"Dorato tesoro della Terra"

pubblicato da Ticinosette #34 - 19.8.2016

Reportage - Le terre di Locarno nel Medioevo erano già ricchissime di alcuni prodotti di altissima qualità, proprio come il miele...

“Frutto dell'anima dei fiori e del lavoro delle api, era servito per addolcire la vita molto prima che venisse scoperto lo zucchero” scrive bene la scrittrice peruviana Isabel Allende. E il canton Ticino non è da meno, sin da quando fu terra di conquista romana, c'insegna la Società ticinese di apicoltura. Le terre di Locarno nel Medioevo erano già ricchissime di alcuni prodotti di altissima qualità, proprio come il miele; nel 18esimo secolo i contadini di Pollegio pagavano l'affitto dei terreni col miele; mentre nelle valli erano numerosi i vani nei muri delle case rivolti a mezzogiorno, riparati dal vento e dalla pioggia, dove questi ripetitivi insetti operai costruivano casa.

L'esercito dei 500
Il Mendrisiotto e il Luganese sono tra le poche regioni del cantone dove è diffusa la pianta della robinia che, da maggio, fiorisce colorando i boschi di bianco. Oggi quasi 500 apicoltori ticinesi, in gran parte amatoriali, si prendono cura di oltre ottomila famiglie di api che producono ottimo miele da due fioriture principali: quella di robinia-acacia in maggio, quella di castagno e tiglio a fine giugno-metà luglio. Il ciclo della natura è un capolavoro immutato, dai fiori (melliferi) al loro polline, dalle api ad altri fiori e così via, proprio come si tramanda questa passione da padre in padre (e moglie, sempre più), preparando arnie, smielando, degustando.

C'è un enorme rispetto per questo insetto stacanovista tanto quanto lo sono, proverbialmente, gli svizzeri. “Mio padre aveva già degli alveari. Andavo spesso con lui ad accudirli e così è nato il piacere e la passione. Poi sono andato avanti io, ho ingrandito sempre di più l'attività finché è diventata una professione” ci racconta Alberto Bianchi di Arogno, produttore di nettare biologico, qui ritratto nelle prime immagini. Un mestiere mai noioso: “ormai vengo punto tutti i giorni! Una volta mi sono persino rovesciato con la Jeep e sono andate api e arnie dappertutto!” scherza Bianchi.

Tra natura e commercio
Ma è più l'amore per la natura che spinge l'uomo verso l'ape e il suo mondo. Così Bianchi a cui chiediamo le ragioni di questa sua passione. “Prima di tutto si sta nella natura, in mezzo alle radure, senza nessuno che ci mette becco. Respiro aria buona e per gestire le api devo seguire l'andamento delle stagioni, delle fioriture, per capire come mi devo spostare, dove devo portare gli alveari, che tipo di operazioni devo fare ecc.” afferma.

È noto che le api stanno vivendo un periodo storico difficile: parassiti e malattie d'importazione (come l'acaro asiatico 'varroa destructor' dovuto agli scambi commerciali), pesticidi (usati per la frutta e la verdura che mangiamo), riduzione del loro habitat (disboscamento, edilizia, ecc.). “Quell'acaro è il nostro nemico numero uno, ci fa perdere un casino di famiglie tutti gli anni, quindi dobbiamo contenerlo e ridurlo. Come? Prima della fioritura facciamo costruire dalle api dei favi a maschio, perché la 'varroa' preferisce entrare nella cella maschile, poi una volta che le cellette dei fuchi sono chiuse, le asportiamo” spiega Bianchi.

Quale futuro dunque per l'apicoltura e per le api? “Non sono tantissimi i giovani ma qualcosina c'è, il futuro è più o meno garantito. E quel giorno che non ci saranno più le api sarà grave ma non morirà nessuno” rassicura, “perché ci sono altri accorgimenti, si può farlo a mano o con altri insetti, anche se è tutto più complicato”. C'è chi la pensa diversamente, ma intanto buon miele a tutti!