foto: Flavia Leuenberger


Cultura in cima

pubblicato* da Ticinosette #4 - 22.1.2016

Reportage - Lassù nell'ex comune di Torre, a quasi 800 metri di altitudine, a mezzora da Bellinzona e cinquanta minuti da Lugano, parte dell'ex Cima Norma svetta imponente sul torrente Soja...

Lassù nell'ex comune di Torre, a quasi 800 metri di altitudine, a mezzora da Bellinzona e cinquanta minuti da Lugano, parte dell'ex Cima Norma svetta imponente sul torrente Soja che da tempo immemore gli scorre accanto. La sua acqua schiarì il buio dei paesini e, se solo potesse parlare, ci racconterebbe di birra e poi dell'epopea della “Fabrique de Chocolat Cima”, prima, e del “Cioccolato Cima Norma” poi, durata dal 1903 al 1968. Racconterebbe anche di come, in una notte d'agosto, lui si fece impetuoso distruggendo la struttura; di come le spesse murature, oggi ingiallite esternamente, gli eleganti pavimenti rossastri, gli alti soffitti e i bellissimi ampi saloni s'annerirono della fuliggine di un violento incendio. Ma dalle ceneri rinasce sempre qualcosa.

Voglia di resurrezione
Riconvertire è la soluzione, ne abbiamo scritto e ne scriveremo ancora. Una parola qui troppo spesso intraducibile. Ma non quassù dove il protagonista “è semplice, massiccio, orgoglioso e lo stato di abbandono gli conferisce una pregnante bellezza” annotava l'architetto Sima Farroki Tami. L'architettura che fu alimentare oggi è residenziale ma soprattutto è e sarà culturale, e forse anche spirituale. È nella necessità delle cose, talvolta della vita, che nascono le idee, intuisco da uno dei promotori, Giovanni Casella Piazza, economista e, poiché giornalista, mi sento di dire, anche mio confratello. “Sono capitato in Cima Norma quasi per caso, alla ricerca di un luogo dove ritirarmi in un momento difficile della mia vita. La Valle di Blenio, terra d'origine di mia madre, assiduamente frequentata sin da bambino, ha rappresentato per me il luogo eletto per superare l'infermità e rigenerarmi spiritualmente” ci dice. E per una volta non furono mani straniere ad accaparrarsi le bellezze nostrane: “non sarebbe stato altro che un luogo di deposito e transito di prodotti industriali” racconta, “così, alcuni di noi, felicemente residenti nel complesso, hanno deciso di raccogliere la sfida e addentrarsi con coraggio nell'impresa”.

Obiettivi condivisi
Dalle sculture esterne vagamente diaboliche, ai cimeli industriali disseminati all'interno, alle opere che richiamano il bosco circostante, qui è l'arte, il pensiero e la cultura che ora si respira addentrandoci tra piani, scalinate, magazzini e bellissimi saloni. “Vivere in uno spazio ampio, aperto, luminoso, con un'imprendibile vista sul nucleo di Dangio e sulle montagne (per chi le apprezza) è meraviglioso” osserva Casella. Inoltre “tutto è a portata di mano, l'occhio non conosce ostacoli, la conduzione semplificata, il senso di soffocamento tipico dei piccoli spazi è superato”. A volte il pensiero di valle è più progressista di quello urbano: “il piano direttore (Master Plan) della Valle di Blenio prevede proprio in Cima Norma l'implementazione di un contenuto culturale accanto a quello residenziale” spiega il nostro interlocutore. Si stenta a crederlo, ma è vero, certo non è facile. A cominciare dai costi: “l'aspetto finanziario va impostato realisticamente, escludendo visioni grandiose e favorendo il più possibile la compartecipazione di più soggetti al conseguimento di obiettivi condivisi” dice Casella.

Il contatto con l'arte
Tante ma concrete sono le aspettative, prima di tutte, spiega Casella, “la componente culturale del progetto, ancora tutta da attuare, in quanto quella residenziale è già ora sostanzialmente realizzata”. Certo “dobbiamo risolvere gli aspetti logistici e architettonici (…) in modo da integrare armoniosamente l'utenza residenziale e quella culturale”. Ma il localismo ticinese, che da sempre ostacola progetti e visioni, non spaventa: “parliamo di cinquanta minuti da Lugano, trenta da Bellinzona, nulla per chi frequenta un qualsiasi agglomerato metropolitano che si rispetti, tantissimo per chi ragiona in termini di casa-bottega”. Uno spazio di lavoro condiviso, insomma, per chi vuole “vivere e lavorare lontano dal frastuono, dal traffico, dalle angustie e sollecitazioni del grande agglomerato. Chi svolge attività creative e artistiche predilige particolarmente i luoghi tranquilli e silenziosi, il contatto con la natura, la disponibilità di spazio a costi contenuti”. Non nascondiamo un po' d'invidia, noi quaggiù in città, anche se l'appello è per coloro che “cercano il contatto con l'arte, non solo e tanto in quanto mostra, esposizione o esibizione, quanto piuttosto per l'atto creativo in sé, mentre viene concepito e sviluppato”.

Nota: *questa è la versione originale. Quella pubblicata con le note della Fondazione Fabbrica del Cioccolato è reperibile qui.