Generazione Z - Dieci metri sopra il cielo

pubblicato da Ticinosette #32 - 9.8.2019
Potreste confonderli coi “millennials” più giovani o della cosiddetta “generazione Y” che li precede (si veda qui: Ticino7 n. 27/2019), ma vi sbagliereste. Quanto meno è quello che affermano vari studiosi, sondaggi e barometri. Stiamo parlando dei ventenni di oggi, ossia della cosiddetta “generazione Z” o “post-millennials”, cioè tutti quelli nati dopo il 1994 (o 1995 o 1997 a seconda delle fonti) e che oggi non hanno più di 25 anni. Non vorremmo generalizzare troppo su questa fascia di popolazione in realtà molto eterogenea, ma proviamo a capirci qualcosa, dato che probabilmente, come per chi scrive, anche alcuni di voi non hanno l'abitudine di frequentarli.

Diversi da tutti
Se non sapete bene di chi stiamo parlando chiariamo subito una cosa: gli “Z” non c'entrano nulla con Zorro, forse non sanno nemmeno chi sia. Poi ci sono almeno due possibilità: o non avete figli o parenti ventenni, o non uscite spesso di casa. Oppure, semplicemente, l'invecchiamento della Svizzera e il crollo della natalità li stanno pian piano decimando, se non ci fosse l'immigrazione. Comunque sia, secondo vari autori, gli “Z” vanno nettamente distinti dagli “Y”, anche solo per un fatto epocale di cui parla per esempio il sito “popeconomy.tv”: potrebbero non avere memoria del crollo delle Torri gemelle del 2001, siccome avevano solo 6-8 anni. Resta che il loro presidente statunitense, che gli piaccia o no, è Donald Trump.

Ma sono loro i veri nativi digitali perché nati e cresciuti nella pletora di smarthpones, tablets e apps: non sanno nulla dell'evoluzione dei cellulari perché hanno conosciuto solo l'iPhone a cui sono sempre connessi. Allo stesso modo molti “Z” sono figli di Netflix, di Youtube e dei suoi “guru”, gli youtubers, maestri di vita e di comportamento, nonché di app come Snapchat invece di Facebook. Per questi e altri motivi, confermano molto studiosi, gli “Z” si caratterizzano per un basso livello di concentrazione e per essere bravi nel multitasking solo in apparenza. Per colpe non loro, sono cresciuti nel pieno della crisi globale del 2008: ecco anche perché molti vivono la cosiddetta “crisi del quarto di vita”.

Uno spazio per loro
Leggiamo qua e là che gli “Z” pare aspirino a diventare imprenditori, a fare soldi in fretta anche se consapevolmente con fatica. Sarebbero molto determinati e indipendenti. Si dice che faranno i lavori che ancora non esistono e che magari dovranno andare a vivere altrove. Perché la Svizzera, e il canton Ticino, lo si sente dire spesso, non sembra un paese “young friendly”, bello per avere 20 anni.

Il settimanale “Panorama” pubblicava la lista delle 25 migliori città del mondo per i giovani, tratta dal sito “list25.com”. Ebbene, benché dinamici, spiriti liberi, idealisti, spensierati, ma anche determinati, motivati e pragmatici, per godersi quell'età fantastica servono comunque capacità finanziarie, un certo grado d'indipendenza e di libertà. Indovinate? Nella top 25 non c'era nessuna cittadina ticinese, solo Ginevra (12° posto) e Zurigo (24° posto). Vi invitiamo a leggere le annuali rivendicazioni del “Parlamento cantonale dei giovani” per capire che gli “Z” di oggi non vengono granché considerati dalla classe dirigente.

Forse è una generazione poco interessante in termini politici, magari disimpegnata: si informano male, si indignano ma non votano, se lavorano non si sa per quanto, taluni sono già disoccupati o persino in assistenza. La maggior parte degli “Z” ticinesi stanno a Lugano: dei poco più 18'600 20-24enni ticinesi, quasi ottomila vivono nel Luganese (Ustat 2017), più che in altri agglomerati dove sono quantité négligeable. Se poi Lugano non ne attraesse altri dall'estero grazie a USI e SUPSI, ne vedremmo ancora meno tra i moltissimi “baby boomer” e l'esercito di anziani.

Eppure si vedono
Basta vagare nelle nostre cittadine per vederli. Tendono a raggrupparsi in base a gusti e passioni comuni, in luoghi specifici, dove passano ore tra app e chiacchiere, bibite e tabacchi vari, e tanta musica trap. A Lugano alcuni usano accamparsi dietro alla pensilina dei bus in centro: versi, musica, rutti e bestemmie vi guideranno facilmente a loro. Ne trovate anche alla stazione FFS a Bellinzona o a Locarno, sugli scalini. Stanno volentieri a terra, appoggiati alle pareti di banche e negozi, seduti sui cordoli dei marciapiedi: è semplicemente il loro modo anticonformista di appropriarsi della città che è anche la loro, anche se non la amano particolarmente.

Ne abbiamo incontrati alcuni a Lugano. Un lamento comune era: non sappiamo dove andare, mancano spazi per noi. Eppure ci sono, ma dicono che dopo un po' stufano, addirittura che non ci sono mai andati o che ci sono troppi bambocci. Quando insistiamo, nessuno ha saputo darci risposte chiare. Alcuni ci elencano dei bar del centro, mentre il padre di una “Z” ci dice: “mia figlia, se esce, va a teatro!”. Non ce lo aspettavamo. Scopriamo che non tutti gli “Z” amano le discoteche: costa troppo e non è salutare, perché curano il loro corpo. Gli “Z” di Lugano non frequentano né Bellinzona né Locarno perché non c'è niente, dicono, ma vanno a Milano, Zurigo o a Ponte Chiasso (Italia).

Ecco, forse i nostri “Z” appaiono più provinciali e attaccati alla cittadina (o valle). Borbotta chi non si sposta o chi non lavora, mentre quasi 5mila “Z” ticinesi vivono e studiano oltre Gottardo. Così non è solo l'Italia che si svuota di giovani ma anche, ogni anno, il piccolo canton Ticino. La maggiore offerta accademica d'oltralpe è citata come motivo principale, ma siamo certi che non sia l'unico. Forse anche a causa di questo piccolo esodo non sappiamo bene chi sono e sembrano non esistere?

Tentativi di descrizione
Gli “Z” ticinesi, svizzeri o di qualsiasi altro paese, sono diversi ma anche simili per valori e caratteristiche. Quelli italiani radiografati dal recentissimo 11° Rapporto Civita (Marsilio Editore), riportato dall'Ansa, vivono in gran parte coi genitori, quasi tutti sono single e senza figli. Coltivano una certa “internazionalità” anche se mammoni e magari provinciali, si dicono “curiosi” e “felici”, e ci mancherebbe alla loro età! Che peso ha la cultura? La metà pare ami frequentare “cinema, teatri, musei, concerti, letture” per “arricchire personalità, social reputation e crescere professionalmente”, si legge.

L'altra metà dichiara “di non fruire appieno dell'offerta della propria città, sia per scarsa conoscenza che per disinteresse”, proprio come ci è parso tra alcuni “Z” luganesi. La metà dei ventenni sentirebbe distante il concetto di famiglia (perciò sono single incalliti) e delle istituzioni (perciò non votano). Rispetto ai “millennials” più riservati, gli “Z” adorano condividere su internet e sui social media come Instagram, Facebook e WhatsApp. Si confermano grandi utenti di Spotify e Youtube per la musica, di Netflix per i film, aziende statunitensi che da tempo hanno trovato in loro la gallina dalle uova d'oro. Snobbano la tv tradizionale e reputano il cinema spesso troppo caro: per questi due media non si prospetta nulla di buono in futuro.

Nuovi lavoratori, aziende vecchie
Due sociologi francesi, Daniel Ollivier et Catherine Tanguy, ci spiegano la visione professionale degli “Z”. Il lavoro, come per i “millennials”, non è al centro della loro vita: “è il piacere e la voglia che guidano il loro percorso, non il dovere e l'obbedienza a una norma sociale” affermano Ollivier e Tanguy. I ventenni, se competenti, sarebbero dunque delle meteore per le imprese: se non amano quel che fanno, si annoiano e non sono gratificati, tanti saluti e via! Se così è, fanno un po' sorridere le autorità politiche quando affermano di voler invertire la tendenza tra gli apprendisti, e cioè che in Ticino solo un terzo rimane in azienda.

Non si possono modificare certe scelte generazionali, ma è il mondo del lavoro che dovrebbe adattarsi: succede? Mah! Secondo altri studi, per gli “Z” l'azienda è infatti “dura, complicata, difficile da vivere nel quotidiano, chiusa all'innovazione e al cambiamento”, leggiamo. I ventenni di oggi, spiegano ancora i sociologi francesi, in azienda non trovano i valori in cui credono e cioè “rispetto, agilità, cooperazione, trasparenza”, ma piuttosto “concorrenza, performance, continuità e perseveranza”. Insomma, se l'economia vuole continuare a crescere e a innovare, forse è il caso che cominci ad ascoltare la “generazione Z”.

Sette possibili "scenari Z"

Tra problemi attuali e altri possibili, ecco cosa distingue le generazioni precedenti dai ventenni di oggi, secondo l'esperto statunitense Tim Elmore.

1. Più risparmi. Mentre i “millennials” spendono, “il 57% della generazione “Z” preferisce risparmiare” dice Elmore. Non è un buon segnale futuro per l'economia reale.

2. Più online. Non passano ore nei supermercati ma “scelgono gli acquisti su internet per quasi tutte le loro necessità” afferma. La moria di negozi in città forse non finirà.

3. Più incertezza. I ventenni “sono cresciuti in tempi di recessione, terrorismo, violenza, volatilità e complessità” dice Elmore. L'incertezza crea ansie, ma anche ingenio.

4. Più privacy. Gli “Z” “non vogliono essere geo-localizzati e scelgono Snapchat, Secret o Whisper per comunicare”. Va bene, purché si parlino anche a quattrocchi.

5. Più disattenti. “Hanno una capacità di attenzione di 8 secondi, l'11% circa soffre di disturbo da deficit di attenzione/iperattività” scrive Elmore. Insegnanti e datori di lavoro avvisati.

6. Più immagini. Finita l'era dei messaggini: “la generazione Z preferisce comunicare con immagini, icone e simboli” dice Elmore. Speriamo non disimparino a scrivere.

7. Più consapevoli. Se ai “millennials” “importava lo status e i like” sui social media, ai ventenni di oggi preoccupa “l'economia e l'ecologia mondiale”. Forse saranno loro a migliorare questo loro mondo...