Competenza digitale cercasi

pubblicato da Ticinosette #37 - 15.9.2017
Li chiamano “nativi digitali” ma di “pensiero digitale” sembrano esserne quasi privi. Soprattutto quei 13enni di terza media, oggi quasi maggiorenni, che quattro anni fa hanno partecipato all'imponente studio internazionale “International Computer and Information Literacy Study” (ICILS 2013) reso pubblico lo scorso maggio. Solo il canton Ticino vi ha partecipato, con mille allievi e 300 docenti, procurando alla Svizzera una figuraccia sul piano internazionale. Come si spiega?

Rispetto a quella svizzera, negli altri paesi la politica dell'educazione alle nuove tecnologie è “più marcata” e dotata di “investimenti importanti”, afferma lo studio. Quella elvetica è sfaccettata in 26 sistemi diversi, essendo cantonali le competenze, ma questa non sembra essere l'unica ragione.

Politica poco incisiva
Nel pieno dell'euforia di internet, nel 1998 anche la Svizzera stila la sua “Strategia per una società dell’informazione”, ma benché il “settore della formazione (infrastruttura delle scuole, competenza dei docenti, nuovi sistemi didattici)” figuri tra le priorità, lo “sviluppo delle competenze mediatiche degli allievi” diventerà un obiettivo comune della Conferenza dei direttori della pubblica istruzione solo nel 2000.

Nel 2005 ci si arrende all'evidenza: l'allora ministro competente Moritz Leuenberger riconoscerà sia “le lacune della strategia” sia i “limiti dei progetti avviati nel campo (…) della formazione”. Nel 2006 il colpo di scena: invece di porre rimedio, verrà posto l'accento “sull'amministrazione elettronica (eGovernement) e (…) nel settore della sanità (eHealth)”, scaricando il tema dell'educazione digitale ai cantoni.

Saranno molte le critiche, persino dall'Associazione di diritto informatico della Svizzera italiana che definirà il piano “privo di visione e di ambizione”. Nel 2012 Berna riconoscerà che è necessario armonizzare i sistemi cantonali, ma forse è già troppo tardi. L'economia 2.0 lamenta la mancanza di giovani formati e se non si inverte la rotta, si denuncia, “entro il 2017 verranno a mancare in tutto il paese 32'000 specialisti del settore”. Nel 2016 Berna rivede i suoi piani pubblicando la nuova “Strategia - Svizzera digitale”. L'economia nuovamente lamenta che serviranno altri 25'000 specialisti entro il 2024...

Ticino e Lituania
Senza scuole fortemente informatizzate gli allievi non possono essere educati. Soltanto considerando “l'Indice di sviluppo tecnologico” (IDI), che misura qualità e quantità di infrastrutture e servizi 2.0 nei paesi, risulta che “tutti gli Stati dell’Europa dell’Est (che hanno indicatori economici notevolmente più modesti rispetto a quelli svizzeri)” presentano “risultati significativamente più positivi” del Ticino. Solo la Lituania “registra risultati sostanzialmente analoghi a quelli ticinesi”. Statisticamente “il rapporto tra numero di allievi e numero di computer nel nostro cantone è di 11 a 1, (…) mentre in Australia e Norvegia è di, rispettivamente, 3 e 2 a 1”, si legge.

Basti dire che il Centro di risorse didattiche e digitali (CERDD) a Bellinzona, coordinatore di tutto il settore scolastico 2.0, è stato creato solo nel 2015. Perché? Il suo direttore Daniele Parenti ci dice: “la tecnologia nella scuola media, dopo un inizio interessante negli anni '80 del secolo scorso, ha perso slancio. Il cantone ne era cosciente e anche per questo motivo ha istituito il CERDD”.

Ora, dice Parenti, “per invertire questa tendenza ci stiamo muovendo in accordo con le varie istanze scolastiche” e su più livelli, tra cui proprio la “dotazione hardware/software e gestione informatica delle scuole”. Il cantone, ci dice Parenti, nel 2015 e 2016 ha investito a tale scopo 2 milioni di franchi. Basteranno?

Quale pensiero informatico?
Mentre in altri paesi “l’insegnamento di una materia specificamente legata alle tecnologie (…) è previsto, obbligatorio e, quanto meno all’ottavo anno di scolarità, valutato”, si legge nello studio, “in Ticino non esiste una disciplina obbligatoria che preveda una valutazione di queste competenze” nella scuola media. La materia infatti è opzionale col risultato che, ci riferiscono fonti scolastiche, ci sono allievi che in quarta media non sanno né aprire un programma preinstallato sul computer (vanno a cercarlo su Google!), né sanno come inviarsi un'e-mail.

Queste lacune non sarebbero nuove: già il rapporto del 2012 “Nuove tecnologie nell’insegnamento – e-education” tirava il campanello d'allarme. Non a caso uno dei suoi autori, il pedagogista Marco Beltrametti, nel 2015 ci aveva dichiarato che “manca un approfondimento a livello di scuola obbligatoria” (Ticinosette n. 49/2015).

Il nuovo Piano di studio della scuola media, spiega Parenti, ora “ci permette di identificare quali competenze tecnologiche e mediali gli allievi dovranno costruire. Per arrivare a questo scopo vanno tuttavia sperimentati, analizzati e generalizzati degli itinerari scolastici specifici”. Già, ma come? E soprattutto: quando? Infatti sembra esserci una certa urgenza.

In uno scritto dello scorso marzo, Beltrametti e il ricercatore Lucio Negrini lamentavano che se da un lato “la scuola ha reagito a queste necessità”, dall'altro “non vi sono però fino ad ora indicazioni in merito a come costruire queste competenze” entro la fine della quarta media. Il problema, fa notare Parenti, è che “i tempi necessitanti alla scuola sono lunghi”. Il rischio di accumulare ulteriori ritardi, a scapito delle nuove generazioni (quindi dell'economia 2.0), appare dunque realistico.

Docenti poco "high-tech"
A tutto ciò si aggiungono la diffidenza o il disinteresse del corpo insegnante verso la “scuola 2.0”. Già nel 2010 si legge che “l’informatica è (…) scarsamente usata a scopo didattico” pur essendo molto presente (“Scuola a tutto campo”); nel 2013 “solo il 29% ne fa uso a lezione almeno una volta a settimana” contro per esempio il 90% in Australia o il 76% in Russia (“ICILS”); nel 2015 “l’introduzione dei computer e di altre tecnologie nelle classi non porta per forza ad un’innovazione nelle pratiche pedagogiche e didattiche dei docenti” (“Scuola a tutto campo”). Uno dei motivi, secondo lo studio ICILS, sarebbe che in Ticino si dà “(...) più importanza alla dimensione di reperire e selezionare informazioni, che non a quella di trasformarle e diffonderle”.

Con le griglie orarie già molto fitte, le ore di lezione di quali materie andrebbero ridotte? Quindi a scapito di quali altre competenze? La scuola media può e deve sperimentare, ma il problema è complesso. Da quando esiste il CERDD le novità non sono state molte: su 35 sedi, spiega Parenti, “abbiamo ripreso due sperimentazioni”, mentre “diverse” sono state avviate in varie sedi e ordini scolastici (per esempio “MediaSkuola”, “Media In Piazza”, ecc).

Da settembre 2018 è tuttavia previsto un “FabLab cantonale scolastico”, una sorta di officina digitale, inoltre è stato lanciato il nuovo portale “ScuolaLab”. E la formazione dei docenti? Parenti dice che “da due anni stiamo coordinando alcuni itinerari scolastici specifici che saranno seguiti da corsi di formazione continua per i docenti (…), così che si possa rispondere convenientemente a quanto preconizzato nel piano di studio”. Non ci resta che attendere.

Nda: qui trovi anche l'intervista al capo progetto della parte ticinese dello studio ICILS 2013, Spartaco Calvo.

Le lacune dei nostri ragazzi

Sono ben dieci i paesi che hanno ottenuto “punteggi medi significativamente superiori” a quelli del canton Ticino: Repubblica Ceca, Australia, Polonia, Norvegia, Corea del Sud, Germania, Slovacchia, Russia, Croazia e Slovenia. In media il 13enne ticinese quando usa le tecnologie digitali “deve essere supportato per trattare compiti più complessi”, “non possiede appieno gli strumenti” per capire quali informazioni sono affidabili, “non è sempre in grado” di riconoscere i pericoli della rete e “non ha (…) quasi alcuna cognizione dei diritti intellettuali” dei contenuti in internet. In altre parole c'è superficialità, ignoranza e ingenuità. Infine “denotano una scarsa preparazione rispetto ai loro coetanei che vivono in contesti economici più sfavorevoli”.