Il sapere in gioco

pubblicato da Ticino Sette # 1 - 4.1.13

La popolarità dei quiz televisivi riflette l'impoverimento della nostra cultura? Analisi e commenti di alcuni addetti ai lavori...

"Quando il potere si chiama capitale, la conoscenza è oggetto di quiz televisivi". Vedeva lontano il filosofo francese Jean-François Lyotard. (1) Era la fine degli anni Ottanta, gli anni del consumismo di massa all'apice, precisamente dopo il periodo d'oro dei quiz americani degli anni Cinquanta e Sessanta. Quei quiz in cui i concorrenti dimostravano eccezionali qualità intellettive e il pubblico a casa a malapena ci capiva qualcosa. Allora, secondo la giornalista e critica televisiva Alessandra Comazzi, "occorreva essere preparati. Poi bastò la fortuna". Oggi, nell'era del narcisismo mediatico, aggiungo, occorre essere anche belli, tanto che ci sono concorrenti più attori che semplici cittadini. Oggi, tutti devono poter partecipare, altrimenti gli indici d'ascolto non interessano ai pubblicitari, e senza pubblicità la tv ormai non campa. Oggi, dunque, i quiz si sono imbarbariti, le conoscenze banalizzate.

Il mercato del sapere
Nei quiz, oltre che fortunati e coraggiosi, serve essere "intelligenti" oppure no? O meglio, i quiz servono alla "intelligenza"? I quiz a cui si riferisce Comazzi sono praticamente scomparsi dal piccolo schermo, per lasciare posto a giochi a premi votati più all'intrattenimento e (forse) all'arricchimento. In teoria oggi è più facile vincere, oggi tutti vincono: pensionati, casalinghe, studenti, ecc. Gli adulti sono ahi noi deplorevoli protagonisti. Assistiamo a domande spesso imbarazzanti, per non dire avvilenti, rispetto all'idealizzata "società della conoscenza". Qualche esempio preso dai nostri teleschermi globali. Cos'altro pensare quando, da una lista di popolari ed inette donne dello spettacolo, bisogna sapere quale "può vantare un 'lato B' a 'pera'"? È forse edificante chiedere "quello 'd'arte' è uno pseudonimo scelto da un artista. Che cosa?" e constatare che la concorrente non sa rispondere? Panico, emozione, si dirà, certo, ma quel sapere elementare diventa merce in cambio di soldi, oggetto di compravendita nel nome dell'audience. Soldi facili in cambio di sapere facile. Ciò non accadrebbe se la conoscenza, anche quella erudita, non fosse in vendita da anni. La vendono le università, la comprano i futuri laureati, che la rivendono sul mercato del lavoro in cambio di un salario. Una logica perversa quantomai messa in discussione dalla crisi globale. Idem per finanza, industria, politica, guerra, informazione, scienza, ricerca: chi sa prima e più degli altri è sempre avvantaggiato. Risultato: nonostante la "strategia di Lisbona" dell'Unione europea, un mezzo fallimento, non siamo diventati tutti più colti, dotti ed acculturati. E la televisione contribuisce all'inerzia e all'omologazione. Per dirla con le parole di Stephan Russ-Mohl, docente e ricercatore all'ateneo di Lugano, "la ricetta è semplice: più quiz e meno spiegazioni per la piccola nicchia di chi è ancora affamato di cultura. In questo modo si accontenta la maggior parte dei contribuenti".

Tutti dentro l'arena
Renato Stella, sociologo all'ateneo di Padova, scrive: "oggi i quiz (...) consentono a chiunque di misurarsi con domande elementari", permettendo così "alle persone comuni la possibilità di riconoscersi in un'arena collettiva (...)". (2) Come detto, un'arena di cui molti vorrebbero far parte, anche solo per pochi secondi, prestandosi alla competizione tra individui, barattando per soldi la propria cultura, mettendo alla berlina la propria reputazione e a rischio la propria dignità. Ormai a livello globale. Definizioni, concetti, nozioni, indizi e tematiche, compongono il sapere fast-food. Dilaga l'imbarbarimento mediatico e con esso l'istupidimento collettivo. Ci piace giocare e divertirci, cioè mostrarci intelligenti anche quando non lo siamo, vantarci sapienti anche solo credendo di sapere. In una società basata sulle risorse intellettuali, sulla valorizzazione delle competenze teoriche, l'ignoranza, la vuotezza, le lacune sono onte insopportabili. In questo senso si spiega il successo di pubblico dei quiz, ma anche la loro impressionante frequenza (solo dalle nostre parti se ne contano almeno cinque trasmessi quotidianamente). Peccato per la loro scontata e noiosa modalità, non essendoci nulla di nuovo. Non a caso il popolare "Chi vuole essere milionario?" lo si è ripescato dal quiz statunitense "The $64'000 Question" degli anni Cinquanta.

L'autorità del banale
I quiz coi bambini sono discutibili, sia per le pressioni che possono subire dai genitori, sia per la precoce competizione a cui vengono sottoposti. Ma restano pur sempre bambini. Ma quando sono gli adulti a mostrarsi stupidi, ignoranti, analfabeti ed illetterati? Che modello di società si può ancora pretendere per le nuove generazioni? Forse non a caso a certi giovani la tv non interessa più: troppo rigida, noiosa e superficiale. Uno di loro sui quiz scrive: sono "un insieme totalmente scollegato di nozioni appese alla memoria, che vengono riprese per puro caso e rimosse nell'esatto istante in cui si passa alla domanda successiva". I quiz con ingenti somme in palio, Scrive Olaf Hörschelmann, docente di teoria dei media negli Stati Uniti, "si concentrano su domande presumibilmente serie, mettendosi in una posizione di autorità culturale e di legittimazione". (3) Quando si ritiene la banalità autorevole, allora diventa anche autoritaria, quindi imposta a tutti, anche a chi non è d'accordo. Ma l'utilità del nozionismo da parole crociate? La qualità dove sta? Nessuno sembra più saperlo, poiché ormai ognuno reputa importante per sè qualsiasi cosa. Lo fa persino la scuola, figuriamoci la televisione. Scrive lo storico statunitense Kent Anderson: "la natura del sapere che (...) fuoriusciva dai quiz era fonte di costernazione per molto educatori, seri critici televisivi e commentatori di costume". (4) Era il 1978. Trent'anni dopo poco sembra cambiato.

Note:
(1) Il postmoderno spiegato ai bambini, Ed. Feltrinelli (1987).
(2) Box Populi, il sapere e il fare della neotelevisione, Donzelli Editore (2003), pag. 68
(3) Rules of the Game: Quiz Shows And American Culture, State University of New York Press (2006), pp. 112-113.
(4) Television Fraud: the History and Implications of the Quiz Show Scandals, Greenwood press (1978).