foto: archivio CdT


Pollegio, un veleno di comodo

pubblicato da L'Inchiesta #1/2008

Tollerato per decenni dalle autorità, un deposito di rottami a Pollegio ha inquinato la falda. A pagare saranno i cittadini e il patriziato...

Per quasi 40 anni, abitanti, comune e cantone hanno gettato rifiuti inquinanti nella discarica di Pollegio (Leventina). Nella metà degli anni '70, Salvatore Russo chiede al patriziato di Pollegio di utilizzare un terreno per rottamare rifiuti, senza però iscrivere al registro di commercio la sua attività. Il patriziato gli vende una parte del terreno e gliene affitta un'altra.

Col tempo, da deposito temporaneo, il sito diventa una discarica di comodo. A tal punto che Russo accumula, solo in superficie, fino a 2'000 metri cubi di rifiuti inquinanti (vecchie automobili, frigoriferi, quintali di copertoni, batterie, fusti di oli esausti, ecc.) e di cui non s'è mai preoccupato. «In alcuni settori il sottosuolo è addirittura composto unicamente da rifiuti» dice Marcello Bernardi, capo divisione dell'ambiente al Dipartimento del territorio (Dt).

Russo, come "responsabile per comportamento" non dovrà  pagare un centesimo: è deceduto insolvente nel 2001. Una parte dei danni li pagherà quindi il contribuente. Il resto andrà a carico del patriziato, considerato "responsabile per situazione". L'Ispettorato cantonale dei patriziati parla del 10% di una fattura che ammonta almeno a un paio di milioni di franchi. Dati che il Dt non conferma ma nemmeno smentisce. Parla di «alti costi» e di «fattori tecnici imponderabili». Come dire che la fattura rischia di gonfiarsi ancora.

Ma il municipio di Pollegio non ha mai smaltito questi rifiuti speciali. A cominciare dalle carcasse d'auto, benché fosse tenuto a farlo dal 1996 e con «tempestività», gli aveva intimato l'ex direttore del Dt Renzo Respini. «L'obiettivo era quello di regolarizzare l'attività con una domanda di costruzione» replica il sindaco Romano Rossi. Domanda però mai inoltrata.

Ma nemmeno sotto la direzione di Marco Borradori il Dt è intervenuto. Se il sito, come scrive il governo nel 2007, è tra i «più importanti» da risanare, perché ci sono voluti ben 10 anni per gli studi tecnici imposti dalla legge federale del 1998? Perché, come riporta la cronaca, nemmeno un incendio nel 1999 a una baracca adiacente al deposito, ha suggerito almeno lo sgombero in superficie?

Persino la morte di Russo non ha smosso nulla. Anzi, ha fatto sì che il sito diventasse selvaggio, come riconosce lo stesso Bernardi: trovandosi «in un luogo discosto», dice, il sito «può richiamare utenti indesiderati» e «la sorveglianza risulta difficile». E nulla si muove neppure nel 2004, malgrado il caso venga citato dal governo e dal Dt, e nonostante la Regione Tre Valli abbia denunciato che il solo monitoraggio «non è la soluzione ottimale».

Le autorità cantonali attuano lo sgombero solo nel 2007, dopo i roghi alle discariche abusive di pneumatici a Riazzino e Biasca. Un intervento dell'ultima ora su cui i vertici del Dt preferiscono non dire nulla. E il patriziato? Sapeva ma ha taciuto. Per legge il patriziato di Pollegio deve gestire i propri beni a favore della comunità, ma questo evidentemente non è avvenuto. La parte di terreno acquistata da Salvatore Russo sarà venduta all'asta. Il nuovo proprietario dovrà assumersi i costi del risanamento. Se nessuno comprerà le parcelle, lo Stato diventerà proprietario e pagherà le spese di ripristino.

Mentre la parte di terreno affittata da Russo è rimasta di proprietà del patriziato di Pollegio, che dovrà pagare di tasca propria i costi di risanamento. Secondo Renzo Imperatori, presidente del patriziato dal 1997 a oggi, l'ufficio patriziale non poteva non essere a conoscenza della situazione. Del resto Russo era noto nella regione per la sua scarsa sensibiltià ecologica.

Per segretezza d'ufficio, i contribuenti ticinesi non possono conoscere l'entità del danno, ovvero la cifra che dovranno sborsare per risanare la discarica di Pollegio. I rottami hanno rilasciato nel suolo imprecisate quantità di sostanze cancerogene (policlorobifenile, metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici).

Risultato: l'acqua di falda (che si riversa nel fiume Ticino a pochi passi di distanza) è inquinata oltre i limiti di legge. Da qui l'urgenza del risanamento. Ma, secondo Marcello Bernardi, capo divisione dell'ambiente, i contribuenti non hanno il diritto di saperne di più, se non che il rischio ambientale è «sotto controllo».

Note dell'autore (13.5.2016):
a distanza di ben 8 anni ecco le decisioni del Governo.