Media, qualità cercasi

pubblicato da Ticinosette #7 - 12.2.2016

Secondo un recente studio la qualità dell'informazione in Svizzera va peggiorando. Con quali ricadute per la democrazia?

In Svizzera si assiste a “una qualità complessivamente in calo dal 2010” nella “maggior parte delle testate mediatiche analizzate”, afferma l'ultimo “Annuario dei media”, il sesto, dall'Università di Zurigo pubblicato a fine ottobre (i media ticinesi considerati erano “Corriere del Ticino” (stampa/web), “20 Minuti”, “Il Caffè”, “RSI” (radio/tv), “Radio3i”, “TeleTicino”, “Ticinonline”).

Inoltre “della scarsità di risorse finanziarie, di personale e di tempo nel giornalismo d’informazione risente soprattutto il servizio di contestualizzazione. Le notizie episodiche acquistano importanza. Così, i cittadini vengono sempre più spesso lasciati soli nell’interpretare complesse situazioni politiche, sociali ed economiche”.

Sono alcune delle preoccupanti conclusioni a cui i media hanno sommariamente accennato, ma che dovrebbero interpellare non tanto il loro futuro, quanto quello della democrazia.

La politica acconsente?
“La qualità della democrazia dipende dalla qualità della comunicazione pubblica dei media” dice lo studio. Che i media giochino un ruolo fondamentale nella formazione dell'opinione nei cittadini è cosa nota: se l'informazione è scadente come si fa a capire la complessità della nostra società? Dunque quale informazione si vuole? Per chi, avevamo un po' ironizzato su Ticinosette (n. 22/2013), e come scrivono i giornalisti? Sono domande che in Ticino, con la sua altissima densità mediatica, dovremmo porci più spesso.

Infatti se l'informazione è un diritto dei cittadini c'è ovviamente anche un dovere (professionale, etico, deontologico) dei giornalisti di informare bene e compiutamente. Secondo lo studio, a parte i progressi di alcuni media (radio/tv pubblica, qualche tv privata e portale), non sembra che ciò avvenga spesso. Questo scenario mette profondamente in discussione la Svizzera come paese “più democratico del mondo”. Dunque?

Nel 2003 a Berna una Commissione politica, preoccupata dalle crescenti concentrazioni mediatiche per la democrazia e il pluralismo, chiese al Governo di modificare la Costituzione. Il Governo si limitò a dire che i media “hanno la taglia critica e il potenziale economico necessario per fornire prestazioni giornalistiche professionali e di qualità”. Sono passati un po' di anni, ci sono state nuove concentrazioni e oggi lo studio zurighese smentisce il Governo, dicendo che “va dissolvendosi l’antico consenso di politica mediatica”.

L'era dei nuovi lettori
In “La politica e gli invisibili” (Ticinosette n. 4/2015) tentammo di argomentare l'endemica disaffezione dei giovani alla politica (oltre che l'attenzione “strumentale” dei politici verso i giovani). Ebbene, non a caso ciò avviene sempre di più anche coi media da parte dei giovani, mentre si assiste a una “crescente politicizzazione” dei media, dice lo studio. Sui giovani, leggiamo, “(...) nel periodo tra il 2009 e il 2015 diminuisce nettamente la percentuale di giovani adulti, di età compresa tra 16 e 29 anni, che si informano regolarmente tramite offerte d’informazione professionali dei generi stampa, radio o televisione”. Non è una novità.

Sempre di più snobbano i media tradizionali, mentre sul web preferiscono le “soft news” (testi di agenzie, comunicati stampa preconfezionati, ecc.) cioè “notizie brevi con uno scarso servizio di contestualizzazione”. Lo scarso sforzo di molti giovani di approfondire i fatti dovrebbe preoccupare maggiormente. Perché se ne infischiano? Con quale cognizione poi agiscono, votano o consumano? È tuttavia un fatto che i portali on-line e le reti sociali stanno modificando non solo l'informazione, ma anche il giornalismo. Ne avevamo parlato in relazione alla massiccia informazione sportiva: oggi chiunque può raccontare i fatti e dare notizie, ma poi?

Si tratta del cosiddetto “giornalismo partecipativo” (citizen journalism) secondo cui “siamo tutti giornalisti” e che fa venire la pelle d'oca a parecchi colleghi. Se questo sarà il futuro si prefigurerebbero scenari sempre più inquietanti di disinformazione, ignoranza, superficialità, manipolazione, populismo ecc.

Il progetto europeo di ricerca “MediaACT”, a cui la Svizzera partecipa, conferma la criticità di questa tendenza. Infine, in Ticino l'autorità politica ama ancora pensare (p. 27) ad un cantone i cui media sono “lo strumento privilegiato per seguire e capire” i fatti cantonali e nazionali. Ma lo studio zurighese non dice il contrario?

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