Abbattere o riqualificare?

pubblicato da Ticinosette #28 - 8.7.2016

Territorio - Berna incoraggia la riqualifica di aree dismesse, ma tra gli auspici dei cittadini e la volontà dei comuni cosa si sta facendo?

In Ticino c'è l'ex fabbrica di cioccolato Cima Norma riconvertita a spazio artistico-culturale, l'ex mulino Ghidoni di Arbedo (Molinazzo) che ospita appartamenti, l'ex tabacchificio Polus a Balerna con vari studi e uffici, l'ex macello pubblico di Lugano centro culturale autogestito, l'ex capannone industriale a Castione convertito in locale musicale e discoteca ecc.

Sono esempi di interventi riusciti con degli stabili dismessi, ma non è tutto: uno studio del 2007 dell'Accademia di architettura dell'USI di Lugano citava ben 1'120 edifici potenzialmente riconvertibili. Il tema è più che mai d'attualità in Ticino: di territorio edificabile ne rimane ben poco, quindi appare più lungimirante conservare l'esistente, riconvertire e riqualificare.

I giovani immaginano, ma poi?
Prendiamo il caso delle ex stazioni ferroviarie, ormai perlopiù inutilizzate per scarsa redditività. La SUPSI nel 2013 promosse diversi laureati con dei progetti di rivalutazione di sette ex stazioni FFS in Leventina, sulla tratta Biasca-Airolo. L'idea dei giovani laureati riguardava in particolare le ex strutture di Bodio o di Rodi-Fiesso, per le quali si immaginava “la valle un territorio abitato in modo diffuso e lineare con punti d’interesse e funzioni a piccola scala urbana (...)”.

Fatte le debite proporzioni, certamente la Leventina non è una metropoli come Parigi, dove per esempio l'ex stazione d'Orsay è diventata un famoso museo, ma gli studenti avevano pensato ad ostelli, “jazz club”, caffetterie ecc. Non se ne fece nulla, malgrado il fatto che il Consiglio federale incoraggi e promuova queste politiche.

Come? Per esempio, leggiamo, con la “vendita di immobili non più necessari all’esercizio ferroviario (circa 150 oggetti all’anno dal 1999)”, per i quali le FFS “collaborano con le autorità cantonali e comunali e le sostengono (...)”.

Si guarda all'estero
Berna afferma che “all’estero vi sono molte iniziative che mirano alla promozione della riconversione di aree industriali e artigianali dismesse. Le esperienze raccolte in altri paesi possono servire anche alla Svizzera”. E ovviamente anche al Ticino. Per esempio l'Unione europea dispone di vari programmi di riqualifica, tra cui uno (“Interreg”) che interessa da vicino anche il Ticino, per i quali mette a disposizione fondi per dei progetti di ricerca e per iniziative di riconversione.

Negli altri paesi queste politiche sono già realtà assodate. Per esempio in Gran Bretagna le leggi comunali auspicano che “almeno il 60% dello sviluppo urbano si concentri nelle aree industriali dismesse”. Gli investitori privati vengono favoriti con degli sconti fiscali per i risanamenti. Più o meno lo stesso accade in Francia o in Germania, dove persino un ex aeroporto, quello di Tempelhof, nel 2010 è stato riconvertito a parco pubblico per attività sportive, di svago, fiere, congressi.

In Italia le ferrovie di stato hanno già iniziato a cedere ben più di un migliaio di stazioni “impresenziate” ad enti e associazioni di pubblica utilità con un comodato d'uso a costo zero. Qualche esempio: a Napoli l'ex stazione di Boscoreale era una discarica, ora è in mano ad un'associazione culturale; a Lavena Ponte Tresa gli spazi sono diventati un centro culturale; persino in un paesino di duemila anime in Sardegna, a Ulassai, è nato il museo “Stazione dell'arte”. Altrove si fanno scuole di musica, luoghi sociali, assistenziali ecc.

Molti studi in Ticino
In Ticino l'interesse della società civile per questo tipo di spazi appare scarso, in ogni caso molto frammentato, oppure si scontra con le visioni opposte delle autorità. Eppure più volte è stato dimostrato il valore di queste politiche sostenibili. Oltre al già citato studio del 2007 per cui gli edifici dismessi ticinesi sono “una risorsa significativa”, nel 2008 due docenti dell'USI pubblicarono un altro studio sottotitolato “Un’analisi delle aree industriali dismesse del Ticino e del loro potenziale di riconversione”.

Nel 2011 si tornò a parlare di “recupero delle aree dismesse”, così come in un rapporto sulla nuova politica regionale ticinese in vista di Alptransit. Nel 2015 il deputato Franco Celio chiese al governo cantonale “perché non recuperare le aree industriali dismesse?”. Risposta: il tema è previsto nelle politiche sui “Poli di sviluppo economico del Piano direttore”, erano “in corso o in procinto di essere avviati” studi e mandati con cui si vorrebbe “precisare e dare maggiore concretezza” anche a questa importante tematica.

Tutto bene, ma a quando i fatti? Non a caso un altro deputato, Nicola Pini, lo scorso febbraio ha sollecitato nuovamente l'autorità cantonale e in un'inchiesta televisiva ha risollevato per esempio l'annosa vicenda dell'ex macello pubblico di Locarno. Per Pini “oltre Gottardo stabilimenti vecchi e dismessi sono stati trasformati sì in nuove aziende, ma anche in appartamenti, teatri, ristoranti e perfino scuole”.

Visioni interdisciplinari
La Svizzera, soprattutto tedesca e francese, vanta alcuni progetti pilota. Tra questi c'è il “Gundeldinger Feld” a Basilea: “si tratta della trasformazione di un’antica area industriale in un nuovo polo urbano (…) gli stabili industriali sono stati adibiti a nuove funzioni, e oggi il sito è animato da 270 lavoratori impiegati in 60 piccole attività, enti e imprese di servizi, di svago, di cultura e di formazione” scrivono gli uffici federali dell'energia e quello dello sviluppo territoriale.

L'unico caso ticinese citato è quello della Polus di Balerna, eppure si ribadisce qua e là che le potenzialità non mancherebbero. Ma come realizzarle? È una questione di volontà (anche) politica, di numeri (finanziari, di popolazione), di interessi (pubblici e privati)? Si tratta di fatto di progetti molto complessi: è più “facile” demolire e ricostruire ex novo che riqualificare l'esistente.

La premessa fondamentale, affermano le autorità federali, è la “comunicazione tra le diverse parti coinvolte nel progetto, essenzialmente le autorità, i proprietari fondiari, gli abitanti, i vicini e gli specialisti impegnati in un tale approccio interdisciplinare”. Insomma, trasparenza, comunicazione e interdisciplinarità sembrano essere le parole chiave.

A conti fatti in Ticino non mancano gli esempi pubblici e privati di riconversioni riuscite o in fase di attuazione, in ambiti forse ritenuti più “interessanti” o “strategici”: la formazione (l'USI di Lugano in un ex ospedale), la giustizia (il Tribunale penale federale di Bellinzona in un'ex scuola), la cultura (la “Casa del cinema” di Locarno in un'ex scuola), il settore alberghiero, del benessere e del lusso (il futuro complesso di Agra in un ex sanatorio) ecc.

Buoni e cattivi esempi
Queste poche riconversioni fanno però i conti con centinaia di edifici abbandonati e lasciati all'incuria, con molti comuni talvolta sordi a questo tipo di interventi, con deplorabili demolizioni (addirittura un castello come a Lugano-Trevano) che favoriscono soprattutto le imprese edili. Non potendo sottacere questa realtà, citiamo infine il caso esemplare di un comune ticinese.

Una dozzina di anni fa si pose la questione di uno stabile industriale in pieno centro città. Ospitava temporaneamente l'officina della locale azienda di trasporto pubblico su un terreno comunale. Gli interessi in gioco erano: una nuova officina e un parcheggio per i dipendenti dell'azienda, fruibile anche dal pubblico; oppure riqualificare lo stabile e concederlo ad un'associazione culturale, quindi ai cittadini.

Che fare? Per il cantone lo storico edificio violava varie norme e quindi andava demolito, così fece il comune, unilateralmente, ignorando bellamente un atto consiliare precedente e prima che il consiglio comunale potesse votare. Si sollevò un polverone non solo dovuto ai calcinacci: la nuova officina sorse altrove ma si fece lo stesso il parcheggio, stravolgendo per sempre un pezzo della cittadina. L'associazione culturale troverà un'altra sede in uno storico edificio, ma da cui verrà sfrattata a causa... di una parziale demolizione.