Violenza nascosta tra i banchi

pubblicato da L'Inchiesta #3 - maggio 2003

Aggressioni, estorsioni, minacce, insulti, furti e vandalismi: il disagio dei 12-15enni sta mettendo in crisi il ruolo di molti educatori ticinesi. Nemmeno le autorità sanno con esattezza cosa succede negli istituti. Mentre gli inquirenti denunciano un mondo protetto e impenetrabile...

In Ticino, per arginare il disagio giovanile, a parole si chiede più collaborazione e prevenzione, ma poi proprio molti docenti e genitori si trincerano nel silenzio. L'Inchiesta ha indagato nell'opaco mondo della scuola. In gennaio L'Inchiesta ha contattato per iscritto 44 scuole ticinesi (6 medie superiori, 30 medie e 8 private). Scopo: sapere quanti allievi sono stati sanzionati (dal semplice ammonimento alla sospensione) negli ultimi cinque anni per episodi di violenza verso compagni o docenti. Risultato: solo gli istituti medi superiori e due privati hanno fornito ragguagli (vedi "I casi noti più significativi"). Il Collegio dei direttori delle scuole medie (35 sedi in tutto), senza chiari motivi, non ha rilasciato informazioni.

«Le scuole medie emettono non tanto sanzioni disciplinari» risponde Francesco Vanetta, capo dell'Ufficio insegnamento medio al Decs. «Ma cercano di definire misure e progetti educativi nei confronti di quei ragazzi che assumono comportamenti inadeguati». Sta di fatto che, tenendo conto dell'aumento costante di allievi, i 12-15enni sospesi da mezza giornata a tre giorni sono raddoppiati: 18 nel 1997, 36 nel 2002. In media quattro al mese. Motivi: «comportamento inadeguato in classe, trasgressione delle norme, violenza su compagni, consumo di alcol e droghe, atti irrispettosi verso docenti».

Più tranquilla la situazione nei licei, dove si registrano in media da due a quattro sospensioni all'anno. Il record globale di sanzioni disciplinari (51) spetta alla Scuola superiore di commercio di Bellinzona. Tre espulsioni sono avvenute negli istituti privati Santa Caterina e Sant'Anna, sempre a livello di scuola media.

Il disagio sommerso
A differenza di altri cantoni, in Ticino finora nessun docente è mai stato aggredito. Almeno non fisicamente. Ogni anno una decina di alunni delle medie viene denunciata al magistrato dei minori Silvia Torricelli per ingiuria e diffamazione, vandalismi e graffiti contro strutture per alcune migliaia di franchi, furto di soldi, cellulari, vestiti, biciclette, ecc.

Ma già nel 1998 un'inquietante radiografia realizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità (Health Behaviour in School-Aged Children) testimoniava un piccolo "bronx". Grazie alle risposte di 1'500 allievi ticinesi di 83 classi diverse, si è potuto appurare che quasi il 40% viene coinvolto in situazioni di violenza (botte, risse, scippi) nel corso di un mese. Diverse decine si sentono «intimoriti più volte la settimana» e persino «mai sicuri» a scuola. E sono proprio le medie ticinesi a vantare il record nazionale di allievi armati, soprattutto di coltelli (il 4,5% contro la media svizzera di 3,75%).

Nel 2000 L'Inchiesta ha invece pubblicato in esclusiva la coraggiosa denuncia di una madre circa le continue aggressioni subite dal figlio alle medie di Agno. Situazione risoltasi solo con il trasferimento in un'altra sede. Un anno dopo, con una lettera aperta al Giornale del Popolo (GdP) da parte di un 13enne delle medie di Vezia, vengono alla luce estorsioni e minacce praticate da gruppi di allievi per racimolare soldi.

Sta di fatto che nel marzo 2002, dopo che lo stesso Decs aveva proposto un contestato progetto (poi abbandonato) di «scuole particolari per ragazzi violenti», una commissione speciale sulla devianza giovanile ha stilato un rapporto che fornisce alcuni campanelli d'allarme.

Presso il Servizio educativo minorile, spesso attivato dal giudice Torricelli quando non pronuncia l'arresto, sono in aumento le inchieste a causa di una «maggiore disponibilità verso la violenza». Mentre al Servizio di sostegno pedagogico partecipano 1'159 allievi in più rispetto a dieci anni fa.

Nel marzo 2003 è giunta al municipio di Chiasso un'interrogazione su quattro allievi delle medie che hanno «strattonato e calpestato» uno più giovane per accaparrarsi il posto sull'autobus. Impossibile, per il direttore Renato Canova, non riconoscere una «maggiore irrequietezza» tra i ragazzi.

In aprile, durante la giornata di manifestazione studentesca a Bellinzona, «alcune centinaia» di studenti sono entrati al liceo cittadino distruggendo porte e armadietti. «Non osiamo immaginare cosa sarebbe successo se si fossero scagliati contro i membri della direzione, docenti, allievi e personale» ha poi dichiarato con una certa preoccupazione il direttore Rocco Sansossio.

In realtà nemmeno il Decs ha un'idea precisa di quanto accade nelle scuole. Rassicura affermando che i casi cosiddetti «ingestibili», tra cui allievi delle medie con gravi problemi comportamentali, sono «solo un centinaio», pari allo 0,3% della popolazione scolastica totale.

Un dato però poco rappresentativo, anche perché il quadro in Ticino è estremamente nebuloso. Il motivo per cui, ad esempio, è in pratica impossibile sapere quanti allievi sono stati ammoniti o quanti genitori convocati, è dovuto al regolamento della scuola media. Stando all'articolo 69, solo espulsioni e sospensioni fino a tre giorni e oltre approdano all'ufficio competente del Decs. Ma non tutte le sanzioni inferiori, per le quali è invece il direttore della sede che ha piena autonomia.

Con l'insediamento di un nuovo direttore, tutto diventa ancora più complicato. Ad esempio negli ultimi tre anni alle medie 1 di Locarno agenti della polizia comunale sono dovuti intervenire due volte su richiesta dell'ex direttore Dino Invernizzi, per «vie di fatto e maltrattamenti tra allievi». L'attuale direttore Daniele Bianchetti, interpellato dall'Inchiesta, ha detto di non esserne al corrente.

Ma già due anni fa, in un'intervista al GdP, il direttore delle medie di Giubiasco Gianni Togni aveva fatto riferimento a tutti quei casi sommersi per i quali non si possono escludere manifestazioni di violenza: cioè allievi «sistematicamente irrispettosi, fonte di grave disturbo, più "malleabili" o nascosti».

Senza contare che in Ticino circa 280 minorenni in crisi già oggi non seguono l'iter scolastico tradizionale, perché ospiti della dozzina di strutture educative speciali del cantone. Oltre a un centinaio di affidamenti famigliari e la ventina di degenti (in aumento) presso la Clinica psichiatrica cantonale a Mendrisio (vedi "Aumentano I minorenni in crisi…").

«Il comune di Lugano ha organizzato durante questo anno scolastico una serie di incontri con una psicoterapeuta» dice ad esempio Diego Lafranchi, presidente del sindacato docenti Ocst. «Per aiutare gli insegnanti ad affrontare i problemi posti da allievi particolarmente difficili».

Nemmeno le fredde statistiche degli inquirenti lasciano dubbi sulla crescente inciviltà degli adolescenti, nonostante il susseguirsi di campagne di prevenzione a spese di tutti i cittadini.

La campana di vetro
Gabriele Gendotti, appena riconfermato alla testa del dipartimento, nel corso della passata legislatura ha promesso più soldi per i casi difficili e più docenti di sostegno pedagogico. Stando ai sindacati dei docenti sono invece previsti tagli, con un ulteriore peggioramento del clima scolastico.

Mentre continua il teatrino delle cifre, in febbraio è stato istituito dal Decs e dal Dipartimento sanità e socialità (Dss) il Forum per la promozione della salute nella scuola. Scopo: favorire e migliorare il dialogo fra tutti gli attori coinvolti (genitori, docenti, allievi, inquirenti). Nei fatti però è proprio il mondo scolastico a rivelarsi più ermetico ai non addetti ai lavori.

«I dati statistici sulla criminalità nelle scuole non sono completi» conferma Mario Ritter, commissario della polizia cantonale ticinese, ideatrice, guarda caso, della campagna di prevenzione del 1999 Uniti contro la violenza, lanciata prioritariamente nelle scuole medie. Di fatto la polizia ha le mani legate dalla Legge sulla magistratura dei minorenni, che limita l'intervento di agenti nelle scuole solo quando «speciali circostanze lo richiedono», recita l'articolo 19.

«È un ambiente chiuso» denuncia un funzionario della polizia comunale di Lugano. «La scuola tende a proteggere gli allievi e a risolvere le cose all'interno». Ma sulla volontà di dialogo qualche ragionevole dubbio esiste. Mentre a livello federale si intende inasprire il codice penale dei minori (portando ad esempio da 1 a 4 anni la detenzione massima dai 16 anni), nella scuola prevale ancora un approccio educativo, radicalmente opposto, la cui efficacia è però tutta da dimostrare.

«Purtroppo si è diventati troppo tolleranti» ha affermato alcuni mesi fa al GdP Sabrina Cattaneo, una giovane docente al liceo di Lugano 1. «Una volta un ammonimento verbale bastava a calmare un allievo esuberante. Il problema è che aumentano in modo esponenziale tali personaggi, per quanto si sostenga il contrario».

E mentre la maggior parte dei docenti non vuole "rovinare" i ragazzi con misure più severe, gli inquirenti la pensano diversamente. «Una denuncia, al contrario di quanto si pensa, può effettivamente aiutare il ragazzo che commette dei reati» dice Torricelli. «A volte veniamo a conoscenza troppo tardi di situazioni già da tempo problematiche. Situazioni che se ci fossero state segnalate tempestivamente, magari non avrebbero continuato a deteriorarsi».

Le poche denunce rispecchiano una sorta di "codice di condotta" dettato dalla professione. Specie in situazioni di conflitto, quando ognuno si avvale delle proprie capacità pedagogiche. È il caso di questo giovane attivo alle medie di Minusio e insultato da un allievo con un «vaffanculo!».

«Ho reagito con calma» racconta. «Poi l'allievo si è scusato e con il docente di sostegno pedagogico ha spiegato perché si è comportato così». Ma lo stesso codice impone il silenzio: di fatto non sono molti i docenti che parlano volentieri di violenza attuata o subita dai propri allievi. Poiché, in una certa misura, ciò significa riconoscere i propri limiti in qualità di educatore.

Lo prova il velo di segretezza calato su una vicenda giunta fino all'ufficio giuridico del Decs, accaduta nel settembre scorso al Liceo 2 di Lugano. Un docente, dopo essere stato «pesantemente minacciato e insultato» da un ex allievo, perché da lui bocciato agli esami, lo ha dapprima querelato per poi ritirare la denuncia. L'Inchiesta non è riuscita a ottenere una replica perché i pochi a conoscenza del fatto non hanno rilasciato informazioni. Nè il direttore del liceo Jürg Nigsch, nè il segretario del sindacato docenti Ssp/Vpod Raoul Ghisletta, a cui è stato, per così dire, segnalato il caso. Di fatto il presidente sindacale Mario Biscossa non ne sapeva niente. Come neppure il Collegio dei direttori delle medie superiori presieduto da Laura Donati.

Ma mentre molti tacciono, altri non esitano ad affilare gli artigli se qualcuno "osa" insinuare dubbi sulle competenze della categoria. Ne sa qualcosa il deputato liberale Edo Bobbià, che ha in pratica accusato «una crescente fetta di insegnanti» di oziare durante le pause estive invece di aggiornarsi. Ma anche il leghista Norman Gobbi che denuncia «il menefreghismo di quella minoranza di docenti che fa finta di niente» di fronte al disagio giovanile. Oppure l'Udc Umberto Marra che, in merito ai vandalismi nelle città, auspica una responsabilizzazione di quei docenti che «superficialmente e semplicisticamente snobbano il reale rischio degli allievi che bigiano».

Tutte critiche ingiustificate? Non si direbbe, stando almeno alle risposte, anonime ma molto chiare, contenute nel rapporto dell'iniziativa "Star bene a scuola, è possibile?", promossa nel 2000 dall'Ufficio federale della sanità nelle scuole medie. Il 70% dei 153 docenti attivi alle sedi di Breganzona, Acquarossa, Lugano, Minusio, Stabio e Roveredo, oltre a domandare esplicitamente più competenze pedagogiche, precisa persino di «non volere interferenze dei genitori negli affari scolastici», in barba alle maggiori sinergie.

Di violenza, però, laddove si formano i docenti, non se ne parla molto, riconosce Giorgio Hausermann, responsabile dell'abilitazione presso l'Alta scuola pedagogica di Locarno. «I settori più particolari sono toccati dai formatori in scienze dell'educazione. Oppure durante i laboratori didattici, in cui emergono problematiche di questo tipo» dice Hausermann. In pratica i corsi di aggiornamento nei licei sono obbligatori solo dal 1995, mentre la formazione continua (per tutti i livelli) è facoltativa.

Ma non è finita. Spesso a fare da contorno alla violenza c'è la droga: il 35% degli incarti aperti da Torricelli riguarda consumo e spaccio di stupefacenti (in genere ecstasy, cocaina, canapa). E proprio in Ticino, dove è tuttora in corso una vasta operazione di polizia e magistratura contro "l'oro verde", l'allarme lanciato di recente dall'associazione mantello dei docenti svizzeri sull'abuso di canapa nelle scuole ha avuto un'eco ambigua.

In marzo Romano Piazzini, comandante della polizia cantonale, ricalcando quanto già si fa in Inghilterra, ha proposto di inviare agenti nelle scuole in veste di "docenti" per fare prevenzione sulle droghe. L'idea non è finora piaciuta molto: il Collegio dei direttori delle medie superiori, interpellato dall'Inchiesta, ha detto di non esserne nemmeno al corrente. Il Collegio dei direttori delle medie non ha preso posizione.

La latitanza dei genitori
Psicologi e criminologi non hanno dubbi puntando il dito contro famiglie assenti o troppo tolleranti, contro quell'effetto perverso che è il crescente sentimento di impunità dei figli, sempre più viziati e benestanti. Massimo Picozzi, tra i più autorevoli criminologi italiani, in alcuni suoi studi dimostra che la maggior parte dei reati commessi da minori (spesso ispirati da Tv e videogiochi) avviene tra le ore 16.30 e 19.30, cioè proprio quando docenti e molti genitori sono assenti.

«I genitori che vengono contattati, sempre più sono figure che non ci sono» stigmatizza anche Franco Lazzarotto, direttore delle medie di Biasca e coordinatore per il Decs della campagna di prevenzione del 1999. «Ma non bisogna mai abbassare la guardia. Ogni scuola è un mondo a parte e ognuno, docenti e genitori, deve giocare il suo ruolo».

Sul principio, tutti d'accordo, ma poi nei fatti, quando si tratta di denunciare episodi di violenza, cala il silenzio. «Sono successe cose» si è limitata a dire all'Inchiesta la presidente della Conferenza cantonale dei genitori (Ccg) Francesca Bordoni Brooks. «Ma solo per sentito dire. Non abbiamo mai ricevuto segnalazioni».

Il motivo è lo stesso dei docenti, con la differenza che su chi deve educare i ragazzi spesso sono le famiglie a fare orecchie da mercante. Ma allo scaricabarile, riconosciuto anche da Gendotti durante l'istituzione del forum di febbraio, si aggiunge anche la complicità tra educatori. La portavoce di molti genitori ticinesi, intervenuta il 29 marzo scorso in un dibattito televisivo sulla petizione lanciata da circa 6 mila locarnesi contro l'esuberanza notturna di alcuni giovani, ha chiaramente accennato a un «accordo tacito tra scuola e genitori» sui disagi adolescenziali.

Genitori, tuttavia, poco presenti anche nel sito internet a loro dedicato, quello della Ccg in cui è attivo un cosiddetto "forum di discussione". In gennaio l'Inchiesta ha lanciato il dibattito per raccogliere testimonianze, ma senza esito. Eppure le assemblee dei genitori sono attive in 23 scuole medie e 2 licei. Mentre la Ccg organizza, attraverso la Federazione svizzera per la formazione dei genitori, corsi per la «gestione dei conflitti».



Tre tipologie di violenza scolastica

Secondo gli esperti, come Markus Dieth dell'Istituto Alfred Adler di Zurigo, la violenza a scuola si manifesta con: (1) disturbo, mancanza di disciplina; (2) volgarità, insulti verbali; (3) violenza fisica e sessuale. Ecco di seguito gli episodi più significativi capitati dal 1997 negli istituti interpellati da L'Inchiesta.

Nelle scuole medie i direttori delle 30 sedi interpellate (su 35) hanno rifiutato di fornire informazioni.

Scuole medio superiori: al Liceo di Bellinzona è stata creata una "commissione per i problemi personali", mentre la violenza è tra i primi problemi dell'istituto. Un allievo sospeso per un giorno per «atto di violenza contro un compagno». Alla Scuola cantonale di commercio di Bellinzona un allievo sospeso per un giorno per «ripetuto comportamento inadeguato verso compagni e docenti». Tre casi di violenze verbali contro insegnanti e compagni. Nel Liceo 1 di Luganom, un allievo sospeso per una settimana (malgrado la legge preveda al massimo tre giorni) per «grave aggressione fisica di un compagno». Uno per due giorni «per atteggiamento villano verso un docente». Nel Liceo 2 di Lugano, un docente ha sporto denuncia, poi ritirata, contro un ex allievo che lo aveva «minacciato e pesantemente insultato» perché bocciato agli esami. Al liceo di Locarno, due allievi ammoniti per aggressione in assenza del docente. Un gruppo intero per «molestie telefoniche a un docente».

Nelle scuole private, all'Istituto Sant'Anna (Lugano), a livello medio, la metà delle sanzioni riguarda violenza fisica e verbale: due ammonimenti per «violenza fisica» e quattro per «violenza verbale» sempre verso compagni. Due espulsioni dalla scuola per «ripetuti atti di violenza verbale verso compagni e docenti». A livello medio-superiore, un ammonimento per «violenza verbale verso docenti». Istituto Santa Caterina (Locarno): un allievo delle medie espulso per «impossibile adeguamento alle normali regole scolastiche». Il caso ha necessitato strutture adeguate. Le scuole medie La Traccia (Bellinzona) e Parsifal (Sorengo) non hanno fornito informazioni. Collegio Papio (Ascona) e Liceo Diocesano (Breganzona) hanno detto di «non essere in grado di rispondere».

«Naturalmente i nostri allievi non sono "santi"» dice Lucia Faillaci della scuola media Steiner (Origlio). «Ma i casi di indisciplina non sono tali da richiedere interventi estremi». All'Istituto Elvetico (Lugano), dice il rettore Francesco Viganò, si segnala un solo «episodio vistoso».



La polizia smentisce il Decs

Negli ultimi anni si moltiplicano campagne di prevenzione verso i giovani. Anche a carico dei cittadini, ma i risultati non si fanno vedere.

Dal 1996 è attiva la fondazione Promozione Salute Svizzera, alla quale fanno capo anche progetti e iniziative nelle scuole, finanziata da tutti i cittadini con fr. 2.40 all'anno tramite i premi delle casse malati, per un totale di circa 17 milioni di franchi. Nel 1999 viene lanciata "Uniti contro la violenza", nel 2000 "Star bene a scuola, è possibile?", nel 2003, in Ticino il "Forum per la promozione della salute nella scuola" (vedi articolo). Chiediamo: quale bilancio trarre dalla campagna del 1999, nata proprio su suggerimento della polizia cantonale ticinese? «Potremmo definirci parzialmente insoddisfatti» commenta Mario Ritter, commissario della polizia cantonale e portavoce dell'iniziativa. «La campagna non ha saputo contenere maggiormente l'evolversi della situazione».

«La campagna non è stata assolutamente un fallimento» risponde invece Francesco Vanetta, dell'Ufficio insegnamento medio. «Bensì un'occasione per svolgere attività di sensibilizzazione verso allievi, docenti e genitori».

Iniziative che però finora non sembrano dare frutti, viste le statistiche. Di fatto sono in aumento minori autori di reati contro l'integrità fisica e la vita. Dal 1988 al 1998, riporta l'Ufficio federale di statistica, sono triplicati: da 269 a 860. Il numero di denunce per vie di fatto, minacce, coazione e lesioni è persino superiore a quello degli adulti (11% contro 9%). A Basilea e Ginevra un terzo delle condanne riguarda fanciulli tra 7 e 15 anni. Il 15% in Ticino. In Ticino in media gli incarti aperti presso il tribunale dei minori sono 1'000 all'anno. Nel 1999 gli autori di reato erano 678, 1'131 nel 2001.



Lo psicologo: «Più collaborazione di rete»

Per chi lavora "al fronte", in foyer e centri educativi per minorenni, la situazione non solo peggiora e mancano strutture adeguate, ma la scuola si trova impreparata.

Mentre il Decs registra un centinaio di «casi gravi» nella scuola, in Ticino ci sono tra 260 e 300 minori disagiati ospiti dei centri educativi speciali. Un centinaio di affidamenti famigliari e «un aumento di ospedalizzazioni di minorenni» (20 nel 2001, 25 nel 2002) alla Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio, fa sapere il direttore medico Silvano Testa.

Molti, troppi, come hanno denunciato l'anno scorso sui quotidiani il direttore della fondazione Foyer Pro Juventute Raffaele Mattei e Renzo Spadino, coordinatore della Conferenza dei direttori dei centri educativi per minorenni (Codicem). Spadino, interpellato dall'Inchiesta, non ha lesinato nel denunciare quelle famiglie disastrate con «mamme con problemi psichiatrici» e «padri assenti o al fresco».

«In questi ultimi anni assistiamo a un fenomeno nuovo» spiega lo psicologo Luca Forni dal suo osservatorio privilegiato, il centro Pronta accoglienza e osservazione a Mendrisio. «Caratterizzato da un aumento del disagio giovanile associato all'inizio dell'adolescenza, che pone in serie difficoltà la scuola e altre istituzioni. È auspicabile rivalutare la missione della scuola. Favorendo il miglioramento delle competenze relazionali ed educative dei docenti, alimentando una cultura di collaborazione di rete con la scuola e i vari attori esterni».



Delinquono di più i minori benestanti

Spesso, davanti ai reati commessi, si punta il dito verso giovani e famiglie disastrate. In realtà, come mostrano studi e ricerche, a porre problemi sono in maggioranza quelli di classe agiata.

In Ticino si stima che in un caso su dieci, dietro al disagio del minorenne, si celano altrettanti disagi famigliari, come nuclei monoparentali, ricomposti, multietnici, ecc. Tuttavia, nella maggior dei casi sono invece gli adolescenti "bene" che delinquono di più, anche in Svizzera.

Secondo Martin Killias, docente all'Istituto di polizia scientifica e criminologia all'Università di Losanna, i motivi sono almeno due: figli che si sentono «declassati» rispetto allo status del padre; oppure condizioni residenziali «estreme» (come le grandi periferie francesi). Un'inchiesta del 2002 pubblicata dal settimanale italiano Panorama lo conferma. A Milano il tribunale dei minori nel 70% dei casi si occupa di giovani benestanti, i cui genitori «fanno di tutto perché non si arrivi in tribunale» e «più facilmente risarciscono i danni e mettono tutto a tacere».

In Ticino mancano statistiche. Stando al giudice dei minori Silvia Torricelli il fenomeno sarebbe «trasversale», cioè interessa tutte le classi sociali. Risulta però difficile pensare che i minorenni ticinesi facciano eccezione a una tendenza in atto in tutti i paesi occidentali.