Un sms agli adulti

pubblicato da Ticinosette #49 - 4.12.2015

Adolescenti. Per molti di loro il computer è già superato: è il cellulare che media sempre di più la loro vita sociale, sentimentale e sessuale. Ma a scuola è tabù...

Partiamo da un caso di cronaca capitato in Ticino. Dei ragazzini delle scuole medie, tra i 12 e i 15 anni, si sono prestati, non sappiamo se volontariamente o molto ingenuamente, ad atti sessuali con un 22enne in cambio di soldi (anche cifre a tre zeri) o di oggetti alla moda, tra cui dei fucili “soft-air” (per cui serve la maggiore età) e gli immancabili telefonini dell'ultimo grido. I giovanissimi sono tutti di sesso maschile e l'autore del reato omosessuale.

La notizia è della scorsa primavera e rappresenta soltanto una faccia di un malessere che gli adulti o non conoscono o stentano a riconoscere, eppure questo sottobosco adolescenziale esiste. In queste righe tentiamo una riflessione che ha un denominatore comune: gli amati telefonini, vero e proprio status per la cosiddetta “generazione Duemila”.

L'abuso del telefonino
Nel 2009 a Milano venne a galla uno “scenario raggelante”, disse il pediatra per adolescenti Luca Bernardo. Protagonisti furono dodici ragazzini (otto maschi e quattro femmine). Bernardo commentò così: “ragazze di famiglie medio-alte che si mettono in palio attraverso foto hot per una ricarica telefonica, un iPod, un braccialetto di Tiffany. I rapporti vengono consumati nei bagni delle scuole, dopo essersi dati un appuntamento via sms. I colleghi maschi tengono questi 'book' fotografici, se li scambiano, offrono sempre nuovi doni in una escalation di degrado e delirio di onnipotenza”.

In queste squallide vicende il cellulare è sempre protagonista: oggetto del desiderio o strumento di persecuzione. Succede anche in Svizzera col famoso “sexting” che, stando ai sondaggi, pochi adulti ancora conoscono. È notizia di agosto che nel canton Neuchâtel una coppia di 14enni si è filmata durante un rapporto sessuale e ha spedito, in comune accordo, il video ai compagni di classe.

Si tratta di un reato (art. 197, CPS), l'esposizione di minori di 16 anni a contenuti pornografici, che evidentemente non è molto chiaro ai ragazzini ma è ampiamente sottovalutato dagli adulti. Possiamo immaginare che lo fecero per vanto o per esibizionismo, o che il ragazzo volesse in realtà denigrare la fidanzatina, chissà, ma è certo che nessuno di loro fosse cosciente delle conseguenze. Infatti, per motivi legati agli stereotipi di genere sui quali qui non ci dilunghiamo, l'ingenua ragazzina è stata oggetto di pesanti insulti nelle reti sociali, mentre non sorprenderebbe che lo spavaldo fidanzatino sia stato elogiato dai coetanei.

Recenti sondaggi (p. 38) tra i 12-19enni svizzeri affermano che il “sexting” è opera dei maschi in misura maggiore, mentre le femmine ne sono l'oggetto. Inoltre “non si registrano differenze tra le regioni linguistiche. Ceto sociale, passato migratorio e domicilio sono privi di rilevanza per quanto riguarda i contenuti pornografici o erotici (...)”.

La distanza degli adulti
Veniamo in Ticino, per rinfrescarci un po' la memoria. Nel 2007 un'allieva minorenne di una scuola media avrebbe girato un video porno su di sé che poi sarebbe circolato a scuola. Nel 2011 si denunciò la presenza di “molte ragazzine” che fanno sesso per gioco restando poi in cinta. Nel 2014 si parlò di un “gruppetto di ragazzine tra i 13 e i 15 anni” che offrivano il loro corpo in cambio di cocaina. Quest'anno ecco la storia dei fidanzatini che costringono le loro compagne “tra i dodici e i sedici anni” a fare sesso con altri in cambio di soldi o oggetti per il proprio prestigio.

Spesso gli adulti restano increduli, proprio come lo furono l'anno scorso quelli presenti ad una serata informativa, quando una giovane riferì di ragazzine 12enni (o poco più grandi) che si sarebbero prostituite dietro compenso (non si sa che cosa) in un ritrovo serale. "Tutti sanno cosa succede. Chiedete in giro e tutti vi risponderanno che è così. Tra i giovani è un fatto risaputo" disse. Alcuni rimasero scioccati, altri ancora negarono che ciò potesse accadere sotto casa. Risultato: la giovane non venne creduta. Motivo: non c'erano prove e nessun adulto (politici locali, polizia, operatori sociali, ecc.) aveva mai sentito nulla.

Le autorità giudiziarie condussero imprecisati “accertamenti” e il presunto episodio venne definitivamente smentito. Ma come e che cosa fu accertato? Perché sarebbe plausibile soltanto se ci sono foto o filmati nei cellulari? Sono fandonie solo perché la rete di adulti non sa nulla? Perché i testimoni avrebbero dovuto dirlo alle autorità? Ma soprattutto perché inventare una storia simile? Soltanto per ripicca verso qualcuno? Non avendo risposte a queste domande non possiamo escludere che qualcosa sia davvero accaduto e che, ancora una volta, l'amato telefonino non sia stato protagonista dei fatti.

L'appello ai genitori
Il fatto di cronaca in apertura, come spesso accade in queste vicende, è venuto a galla un po' per caso, grazie ad un genitore insospettito. Per questo l'appello di Radix Svizzera italiana è: “fatevi mostrare dai vostri figli come usano internet (o il cellulare, ndr.): se dimostrate interesse per quello che fanno, si sentiranno presi sul serio”. Già, ma quanti genitori lo fanno? Quanti si rendono conto che i cellulari odierni, gli smartphones, non rappresentano più soltanto un costo tariffale, come ha detto giustamente su queste pagine l'esperto Alberto Pellai?

Si pone quindi una questione tuttora argomento di discussione: il diritto alla privacy del minore (sancito dalla Carta ONU dei diritti dei fanciulli) deve prevalere oppure no sulle responsabilità e i doveri dei genitori che, tra l'altro, pagano l'abbonamento al telefonino dei figli? Il buonsenso direbbe che non va bene né un eccessivo menefreghismo né l'essere troppo protettivi: sono scelte individuali e di comunità.

In un'intervista al magistrato dei minorenni Reto Medici, un difensore dei diritti dei minori, gli chiesi quale fosse il senso della tutela dei minori in Ticino rispetto all'autonomia, alla responsabilizzazione dei bambini più diffuse nei paesi nordici. “Credo che ogni comunità debba seguire il suo percorso. È importante sia promuovere i diritti dei minori, affinché possano essere più tranquilli quando saranno eventualmente esposti a una situazione di rischio; sia accettare certi rischi, perché è quando ci spostiamo verso i nostri limiti che impariamo molto” rispose.

Sarebbe bello sapere: quanti minorenni in Ticino conoscono i loro diritti? Di quali diritti stiamo effettivamente parlando in questi casi: privacy, protezione dai pedofili, dignità, educazione, consapevolezza, ecc.? Quali rischi sono pronti a correre gli adulti? Ma soprattutto è forse un diritto del minorenne possedere un cellulare?

Le oscure interfacce
La risposta all'ultima domanda è scontata, eppure per capriccio o comodità l'adulto acconsente. Si stima che oggi molti ragazzini ricevano il loro primo cellulare già all'età di 11-12 anni e che la quasi totalità degli adolescenti ne possegga uno. Inoltre, leggiamo, “le chat sono più diffuse in Ticino che nella Svizzera tedesca e francese”. I fatti e gli episodi riportati dalla cronaca dimostrano, come se ce ne fosse ancora bisogno, che nell'era digitale molto c'è ancora da fare (o da cambiare) nell'educazione sessuale e sentimentale della cosiddetta “generazione Y”.

Molti esperti concordano ormai sul fatto, incomprensibile per molti adulti, che i ragazzini si avvicinano alla sessualità sempre più attraverso gli amati telefonini. Soltanto di recente si è iniziato a studiare il fenomeno. Il “sexting” infatti può essere un atto di bullismo ma, dichiarano per esempio gli autori di uno studio statunitense, “può servire come una tecnica che porta a comportamenti sessuali reali, o come un modo per indicare la propria disponibilità a raggiungere un migliore livello di intimità”.

Capire questa nuova forma di interazione tra tre potentissimi stimoli, quelli sociali (l'ambiente), tecnologici (i cellulari) e biologici (gli ormoni), appare dunque sempre più necessario. Moltissimi genitori non hanno la più pallida idea di cosa siano le applicazioni per cellulari più popolari come “WhatsApp”, “Kik”, “SnapChat”, “Instagram”, “Ask”. Sebbene la loro politica aziendale vieti la pubblicazione di contenuti erotici, basta una ricerca in “Google” per rendersi conto che non è vero. Purtroppo lo sanno bene anche i pedofili, proprio come il 22enne ticinese arrestato.

Purtroppo lo sanno bene anche i pedofili, proprio come il 22enne ticinese arrestato. Il campanello d'allarme sta suonando già da un paio di anni negli Stati Uniti sia per “SnapChat” sia per “Kik”. Anche la Francia ne parla, ma la Svizzera? La scuola potrebbe essere un luogo privilegiato di sensibilizzazione, a maggiore ragione sapendo che questa generazione, per motivi anche molto ovvi, sta “migrando” in massa dal computer al cellulare.

Il ritardo della scuola
La scuola dell'obbligo, specie quella pubblica, ha un enorme ritardo nell'insegnamento dell'uso consapevole dei cellulari agli adolescenti. Perché il telefonino è osannato nella vita sociale ma è vietato (se non demonizzato) a scuola? I ragazzini potrebbero chiedersi: se me lo proibiscono allora vuol dire che non ho nulla da imparare in merito? Oggi moltissimi istituti dell'obbligo lo vietano, gli allievi vengono alfabetizzati all'informatica coi computer, ma usano praticamente solo il cellulare: è coerente?

In Ticino si fece nel 2007-2009 una campagna cantonale sull'uso consapevole dei telefonini ma la scuola non fu mai coinvolta attivamente. Motivo: la mancanza di risorse. Oggi il sito internet del cantone dedicato al tema è inattivo e il motivo è lo stesso di prima.

In alcuni paesi esistono già dei programmi pilota di introduzione dei cellulari in classe a scopo didattico, in altri si comincia appena a discuterne, l'argomento divide ma il punto centrale è: “come possiamo dire ai bambini che la tecnologia è una parte importante del programma di studi quando, contemporaneamente, diciamo che non ci si può fidare dei propri dispositivi perché inibiscono il loro apprendimento?” si chiede per esempio Daniel O'Sullivan, un ex insegnante inglese. Il divieto, dice, rischia soltanto di lasciarli “incollati” alla tecnologia, di privarli di importanti strumenti di codifica e di comprensione, mentre il cellulare andrebbe integrato come si è fatto col computer.

Rincorrere i giovani
Ma come, quando e in quali materie utilizzare il cellulare? Ciò compete al Dipartimento formazione apprendimento (DFA) della SUPSI. Nel “Nuovo piano di studio” della scuola ticinese il riferimento all'uso dei cellulari resta vago. Intanto cosa si sta facendo coi futuri docenti al DFA? "Il discorso delle tecnologie a scuola (dall’uso consapevole a quello didattico, passando per l’educazione ai (nuovi) media) viene trattato ma in modo non approfondito per mancanza di tempo. E nel successivo ambito della formazione continua – proposta dal DFA e dai settori scolastici - che questo discorso viene proposto e ampliato" ci dice Marco Beltrametti, esperto del Centro di risorse didattiche e digitali cantonale e membro di un gruppo di lavoro.

Sembra ci siano buone prospettive. "Il sottoscritto è stato incaricato di organizzare e coordinare un gruppo di lavoro sui 'device' (cellulari, tablet, ecc., ndr.) mobili i cui lavori inizieranno a breve. La mia posizione non è quella di vietare questi strumenti, molto potenti e addirittura paragonabili ad artefatti cognitivi, ma di educare gli allievi al loro utilizzo e, quando se ne presentasse l’occasione, di utilizzarli in modo proficuo nel contesto didattico. Nel settore post-obbligatorio l'utilizzo di questi strumenti comincia a emergere come interessante. Manca, un approfondimento a livello di scuola obbligatoria: è quello che faremo con questo gruppo di lavoro".

Già, perché le applicazioni per “chattare” dilagano nel tempo libero dei ragazzini, spesso in maniera inconsapevole la sera e persino di notte, causando disturbi che molti studi ritengono non trascurabili: sulla salute, sul sonno, sul rendimento scolastico (specie per gli allievi con più difficoltà), sul comportamento, ecc. Non a caso si parla di vera e proprio “dipendenza da telefonino”.

Insomma, a nessun adulto, genitore o docente, avvertiva il dottor Bernardo di Milano, interessa una generazione “che cresce tra rapporti promiscui e incapacità di relazione, tra esibizionismo e patologica indifferenza”, senza contare i rischi sanitari come “l'aumento di infezioni tra gli adolescenti, dalla mononucleosi fino all'epatite B, alle gravidanze indesiderate e i conseguenti aborti”.



Reazioni: "leggo sempre con interesse i suoi articoli, che ritengo approfonditi e interessanti. Mi permetto di disturbarla a proposito di “Un sms agli adulti” (ticinosette, numero 49). Premetto che non sono parte in causa, in quanto non ho né bambini né adolescenti di cui occuparmi. Però alcuni dettagli non mi sono chiari. Ecco il primo, a pagina 6: “Il diritto alla privacy del minore deve prevalere oppure no sulle responsabilità e i doveri dei genitori?” A questo punto mi domando: “Ma se io come mamma sospettassi che mia figlia (o mio figlio) si mettesse in vendita per soldi, oggetti alla moda e telefonini (v. pagina 4, primo capoverso) non potrei esigere di vedere il suo computer o il suo cellulare? O rischierei una denuncia per violazione dei diritti dei minori?” Sinceramente, non so che cosa pensare. Ed ecco il secondo, a pagina 8: “La scuola dell’obbligo, specie quella pubblica, ha un enorme ritardo nell’insegnamento dell’uso consapevole dei cellulari agli adolescenti. Perché il telefonino è osannato nella vita sociale ma è vietato a scuola? … In pratica moltissimi istituti dell’obbligo lo vietano.” Sinceramente, mi domando se un insegnamento sull’uso consapevole del telefonino avrebbe davvero successo. I docenti potrebbero dare alcune regole, ma sarebbero ascoltati? È chiaro: in aula potrebbero dire: “Adesso cerchiamo, con l’aiuto dell’informatica, notizie su Gandhi o su Einstein.” Ma appena fuori, molti giovani sceglierebbero ben altri argomenti. E non rinuncerebbero a stupidi atti di bullismo solo perché il docente ha tentato di sensibilizzarli, chiarendo per esempio l’angoscia e il terrore provati dalle vittime. Inoltre a scuola si devono usare anche i libri, si deve partecipare a discussioni, occorre svolgere componimenti … Non so se lei è già stato invitato a parlare con gli studenti della sua attività: mi risulta che alcuni gruppi di genitori chiedano talvolta ai professionisti di presentare il mondo del lavoro. Sinceramente, le piacerebbe se durante una sua conferenza i giovani, invece di ascoltarla e porle domande, giocherellassero con i cellulari? C’è un tempo per ogni cosa! Inoltre, questa schiavitù nei confronti del consumismo mi lascia alquanto perplessa." (A. R., lettera alla redazione, 5-12-2015).