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Locarno. Le ex scuole

pubblicato da TicinoSette #1 - 4.1.2013

Viaggio tra i locali e gli inquilini delle storiche ex scuole comunali di Locarno, centro culturale unico in Ticino...

Incombe la distruzione in una piazzetta dedicata ad uno scultore. Strano scherzo del destino, vero? Intanto il sole dei primi di ottobre rende ancora più rossicce le imponenti mura dell'Ottocentesca ex scuola comunale. Un rosso forse smunto ma vivo di passione, gioia, dolore, potenza e sangue, come quello che nel XVI° secolo, proprio qui, imbrattava i muri e i pavimenti delle antiche beccherie. Poco è cambiato, in fondo. Oltre un secolo dopo si progetta di squartare ancora ventri e viscere, di sasso e cemento, stavolta.

Il bene comune
Sotto un unico balcone degli anni Trenta mi faccio inghiottire dal gigantesco ferro di cavallo, che sembra arrugginito, in realtà molto ben oliato. Dall'atrio a mattonelle nere e bianche attacco i primi quattordici scalini, faticosamente moltiplicati per cinque o per sei volte. Niente ascensore qui, aiuta il corrimano caldo e legnoso e, fuori dalle finestre, c'è sempre quella rete di protezione, sopra il cortile di baracche. Come se qualcosa dovesse cadere dal cielo. Soffitti alti così non ce ne sono più, ma ancora ai muri gli appendiabiti di alunni fantasmi. Mi ricredo, sono di carne e di ossa, sento le loro voci in fondo al corridoio. Sono del coro Calincatus ed è quasi incantesimo: torno indietro nel tempo. Eccomi tra moquette grigia e ampie finestre bianche. "Una sede veramente adatta per noi, ci stanno cinquanta ragazzi per volta e possiamo respirare" mi dice Mario Fontana, maestro e fondatore del coro. Un'aula che qui, a sud-est, ha subìto un cedimento strutturale a causa dei sedimenti argillosi, resi instabili dalle esondazioni del lago. "Per ora la città non ha altri stabili adatti a noi" fa lui, ma "bisognerebbe avere il coraggio di vedere che forza che c'è qua dentro". Ossia "dare risposte concrete a quei gruppi che lavorano per un bene comune, non solo in questo palazzo, ben inteso". Aria da respirare, bene comune. A metà di altri quattordici fermo per caso Santuzza Oberholzer, direttrice del Teatro dei Fauni. "Siamo stati i primi ad occupare questo spazio e personalmente ci ho fatto la scuola elementare" racconta. Poco a poco, mi fa, qui s'è creato "un tessuto di persone, di eventi, di cose diverse che si conoscono e interagiscono: questa è la caratteristica meravigliosa di questo posto". E quei muri slanciati, continua, "anche ripitturati e restaurati mantengono un'energia e un vissuto". Concordo. Una vecchia scuola in cui ancora si respira, appunto, un "atteggiamento comune di crescere e di imparare". Minacciato da dispersione e svuotamento, quando allora "Locarno perderebbe un centro culturale esistente, ben frequentato da persone di età e di interessi diversi".

Creare dall'abbandono
Ancora bianco opaco, poi legno scuro lucido, poltrone di velluto verde e altri quattordici. Quarant'anni fa passi di studenti, poi un ventennio di caos tra funzionari comunali, elettori, collocatori e lunghe file di disoccupati fin sulla strada. È buio nell'ex aula di scienze del Cambusa Teatro. C'è una conferenza, Elisa Conte della direzione artistica mi porta in una cucina per metà rossa sangue. "Questa è la culla della nostra associazione" mi racconta, che "avrebbe delle grandi potenzialità soprattutto per la socialità della città di Locarno". Pesiamo anche le gesta, e sono tre piani a piedi "per portare su scenografie, fusti della birra, i frigoriferi del Romerio", e son pareti pitturate un anno fa, e un pavimento di scena scardinato e poi risistemato. "Notti intere qui a girare con la paletta" ricorda lei. La cultura, dice, "è legata al luogo, all'essere umano, alla società", dunque "più vicina è al pubblico, meglio è". Allontanamento ed esilio pesano come travi. "Il grosso problema è sempre stato di rendere visibile lo spazio dall'esterno, perché il palazzo, da fuori, sembra ancora una scuola e per molti locarnesi tale rimane" afferma Noah Stolz, fondatore e membro di comitato dello spazio espositivo La Rada. L'input politico? "Siamo di fronte ad un immobilismo senza paragoni" tuona, mentre "a Locarno praticamente un edificio con queste caratteristiche non c'è più". Eclettico, neoclassico, tradizionale ma stilizzato, quello della "borghesia imprenditoriale in ascesa" dice la storia, (1) che rese moderno un Ticino rurale. Anche questa regione, dal ricco patrimonio culturale ma che non ha, ancora, un inventario dei beni meritevoli di protezione. (2) "Noi come Rada" conclude, "stiamo considerando di chiedere asilo politico ad altre città ticinesi". Si lotta, si fa a pugni con la storia e col tempo, come quelli del Boxe Club Locarno da basso, come i giovani confusi che han trovato ascolto col progetto "Mentoring" di Pro Juventute. "Mi è piaciuto subito il posto, si respira storia" mi dice una delle coordinatrici Rosiney Amorim. "Il fatto di avere un 'contenitore' che racchiude enti e associazioni diverse favorisce uno scambio e una crescita non solo culturale, ma anche educativa e sociale".

Note:
(1) S. Martinoli, "L'architettura del Ticino del primo Novecento - Tradizione e modernità", Ed. Casagarande, 2008.
(2) "La Regione Ticino", 9 ottobre 2012.