Intellettuali, cultura e generazioni

pubblicato da La Regione - 10.10.2014

Proprio perché gli intellettuali d'un tempo non esistono forse più, e il dibattito sul cambiamento non compete più soltanto a loro, mi inserisco nell'urgenza dello stesso, quale voce di una più giovane generazione, benché abituata a stare sempre più zitta e anonima.

Il dibattito di cui mi felicito, quello della cultura perduta e disgregata, quello dell'identità comune ma vieppiù negata, avviato su queste pagine dallo storico Ghiringhelli, dallo scrittore Piccardi e dal docente Gemelli, temo risulterà probabilmente sterile, non solo perché è tardivo, ma perché non è retto da solide fondamenta che questa terra, la mia, la nostra, se mai le ha avute, le ha cancellate, affuscata dai miraggi economici, storicamente abituata al litigio (l'egoismo) e al conservatorismo (l'ottusità). Questo equivale appunto all'annullamento di sè e di tutti quanto ci circonda.

Non dico che non vi siano spiragli di speranza, ma gli interventi finora, oserei dire, sono poco innovativi. Come riaccendere una presa di coscienza che soltanto a nord delle Alpi, per restare in Svizzera, ancora noto? Come sfuggire alla barbàrie che attanaglia questo cantone svizzero che, dell'arretratezza ideologico-culturale di ogni sud, s'è sempre distinto? L'imbarazzo per molti della mia generazione, nata negli anni '70, incastrata tra quella dei "nativi digitali" e quella del dopo Guerra, è crescente; così come, va da sè, l'orgoglio di chi non vuol vedere altro.

Se così siam messi, il merito o il demerito va ricercato tra chi questa cultura e mentalità l'ha forgiata, ovvero le vecchie generazioni, tuttora saldamente al comando e qui sta il problema. A voi di questa generazione va detto chiaramente che questo mondo, quello della globalizzazione (che conoscete a malapena ma che avete imposto), delle tecnologie di massa e del virtuale (che poco sapete usare ma che criticate), che avete creato per i vostri interessi (economici), senza pensare minimamente alle conseguenze (e qui sta la gravità), non sta certo meglio di prima. Questo non è il mondo in cui pensavamo di vivere quando eravamo bambini, ma ce lo avete regalato lo stesso e di questo non possiamo ringraziarvi. Semplicemente non possiamo.

Perché ora o a qualcuno (noi e i prossimi) toccherà rimediare, per il benessere di quelli che verranno (compresi i nostri figli, vostri nipoti), o non si farà niente e andrà sempre peggio. Voi che vi eravate illusi di migliorare il mondo nel '68, proprio voi vi siete arresi subito, già negli anni '70, senza parlare degli anni '80. Avete improvvisato invece di pianificare per il futuro, distrutto invece di costruire meglio, diseducato invece di educare, complicato invece di semplificare. Dunque quella "persa" sarebbe la vostra generazione, anche se ci fate credere il contrario. Noi siamo vittime di una condizione ricevuta. Potremmo rimediare, ci dite, ma non mettendo cerotti come fate voi da decenni, bensì cambiando radicalmente, innovando, boicottando, "rivoluzionando", insurgendo pacificamente (Hessel dixit).

Non c'è nulla di nuovo nel limitarsi a commentare dalla vostra tranquillità, dalla vostra (per noi) invidiabile posizione, non tanto professionale quanto sociale. Certo, avete lottato anche voi, ma la lotta odierna non ha niente a che fare con la vostra, perché è immensamente più complessa e meno localizzata. Chiedete ai giovani di fare lo stesso, quando a questi stessi giovani state inoculando soltanto la paura (dell'altro) e l'insicurezza (del lavoro), quando la scuola che voi avete modellato verte sempre più sul "fare" e non sul "pensare". Grazie per la coerenza. S'è detto che gli intellettuali tradizionali sono scomparsi o stanno scomparendo, certo che sì, anche perché sono mortali, e forse è meglio così.

Se tacciono fore è perché non si sentono più parte di questa società isterica, disordinata e arrogante, nella quale persino burocrati, tecnocrati e politici si sentono "intellettuali". A cosa servirebbe ribadire valori e concetti indubbiamente veri, giusti e condivisibili, ma ormai superati da eventi nuovi (nuove famiglie, nuove comunicazioni, nuove socializzazioni), sempre creati da voi, di una portata sociale tale che nessuno sa a cosa porteranno.

La vera domanda che dovremmo tutti porci in questo microscopico meridione incapace di evolvere perché sostanzialmente incapace di unirsi e di guardare oltre, non è perché gli intellettuali, genuini o meno, se ne stanno zitti, ma se c'è e dov'è la voce della relève? Della futura classe pensante? Esiste la nuova generazione di "intellettuali"?

Se esiste, mi pare che non venga nemmeno ascoltata per il semplice motivo che la cosiddetta "classe dirigente" siete sempre voi, voi che vivete più a lungo dei nostri avi, voi che il potere non mollate, voi e solo voi che lanciate sempre i dadi, voi che la nuova generazione temete perché naturalmente innovativa, più aggiornata e sovente più competente, voi stanchi di lavorare, anziani che fanno i giovani, che bramate fino all'ultimo centesimo di pensione, pensione che noi, grazie alla vostra egoistica ingordigia (giacché è il lavoro che oggi manca) non vedremo forse mai, perché costretti a lavorare fino a ottant'anni.

Se esiste, il ricambio non è solo nel silenzio che dovrebbe lavorare, ma visibilmente, parlando, scrivendo, agendo, gridando, protestando, perché deve disturbare, infastidire, in un mondo che dei mezzi di comunicazione ha fatto il suo altare. Ma se il ricambio non c'è, è comunque colpa vostra, di voi che fate la famiglia, la scuola, gestite la cultura, le città e le perfierie, creando solo assistiti e disabili sociali. Se non esiste, a voi diciamo grazie.