Centri giovanili. Fragili mura

pubblicato da Ticino Sette # 21 - 24.5.13

L'oratorio non è più di moda. Hanno invece il vento in poppa i cosiddetti centri giovanili, sparpagliati qua e là nel nostro bel cantone...

L'oratorio non è più di moda. Hanno invece il vento in poppa i cosiddetti centri giovanili, sparpagliati qua e là nel nostro bel cantone. Tento un'analisi critica ma sommaria: forse sono "troppo vecchio", ma io non li ho mai frequentati né ho mai avuto il bisogno di andarci, così come tanti miei conoscenti. Eppure noi della metà degli anni Settanta siamo cresciuti ugualmente responsabili, viviamo integrati in questa società giovanilistica ma, ahi noi, sempre più gerontologica. Sarà lo stesso per quella centinaia di baldi 12-18enni che, invece, questi centri li frequenta? Mi piace pensare di sì, anche se questi luoghi non ci dovessero essere, ma visto che ci sono...

Controllare la responsabilità
"Responsabilità" è una parola ormai abusata. Anche "centro" e "giovanile" sono parole abusate. Mi chiedo: perché mai accentrare o concentrare i giovani? Cos'è tutta 'sta voglia di rinchiudersi in un'immobile, tra quattro mura ovattate, invece di stare nella natura, nelle piazze, sui campi sportivi o semplicemente a casa? Ci leggo una sola cosa: controllo. Ci vedo un paradosso di fondo: più si chiede responsabilità e autonomia ai giovani, più li si vuole "educare" all'interno di luoghi gestiti dagli adulti. Facciamo un po' di sociologia spicciola. Alla sfacio della famiglia tradizionale e all'alienazione dei genitori nel lavoro, la politica sociale ancora non riesce a dare delle risposte: usa ricette vecchie per dei fenomeni recenti. Il rischio è quello di creare dei giovani ma eterni dipendenti, degli assistiti a vita. Vorrei sbagliarmi, ma in una società (la nostra) in cui i giovani sono spesso visti più come un problema che non come una risorsa, dove mai come oggi il futuro appare loro incerto, dove la disillusione è permanente (ovviamente non per colpe loro), dove la gestione del quotidiano rimane una prerogativa degli anziani, qualche dubbio mi permetto di nutrirlo.

Gestire il tempo
Questo è "il problema". Sono scettico: gli adulti lo vedono scorrere inesorabile e tentano di occuparlo in tutti i modi, i giovani ne hanno ancora molto davanti e possono permettersi l'ozio. Ma la paranoia degli adulti li porta a dover organizzare il tempo dei giovani (o il loro?), per di più normodotati, invece di lasciarglielo vivere come meglio credono. Sono sani, forti, spensierati, esuberanti, incoscienti, ma quel tempo libero è l'unico momento in cui capire e scoprire sè stessi. È il senso stesso di una giovane esistenza. E invece gli adulti organizzano, pianificano, propongono, fino ad imporre dei canoni che quasi mai sono quelli dei giovani. Ecco confini e barriere al futuro, oltre a quelle già normative dell'obbligo scolastico, pervasive del consumismo e competitive dello sport. Cos'è questo se non del management post-oratorio? La legge (fatta dagli adulti) sulla politica giovanile dice: "favorire l'autonomia, la partecipazione e l'autodeterminazione dei giovani". Già, salvo poi diffidarli, castigarli, accusarli di schiamazzi e di inciviltà come nel 2009 al centro giovanile di Chiasso. Cosa accadde di così grave? Una normalissima rissa tra ragazzi. Gli adulti hanno la memoria corta.

Occupare i laureati
Non condanno i centri giovanili, per carità, li hanno rivendicati gli adulti che erano giovani negli anni Sessanta e Settanta, ma ritengo siano il prodotto di una psicosi, di un'isteria collettiva: quella del "disagio giovanile". Sono i sensi di colpa degli adulti per il mondo di egoismo e di solitudine che lasciano in eredità. Sono luoghi di giovanilismo per adulti che danno lavoro a frotte di educatori ed animatori laureati, encomiabili altruisti. Mi perdonino, ma mi permetto di paragonarli a dei simpatici missionari un po' egocentrici, a dei soccorritori megalomani ma fragili, a delle ingenue ma pie pasionarie della salvezza altrui. Figure che questa società del bisogno continua a richiedere, purtroppo. Figure che, per occupare il loro tempo remunerato, propongono attività a quanto pare improponibili altrove: film, musica, bricolage, cucina, sport, discussioni o, semplicemente, niente di tutto ciò! Una ricerca ticinese sul tema ha chiesto a questi giovani utenti cosa vorrebbero. Risposta: meno adulti tra i piedi. Vorrebbero "autogestirsi", ingenui come sono, ma degli assistiti come possono essere responsabili? Come autogestire un posto che è l'antitesi dell'autonomia? Un luogo che, al contrario, alimenta la subordinazione ad uno spazio, il rifiuto della dura realtà, la dipendenza dalle persone e dalle cose?