Ivana De Maria


Solitude

pubblicato da TicinoSette #40 - 7 ottobre 2011

Lidi abbandonati, spazi silenziosi, acque ferme, orizzonti incerti: lo scenario che i nostri laghi mostrano nel corso della stagione autunnale offre l'occasione per scoprire angoli misteriosi ai quali, ora che il clamore estivo dei bagnanti e la calura si sono placati, non facciamo quasi caso. Se però osservati da occhi attenti, rivelano scorci di rara bellezza...

Abbracciati dalle acque placide dei nostri laghi, dai flussi dei nostri fiumi, le spiagge e i pontili dei lidi ticinesi si preparano al loro lungo periodo di meritato riposo. Via via spopolati, col sol leone estivo che se ne va, ritornano nella loro tranquillità autunnale, nel loro silenzio invernale, ingialliti dalle foglie d'ottobre che cominciano a cadere, abbandonati da rumorose imbarcazioni e da orde di chiassosi bagnanti in cerca di abbronzatura e refrigerio. I fantasmi estivi riaffiorano a sprazzi ma quegli alberi secolari sono sempre lì, a rinfrescarsi le fronde spoglie con l'umidità lacustre. Il lido s'abbandona a sè stesso, quando gradualmente anche il sole e il suo pallido riflesso s'affievolisce, sotto un cappotto di nebbia e della bruma protettiva del mattino. Ritorna territorio animale, di sbattere d'ali delle anatre a novembre, puntuali ospiti annuali al posto di rondini e cigni.

Questi spazi balneari, queste strutture estive, perdono il loro senso con l'autunno. Perde funzione la piattaforma galleggiante, quasi che sembra finita alla deriva, ancorata chissà dove nelle impenetrabili acque scure. Anche se resta lì, a galleggiare sbatacchiata da timide onde e forse è meglio così. Gli spogliatoi arcobaleno diventano, semmai, piccoli rifugi e nascondigli per bambini giocosi, o dormitori per qualche barbone. Le docce non ci lavano più, dallo scivolo e dal toboga color vetro non si scivola più. Appaiono come delle costruzioni ingombranti, quasi fastidiose, a sporcare un quadro in fondo perfetto, quasi immobile, di tinte unite. Anche il grigiore della sabbia è colore, anche il silenzio del lago è rumore.

Ma quelle timide onde bagnano senza sosta lembi di spiaggia, inzuppano sabbia o ghiaia, poco importa, tanto non è più tempo di bagni, né di tuffi. Pezzi di legno galleggiano, pezzi di legno, rami e tronchi arrivati da chissà dove, con spensierata lentezza. Nessuno li toglierà dall'acqua. Si arenano sotto il pontile e si accumulano nei giorni di tempesta, quando l'acqua si unisce ad altra acqua, quando solo fulmini e saette elettrizzano un paesaggio tetro e desolato. Come se dal fumoso orizzonte apparisse un Caronte con la sua barchetta cigolante, a chiederti il conto di un'estate di eccessi e sempre troppo generosa. "Andiamo dall'altra parte" direbbe, "oltre quella nebbia che ti spaventa...". Ma non ci andrai, perché timoroso, e perché non avrai nemmeno un obolo in tasca. Codardo ed egoista.

Il lido segreto
Regolato e normato come un rituale, perché pubblico, è richiesto "un comportamento corretto, rispettoso degli altri utenti e delle più elementari norme di igiene", si legge nell'ordinanza municipale di Lugano. E dove, val la pena ricordare, "l'uso del costume da bagno è obbligatorio", anche "per i più piccoli". Mamme avvertite. Dove gli utenti devono lasciare le vasche "30 minuti prima della chiusura dello stabilimento", minuto più, minuto meno, altrimenti non si sa che accade. E dove "è obbligatorio fare la doccia prima di entrare nelle vasche".

Normale, poiché il lido, come ogni spiaggia, è un luogo sociale nel quale si mescolano comportamenti e simbolismi. L'apparizione della cultura balneare in Ticino, all'inizio del Novecento, ha cambiato usi e costumi di questa terra fino ad allora arretrata. I sociologi riempiono libri per spiegare cosa significa e cosa succede al lido, come si comporta l'umano, singolo o in gruppo. Un luogo legato alla memoria e alla cultura, come quello "maledetto" a Bissone, sognato ed agognato, o che si tramanda come a Lugano, Locarno e Bellinzona da quasi un secolo. Che visse esondazioni che lo invadono, come nel locarnese nel 1978, sotto la furia della Moesa che trascinò tutto nel lago. Oppure nel 1993, quando si sarebbe bevuto un caffè in Piazza Grande con l'acqua alle ginocchia.

Ma di chi è allora il lido d'autunno? Il lido accoglie ma ora respinge, ci ributta nei nostri spazi chiusi di cemento e vetro, a guardarlo dalle finestre. Al massimo è di qualche pescatore, qualche padrone e qualche cane, qualche inarrestabile sportivo. Una volta, il lido era per i poveri, per quelli abbronzati perché lavoravano la terra, mentre la pallida borghesia se ne stava alla larga dall'acqua sporca. Poi i ruoli si sono invertiti: i ricchi vicino a laghi e fiumi, a godere dell'esplosione del turismo, fonte di profitti ed incontri. Il bagno di sole così divenne "in" per tutti.

Teatro di gioia e natura, certo, ma anche di lacrime e morte. Sempre di acque impraticabili e pericolose si tratta, di salvataggi in extremis ma anche di tragedie, forse quasi prevedibili, di un settantenne affogato ad Ascona, di un tredicenne inghiottito a Melide, di un surfista annegato a Verbania. Al lido e al suo contenitore naturale, lago, fiume o mare che sia, non sfugge niente, nemmeno un pregiudicato che spara, ladri e borseggiatori, adolescenti ubriachi e molesti, pedofili, clandestini, trans e prostitute. È cronaca della vicina penisola, di "altri lidi"...

E oggi, perché tutto si paga, i lidi pubblici, pubblici non lo sono praticamente più. Lidi milionari e da quattro soldi, di polemiche infinite, di igiene dimenticata. Lidi sul Ceresio, dove il parcheggio ormai non è più problema, e lidi a fazzoletto sul Verbano. Ma anche lidi segreti, più o meno abusivi sul fiume Ticino, trasformati di continuo dalle piene. Comunque luoghi unici ma disuniti. Tutti balneabili, ripetevano, ma ora non importa più. Ora il lido è del tempo, più che dello spazio, che come una mano imponente, nera e fredda se lo riprende. E noi, piccoli e soli come in un quadro di Viviani, o inesistenti e lontani dall'acqua...

Reazioni dei lettori: "Caro Marco (...) hai scritto un pezzo toccante, in cui la solitude si dissolve nella nebbia per dare luce a spazi profondi. Sono rimasta colpita perché non mi capitava da tanto sentire un'emozione così coinvolgente. Non sarei mai risucita a vestire, come hai saputo fare tu, questi luoghi spesso vissuti in superficie e privati del loro onore. Anche le fotografie sono molto belle. Siete riusciti a fare un'amalgama delicata tra immagini e parole. Fa bene all'anima captare delle sensazioni piacevoli che ci restituiscono un senso di bellezza, quella che forse abbiamo perso per disattenzione. (...)". N.B. (ricevuto via e-mail il 7.10.11)