Sulle loro tracce - Scomparsi, ma non solo
pubblicato da Ticinosette #45 - 8.11.2019
Due donne, entrambe di
Lugano, la cinquantenne "Michela" e la ventenne "Claudia" (l'identità
è nota all'autore, ndr), mentre scriviamo sono le ultime persone date
per “scomparse” dal canton Ticino, attraverso i comunicati
della Polizia cantonale. Per fortuna sono state ritrovate e gli
annunci revocati. Due storie a lieto fine, per quanto ne sappiamo, ma
non è sempre così. Sul sito della polizia infatti si trova ancora una
quindicina di foto segnaletiche: la più datata è di vent'anni fa, la
più recente del marzo scorso. Vuol dire che le loro ricerche, in
Svizzera o all'estero, sono risultate finora vane. Come mai? Dove
sono? Chi sono queste persone e come lavora la polizia per ritrovarle?
Un problema in relativo aumento
In Svizzera, a seconda delle fonti, si parla di circa 3-5mila sparizioni all'anno: in media ogni giorno fanno perdere le loro tracce 8-13 persone. In Ticino i casi sono più che raddoppiati: dalle 36 denunce del 2014 siamo alle 84 del 2018 (vedi "denunce di scomparsa" nei rapporti di attività). Quest'anno la polizia segnala 66 denunce, ci dice il portavoce Stefano Gianettoni. Rispetto a paesi ben più popolosi è una casistica molto ridotta: 11mila ricerche l'anno e 300 annunci ogni giorno in Germania; 24'000 casi in Italia solo nel 2016-2017; 40mila sparizioni l'anno in Francia ecc. Persino in un paese demograficamente simile al nostro come l'Austria (8,5 mio di abitanti) si arriva a 11'000 annunci l'anno.
In teoria meno persone si allontanano dai loro cari, più è facile rintracciarle per la polizia. In Ticino la maggior parte dei casi (80-90%) si risolve infatti “in poche ore o in un giorno o due giorni”, informa la polizia ticinese: solo “4 casi sono ancora aperti” sugli 84 del 2018. È dunque più corretto parlare di “possibili sparizioni”, ci dice giustamente il capitano Orlando Gnosca: “probabilmente si tratta di scomparse volontarie”, cioè non forzate (sequestri, rapimenti ecc.). Sarebbe il caso anche di "Michela" citata all'inizio, che “è stata rintracciata all'estero”, ha informato la polizia il 10 ottobre dopo che non si avevano più notizie di lei dal 26 settembre. Oppure di "Claudia" (idem), trovata il 18 ottobre dopo due giorni di assenza. In entrambi i casi sui retroscena c'è molto riserbo.
Fenomeno sottovalutato?
La polizia non rilascia dichiarazioni per motivi di “privacy” e di “protezione dei dati”, e tanto meno sulle dinamiche di ricerca per “ragioni strategiche”. Ma sorprende che di fronte all'ampiezza dei numeri il fenomeno, in tutto il mondo, sia poco indagato. In Svizzera non esiste nemmeno una statistica nazionale, ma solo per cantoni. “Certamente a livello statistico il fenomeno viene studiato” ci conferma Gnosca, e ogni caso “lo si analizza individualmente”. Inoltre, aggiunge, “la casistica e l’esperienza sono sempre fonte di insegnamenti”, le modalità “in continua evoluzione” e c'è “uno scambio di esperienze” con altre forze di polizia, svizzere o estere.
La ricerca scientifica però è misera, persino in Italia, patria del seguitissimo programma tv “Chi l'ha visto?”, dove i ricercatori denunciano una “carente produzione scientifica”, un tema “poco indagato”. Perché questa lacuna? In Svizzera, ipotizzano alcuni media d'oltralpe, il motivo sarebbe l'esiguo numero di casi rispetto all'estero, ma saremmo anche più “tolleranti” verso gli adulti sani che scompaiono temporaneamente, inoltre la polizia pare più riluttante nel lanciare le ricerche.
La prassi, riporta “swissinfo.ch”, sarebbe quella di pubblicare annunci “soltanto per i casi urgenti” (minorenni, incidenti o rischi di suicidio), mentre “non vengono” resi pubblici quelli per motivi “personali”. Perché? La polizia ticinese ha preferito non commentare né confermare. In Svizzera non esiste una figura di riferimento ministeriale come c'è in Italia già da un decennio. Nella società civile le fondazioni elvetiche “FREDI” o “Missing Children” trattano solo persone sotto i 25 anni: ma tutti gli altri? In Italia (“Penelope”) o in Francia (“ARPD”) i familiari che si sentono abbandonati dalle autorità o sensibili al tema sono uniti in associazioni, in Svizzera no. Solo un problema di numeri dunque? Non sembra.
Tra solitudine e socialità
Per la polizia ticinese la tipologia degli allontanamenti è “variegata” e “le scomparse da fuga concernono in gran parte i giovani” osserva Gnosca. Perché? La portavoce di “Telefono Amico” in Ticino, Claudia Cattaneo, spiegava che il motivo sarebbe la “solitudine” e la “non comprensione” in famiglia. Secondo la psicoterapeuta Mara Foppoli le fughe giovanili nasconderebbero “contesti estremamente conflittuali” nei nuclei familiari, magari ricomposti. Più in generale Nicole Windlin, del Servizio di ricerca della Croce Rossa Svizzera (CRS), denuncia l'assenza di “spazi dedicati” ai familiari, “possibilità di scambio” che ridurrebbero “isolamento e solitudine”.
Non sembra dunque un caso che, ci dice la polizia, si assiste ormai “all'allontanamento frequente” di persone in cura psichiatrica, di quelle “confrontate da depressione” o che hanno “minacciato il suicidio”. Sarebbe il caso di due donne scomparse di recente, una 60enne da Mendrisio nel 2017 e una 50enne nel 2018 dal suo villaggio del Locarnese. Entrambe furono ritrovate senza vita pochi giorni dopo: purtroppo succede ogni anno in Ticino. Il forte invecchiamento della Svizzera porta anche alla luce i casi di anziani smarriti, ammalati di demenza o Alzheimer: è successo questa primavera a una 70enne in un bosco del Luganese, dove purtroppo la donna è deceduta.
Cosa fa la polizia?
Come si conducono le indagini? La polizia ticinese non ce l'ha detto. Sappiamo solo che le polizie cantonali collaborano ma non lavorano allo stesso modo (leggi più sotto): seguono infatti “modalità e procedure cantonali”, ci dice Gnosca. Ovviamente esiste un protocollo, che però cambia da cantone a cantone ed è pure segreto. Ma non sarebbe meglio condividerlo così che tutti ne siano più consapevoli? In Italia, Stati Uniti o Inghilterra, per esempio, le linee guida sono pubbliche e soprattutto standardizzate: tutte le forze di polizia si attengono alle stesse regole d'indagine. Non in Svizzera.
Così è stato proposto anche in Canada dopo aver constatato, anche internamente alla polizia, diverse lacune nelle procedure. Studi dell'università di Glasgow e gli atti di una conferenza di esperti tenutasi in Scozia, affermano che “l'attuale gestione” della polizia “necessita di miglioramenti”. Nel caso dei bambini smarriti emergono “incoerenze” circa la “valutazione dei rischi”, la “gestione delle indagini”, il “sostegno e aiuto al minore". Si legge che per la polizia l'angoscia e la frustrazione dei familiari a volte possono sfociare in pretese sia eccessive sia, apparentemente, giustificate.
Lo dimostra il caso di una giovane ginevrina la cui scomparsa scosse nel 2017 la Romandia. I parenti criticarono la polizia per non aver pubblicato subito la foto, ma ai media d'oltralpe la polizia di Ginevra dimostrò tutto il suo aplomb elvetico: “protezione della personalità” (privacy), timore di “spaventare” ulteriormente la giovane, presunta inutilità di “nuove notizie ogni giorno”. Eccesso di scrupoli? Procedure scoordinate? Chissà (leggi più sotto). La sua foto avrebbe impedito l'assassinio della ragazza, trovata da un passante? Non lo sapremo mai.
Il ruolo dei familiari
In Svizzera “la decisione di rendere pubblica una scomparsa compete al denunciante” ci dice Gnosca, cioè parenti, conoscenti o tutori; questo presso la “gendarmeria, che tiene poi i contatti con il denunciante. In alcuni casi l’indagine può essere condotta successivamente dalla Polizia giudiziaria”. Questa prassi spiega perché nel 2011 la polizia ticinese non aveva potuto inviare per tempo ai colleghi italiani le foto di uno scomparso, morto suicida. Da qui la critica della trasmissione “Chi l'ha visto?”. La polizia ticinese però non poteva farlo: non c'era ancora la denuncia formale dei familiari.
Anche nel caso di "Michela" ci sono voluti dieci giorni prima pubblicare l'annuncio ufficiale. I parenti hanno dunque un ruolo centrale in un evento che però è molto emotivo e stressante. Lo studio scozzese parla infatti di “confusione”, “scarsi rapporti con la polizia”, “conflitti” sulle cause della sparizione, e persino “imbarazzo” prima della denuncia e dopo il ritrovamento. Ciò può succedere nelle piccole realtà come il canton Ticino: foto e nome della persona cercata diventano subito virali.
Ma c'è di più. Nel 2018 la stampa ha riferito di una particolarità ticinese: un tasso di annunci di scomparsa tra i più alti del paese, nel 2017 quasi il 40% contro nemmeno il 3% della media di 13 cantoni. Come mai? La polizia ce lo ha già spiegato in parte: avremmo più casi urgenti di minorenni in fuga, di potenziali suicidi e, considerando il record nazionale di anzianità, di demenza senile. La proporzione di “sparizioni” di minorenni e giovani a sud delle Alpi suggerirebbe anche modelli culturali e genitoriali diversi, magari più apprensivi. Un pomeriggio del 2017 la polizia ha annunciato la “scomparsa” di due 14enni da via Nassa a Lugano, che non è certamente l'affollata via Monte Napoleone di Milano. I due minorenni furono ritrovati poche ore dopo, incolumi.
Privacy: Social sì o no?
L'uso di Facebook per cercare chi scompare – in gergo crowdsourcing - è tuttora un argomento controverso in tutto il mondo.Le polizie cantonali svizzere lo usano in modo diverso o per niente. Nel Vaud e nel Vallese si pubblicano annunci completi, ma del cognome c'è solo l'iniziale. In Argovia si indica solo l'età. Di norma, una volta rintracciata la persona la polizia invita gli utenti a cancellare l'annuncio. In Ticino la polizia non usa Facebook: “è una precisa scelta” ci dice il capitano Orlando Gnosca, per avere “il pieno controllo” di quanto pubblicato, “cosa che i Social Media non permettono” spiega.
Uno studio del 2016 afferma che se Facebook non garantisce il ritrovamento, pare “possa essere efficace” grazie agli utenti, inoltre sarebbe un “supporto emotivo” per i familiari. Più delicato il caso di un genitore a cui è vietata la visita ai figli: postando la foto, grazie agli utenti potrebbe rintracciarli mettendo in pericolo la loro vita, ha ammonito nel 2017 la polizia canadese.
Il controllo a cui allude la polizia ticinese è in realtà relativo. Anche se eliminato dal sito ufficiale, è facile trovare l'annuncio su molti altri media online. Anche la questione privacy e protezione dei dati sembra relativa. Se foto e nome del ricercato corrispondono al suo profilo Facebook, tutti possono curiosare, ma anche aiutare.
Nei casi delle due donne ritrovate in Ticino di recente ("Michela"), dopo aver verificato che si trattasse proprio del profilo Facebook della 50enne, c'erano indizi utili: un paese che le piace, il giorno che ha preso una “decisione importante”, persino chi non aveva più notizie di lei. Nel caso della 20enne "Claudia", la polizia ha diramato l'annuncio senza un elemento fondamentale: la foto. Perché? Mistero. In serata un parente l'ha poi pubblicata sul suo profilo Facebook. Per la cronaca, dal 2017 esiste la pagina Facebook “Persone scomparse Svizzera canton Ticino”, creata da due donne.