Esperti, ma non troppo

pubblicato da Ticino Sette #41 - 11.10.13

Sostengono di sapere “tutto” di questo e di quell’argomento. Sono degli specialisti, esperti ai quali ci affidiamo fiduciosi, anche se a volte cadono rovinosamente dai loro piedistalli...

Ci dicono come crescere i figli, decorare la casa, riparare l'auto, cucinare, come vivere felici e via dicendo. Ogni giorno eserciti di nuovi "esperti", consulenti, periti, analisti, specialisti, riempiono i media globali per rispondere ai nostri quesiti e a quelli di aziende e governi. E noi spesso ci fidiamo, perché loro ovviamente ne sanno più di noi. Ma le cose stanno veramente così? Nel 2008, con lo scoppio della crisi finanziaria globale, abbiamo scoperto che i maggiori "esperti" e "guru" finanziari ne sapevano quanto noi: nessuno di loro ci ha visto giusto. E nessun "esperto" ha previsto per esempio la "primavera araba". Ma allora sono davvero delle persone affidabili, oppure appartengono ad una specie di nuovo culto, ad una nuova "religione"?

Basta poco?
Aziende e governi adorano assumerli per qualsiasi cosa, credendo che soltanto a loro appartenga una specie di "scienza" o di "tecnologia" segreta, e che soltanto grazie a loro si possano risolvere i problemi. Matthew Stewart è un filosofo statunitense che ha fatto il consulente, cioè "l'esperto", per importanti società e governi. Per sua stessa ammissione, lo era diventato dopo che un suo datore di lavoro gli aveva pagato un corso di business... di qualche settimana! Stewart ha poi scritto un libro di successo, (1) divertendosi a smontare il mito.

Secondo lui basta poco per diventare un "esperto" come tanti altri: primo, conviene essere alti (l'altezza trasmette maggiore autorità); secondo, conviene indossare o possedere simboli di "successo" per far vedere che si ha cura di sé stessi (un orologio luccicante, l'auto giusta, alloggiare negli hotel giusti, per dimostrare una certa agiatezza). Fatto questo, sostiene Stewart, basterebbe dimostrare le proprie competenze con dei risultati, facendo giocare tutti questi punti forti a proprio favore.

Da non dimenticare assolutamente è l'utilizzo del gergo "da esperto", cioè parole complicate e termini incomprensibili che spesso non significano nulla. Semplice no? L'impressione è che gli "esperti" servano più spesso da capro espiatorio quando le cose vanno male: se non ce l'abbiamo fatta, è colpa loro. Peccato che poi, quando invece le cose vanno bene, amiamo lodarci dei risultati, ma spesso senza mai citare questi "esperti".

Andrà così, anzi no!
Al di là dell'esperienza di Stewart, coi tempi che corrono è più che lecito chiedersi: mi posso fidare dei vari "business coach" e "consulenti in management" di cui è pieno il mondo? Hanno scritto montagne di libri pieni di consigli, ma nemmeno i maggiori "esperti" finanziari sono riusciti ad anticipare la bolla finanziaria del 2008. Negli Stati Uniti, soprattutto, la popolazione è rimasta scioccata dalle "toppate" di moltissimi di loro, interpellati a raffica dai media che, loro malgrado, contribuiscono ad alimentare il mito. Ogni giorno, fateci caso, c'è chi prevede una bassa crescita per lo stesso anno, e chi affermano l'esatto contrario. Dunque?

Secondo il giornalista scientifico statunitense David H. Freedman, semplicemente, gli "esperti" molto spesso si sbagliano. (2) In ambito medico e scientifico, afferma, almeno due terzi degli studi pubblicati dalle migliori riviste mediche sarebbero errati e, potenzialmente, lo sarebbero anche tutti gli studi pubblicati nei giornali economici. Certo, quale credibilità può avere un "esperto" che critica altri "esperti"? Tuttavia ritengo che sia un esercizio indispensabile in questa società "espertofila": manco parlassero di fisica, ci fanno credere che l'economia è una scienza, composta da freddi ed indiscutibili fatti, quando in realtà dimenticano la componente umana, purtroppo o per fortuna assai determinante.

Stesso vino, gusti diversi
Facciamo un altro esempio. Siccome nemmeno l'economia è realmente attendibile, figuriamoci il giudizio degli "esperti" di vini. Degustatori, sommelier e critici enogastronomici ci consigliano quale bottiglia è meglio comprare, ma quanto sono davvero competenti? Sanno veramente di cosa parlano coi loro bizzarri aggettivi? No, secondo il francese Frédéric Brochet, dottore in enologia a Bordeaux. Lo ha dimostrato in uno studio che ha fatto il giro del mondo: ha riunito diversi "esperti" chiamati a degustare due vini diversi, salvo poi versare lo stesso vino in due diverse bottiglie: imbarazzanti le "toppate", spiegabili da un punto di vista psicologico, per cui più è caro un prodotto più ci aspettiamo qualità, mentre meno costa più vi cerchiamo automaticamente il difetto.

Ora, non si sta dicendo che non vi siano "esperti" di vini, ma ve ne sono certamente di più seri di altri, come l'italiano Roberto Gatti, giudice degustatore di fama mondiale, che afferma: se "per lo stesso vino, degustato nello stesso momento e nello stesso stato di affinamento" lo scarto tra i giudizi è molto diverso, "evidentemente c'è qualcosa che non va". "Basterebbe procurarsi una bottiglia dello stesso vino, degustarla con calma, meglio se insieme ad altri addetti ai lavori (...) e vedere gli esiti della degustazione. Automaticamente emergerà chi dei due pseudo-degustatori ha preso un grossolano abbaglio ed è, a mio avviso, non all'altezza del lavoro che sta svolgendo". Provare per credere?

Arte vera o falsa?
Se gli economisti sono poco affidabili e la qualità del vino è troppo soggettiva, che dire allora del miliardario mondo dell'arte? Non è facile sapere quale dipinto ha un grande valore e quale è solo una volgare imitazione, ma ci aspetteremmo che un buon "esperto" possa aiutarci. Eppure anche qui ci sono errori che tolgono il fiato. Qualche anno fa a Londra è stata esposta una serie di famosi falsi dipinti che di solito si trovano solo nelle cantine. Il sito del museo afferma, ad esempio, che con "un dipinto acquisito come uno del 15esimo secolo nel 1923, si è poi potuto provare, dopo delle analisi scientifiche sui materiali usati, che era un'imitazione del 20esimo secolo"!

La mostra risultò imbarazzante per la grande confusione che avevano creato i falsari, proprio come l'artista inglese John Myatt, noto per i suoi duecento falsi (tra cui un Giacometti) che hanno ingannato per una decina d'anni fior fior di galleristi. Riporta la stampa: "malgrado il fatto che molti dipinti di Myatt erano risibilmente amatoriali (...), hanno ingannato gli esperti e sono stati messi all'asta per centinaia di migliaia di sterline da Christie's e Sotheby's"! C'è chi afferma che, da un lato, gli storici dell'arte sono troppo presi dalla ricerca di importanti opere scomparse, e che ciò li induce a lavorare male e in fretta. Dall'altro il dubbio che resta è che i migliori falsari forse sono ancora in circolazione.

Un mondo controllabile
Gli esempi sono molti, dallo sport all'alimentazione, dalle finanze all'ambiente, ma allora perché continuiamo ad appoggiarci agli "esperti"? Philip Tetlock, docente di comportamento dell'organizzazione all'università di California-Berkeley, è un "esperto di esperti": per 25 anni ha quantificato le capacità umane di fare previsioni politiche, concludendo che "ironicamente, più è famoso l'esperto, meno tendono ad essere accurate le sue previsioni". Il motivo è che "il fattore più importante non era quale educazione o esperienza aveva, ma come pensava". Riusciremo mai a liberarci da questo esercito di nuovi "sacerdoti"?

Impossibile, secondo Tetlock, perché "abbiamo bisogno di credere che viviamo in un mondo prevedibile e controllabile, quindi ci rivolgiamo a persone pseudo-autoritarie che promettono di soddisfare questo bisogno. Ecco perché siamo in parte responsabili delle loro scarse testimonianze". Proprio perché, soprattutto noi occidentali, siamo insicuri, ansiosi e il futuro, in sostanza, ci ha sempre spaventati. Infine un consiglio: se uno di questi "esperti" vi sembra troppo certo di quanto dice, meglio diffidare!

Note:
(1) Il crepuscolo del management. Perché gli esperti di business continuano a sbagliare tutto? (Fazi Editore, 2011).
(2) Wrong: Why Experts Keep Failing Us - And How to Know When Not to Trust Them (Little Brown & Company, 2010).
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