copyright: Donatello Laurenti


Base Ydrax#9

pubblicato da Ticino Sette # 6 - 8.2.13

L'area era ancora in fase di costruzione ma chiaramente già operativa. Non c'era dubbio. Era sorta lì chissà come e chissà quando...

Ci accostammo microcamera e torce alla mano. Si trattava di documentare. L'area, chiamata "Ydrax #9", era ancora in fase di costruzione ma chiaramente già operativa. Non c'era dubbio. Era sorta lì chissà come e chissà quando, nessuno infatti sembrava saperne qualcosa, nemmeno gli abitanti che, interrogati dai mass media, tacevano scurendosi in volto. Forse perché nella base ci lavoravano, come scienziati, militari, tecnici. Ecco perché tacevano? Fonti attendibili confermavano degli imprecisati finanziamenti pubblici, ma le autorità militari e lo stesso governo locale negavano in blocco. Cosa c'era da nascondere di così importante o di così spaventoso?

Avvicinamento
Attraversammo il bosco, folli e coraggiosi, poi sotto il viadotto autostradale e giù fino alla campagna fantasma. Sapevamo che in quella valle, formatasi nel Triassico, miloni di anni fa c'era molta più acqua. Proprio quel liquido vitale che, a seconda delle teorie, ci avrebbe portato alla terza guerra mondiale o ci avrebbe allagato i polmoni, tramutandoci forse in qualcos'altro. Una strana costruzione, questo sì, dalle forme spaziali, futuristiche, ma anche vagamente antiche e rurali, composta di capsule, tubi, canali e cupole. E quelle strutture circolari a mo' di intestino sviscerato dal ventre terrestre. Per giunta voci di esperimenti, di terrificanti esercizi biotecnologici, si rincorrevano come antiche fiabe contadine. Un abitante, un vecchio alcolizzato che tutti prendevano per pazzo, sosteneva di aver visto cose, di aver visto persone, o qualcosa di simile, scendere da anonimi furgoni bianchi ogni due ore, per poi scomparire nella grande cupola centrale. Poi riapparivano più gobbi e con grandi occhi stanchi, diceva. Vecchio bastardo!

Simboli
Arrivammo sotto la grande cupola bianca, l'emozione era circospetta. Mi tolsi un guanto, il collega filmava, toccai la superficie ed ebbi un sussulto. Era assurdamente calda, ruvida al tatto ma calda, una specie di membrana ma resistente, pulsante, e dall'interno un rumore soffocato ma inconfondibile, come il gorgoglìo di ebollizioni. Acqua che bolle? Che storia era mai questa? Alzammo lo sguardo, sopra la cupola alcuni sfiatatoi e chiari cumuli di vapore, ma niente finestre né porte. Se non c'era entrata, allora nessuna uscita. Missione fallita, pensammo. Ancora nuvole di alito nel freddo della notte, poi controllai l'ora sul cellulare, ma l'ora era... la stessa di prima! Cosa? Ci guardammo e ridemmo isterici. Non c'era dubbio che del tempo fosse trascorso. Poi la luce dello schermo illuminò una porzione dove c'era un disegno, una pittura, non sapevamo. Un'incisione di medie dimensioni ma di forma a noi nota, un triangolo rovesciato, simbolo alchemico dell'acqua, sì, primo elemento di composti chimici, cosmogonia della vita e della morte, senso di calma (non certo la nostra), emozione (tanta), intuizione, iniziazione e purificazione.

Evoluzione
Tentammo di riflettere un po'. Uhm... acqua, il prefisso idro, be', pensammo all'Idra, al mostro mitologico, sangue e fiato mortali, nove teste a forma di serpente. Ecco forse il perché di quel numero. Ma, allora, c'erano altre otto maledette basi? Pensammo all'Hydra, essere terrestre stavolta, pluricellulare, organismo modello per i biologi e capace persino di rigenerarsi, quindi immortale. Congetture o solamente delirio. Sotto il triangolo vedemmo un numero chiaramente decimale, arabo, a tre cifre: 358. "Tre, cinque, otto!", ripetemmo più volte sottovoce. Poi un rumore e dei veicoli bianchi. Ma allora il vecchio alcolizzato aveva ragione! Smettemmo di respirare, finché definitivo l'orrore si palesò. In quel non-tempo dai portelloni uscirono degli umani, o quantomeno dei bipedi, coperti da tute bianche. Piedi, gambe, busti e braccia e, che dio potesse fulminarci se mai c'entrasse qualcosa, teste abnormi, oblunghe e lucide, né orecchi né nasi, solo dei fori, occhi e palpebre enormi, come rane, come serpi! La camera filmava, già, ma che cosa? Una a una quelle cose entrarono dove per noi non c'era entrata, fondendosi con la membrana, come liquefacendosi. "Tetrapodi! Tetrapodi!" ripeteva pietrificato il collega. Impossibile! Quelli erano i primi colonizzatori del pianeta, roba del Devoniano, cioè milioni di anni fa. Eppure il numero sulla cupola corrispondeva più o meno a quell'era geologica. Il passato che tornava? La membrana a noi umani non si apriva, anzi, ci resisteva. Perché? Perché?