare. Una donna mi dice: “ormai oggi ci sono tanti ritardi...”. La metà dei treni ha tra i 10 e i 20 minuti di ritardo, e gli annunci di “attenzione, il treno...” si sprecano. Ah, l'Italia! Finalmente lampeggia il mio binario numero 8, dove ho la carrozza 7. Sono seduto vicino a tre donne, in ordine di età, bellezza e simpatia. Aiuto la più anziana, ma anche la più borghese, a toglierci dai piedi il suo trolley. Diceva: “eh, ma pesa, io non ci riesco...”. Le dico: “oh, ma non peserà mica 100 kg!”. Infatti è leggero...

Fuori è grigio e nebbioso, crollo nel sonno fino a Bologna, poi fino a Milano... in attesa dell'Intercity diretto a Zurigo che farà tappa a Lugano. Da Milano, siccome sui treni svizzeri non devi riservare il posto, mi cerco una carrozza tranquilla e mi metto in un sedile comodo, quello riservato agli anziani, così posso distendermi. Sarà il viaggio di ritorno più infinito del soggiorno, lentissimo, soporifero, mortale. Perché questo cavolo (e carissimo) di treno svizzero vada così piano è un mistero...