Ciabatte anni 80, a righe inverse

rubrica "Prixaupublic" pubblicata da La Regione - 5.8.2017
Ti accrediti in quella specie di vivaio tropicale che è la Sopracenerina, c'è fila, le giovani al desk sono sempre troppo poche, spunta il Reza vestito da Rambo che ti ruba il posto e poi si scusa. Ti butti subito nella mischia ma l'inizio non è di buon auspicio: appena inforchi la bici si rompe un infradito, così pedali a piedi scalzi come un hippie, giù fino al Fevi che pare il Cammino di Santiago. Ti accorgi subito che pedoni e automobilisti sono poco abituati ai ciclisti.

Arrivi che ti stai sciogliendo come un sorbetto. Il bus scarica gli autolesionisti vestiti di nero aderente. Ti guardi in giro, in terrazza ti atteggi un po', dietro a dei grandi occhiali da sole, sotto a un finto cappello Habana, potrebbe esserci un regista che ti scrittura. Certo, come no, con quella faccia che è una smorfia grondante di sudore! Vedi il nebulizzatore allo Spazio Cinema e ti senti preso in giro: è al posto sbagliato.

Nella coda per “Reagan Show” fai parte di quegli sfigati sotto il sole, c'è ritardo con le pellicole, dicono, così perdi liquidi, arranchi, rantoli. Gli amici di Losanna calzano ciabatte Adidas da piscina anni '80, a righe inverse però, e Alex ti spiegherà che è una “moda-non moda”. Dopo le scarpe da ginnastica grigie di Chatrian, e dopo il completino turchese di un suo assistente, te ne vai soddisfatto dal film, ma di corsa, verso il bagno, tra una folla in slow-motion.

Le due malcantonesi quest'anno non dormono nel furgone ma in un camper, benché dei tizi, la sera prima, le abbiano offerto una “stanza calda”. Al Forum ti fai uno Spritz e una focaccia al rosmarino ma il nebulizzatore è sempre al posto sbagliato. Passa il Seba, lo Zirpoli, il Beltrami, il Maire, e persone che ti guardano, tutti che si guardano. Dalla Rachele è la consueta “croisette” di gente comune che fa il festival: lo dirà la Ardant più tardi, dopo che la Kinski un po' sopra le righe bacerà anche il microfono.

Ti rinfreschi nel nuovo Palacinema imbottito e rilaccato d'oro, chiedendoti perché quella musica tamarra al bar. L'aria condizionata è a manetta, il portone principale spalancato: il festival non è più un evento “green”? Sali al “Mobilgarden” in città vecchia, bello, a parte la scatola di plastica dove suonano i gruppi, il terreno di truciolato spezza-caviglie per le signore (così poi ti vendono polizze), i baristi che vanno in palla.

Incroci “vips” nostranelli tipo Roth, Rückert, Lehnhoff, Nevercrew, Rauseo, Castelli ecc., finché in Piazza Grande ti colpisce un piccolo grande dettaglio. Sullo schienale delle sedie ora è solo “Locarno Festival”, la parola “film” è sparita. Per contro il vizio di certi esercenti di speculare c'è sempre: una birraccia fanno sette franchi.

Torni al “Mobilgarden”, baristi sempre più in palla ma bibite a prezzi da discoteca, a mezzanotte la band smette di suonare per non creare disturbo, all'una torni a casa passando dalla Rotonda semi deserta, salvo quegli antisociali da “Silent Party”. Ma siamo solo all'inizio: forza pubblico!