foto: Nucleo Meccanico


"La extravagancia#0", un assurdo poco ironico

pubblicato da La Regione Ticino - 2.5.14

L'adattamento eccede forse nel visivo e nel sonoro, mancando di maggiore chiarezza ed ironia nel testo...

LUGANO - Ancora una volta non eravamo i soli a chiederci che senso abbia porre una cassa per i biglietti in mezzo alla coda di attesa del pubblico. Questo è il teatro Foce di Lugano. Nutrivamo una certa aspettativa per il primo spettacolo di e con Anahì Traversi, trentenne attrice ticinese, in "La extravagancia#0", adattamento di parte di un testo di Rafael Spregelburd, acclamato giovane drammaturgo argentino.

La sala è quasi al completo: le produzioni nostrane funzionano, eccome. Leggiamo che Spregelburd è ossessionato dai peccati capitali e, in questo caso, da quello che sarebbe l'invidia. Tradotto e ambito in vari paesi, Spregelburd soltanto al Piccolo Teatro Milano è di casa. Non è un caso il primo esercizio della Traversi: qui vi ha studiato e qui si è invaghita della messinscena del testo dell'argentino. Tre sorelle gemelle di nome Maria, da anni non si parlano, tra loro sono molto diverse e non si sa quale delle tre è stata adottata. Lo apprendiamo subito e ciò ci conforta. Amiamo le contaminazioni non eccessive: il video a teatro ci sta ed era previsto dal testo. Video e regia di Fabrizio Rosso funzionano bene, così come musica e suoni di Zeno Gabaglio sono bene inseriti, anche se forse a volte mettono in secondo piano la Traversi.

Tre sorelle, la scrittrice snob, la pantofolaia depressa, sono lì, presenti, efficaci, credibili, mentre la presentatrice televisiva è in video, registrata, ma sempre presente. Se in altre rappresentazioni dell'opera c'è chi ha scelto di utilizzare tre attrici diverse, qui la Traversi si dimostra all'altezza da sola. La sorella in video riduce lo sforzo attoriale ma non toglie nulla alla schizofrenia interpretativa. In una buona ora di spettacolo, tuttavia, se è l'invidia che Spregelburd teatralizza, allora non ci è chiaro completamente: percepiamo anche ira, superbia e persino lussuria. Verso la fine l'adattamento dalla Traversi si perde in un lungo momento più scenografico che altro: protagonista la sorella scrittrice, l'atmosfera si incupisce con suoni, luci, fumogeni e vento molto efficaci, ma non si capisce a cosa si allude. La sua morte, essendo tutte e tre affette da una malattia? La non-nascita di una perché adottata e non "sorella di sangue"?

C'era sì il surreale e lo stravagante, i costumi, le interpretazioni e la dizione dell'attrice, ma leggendo anche le intenzioni della stessa ci aspettavamo più momenti ironici, considerando l'assurdità della storia. Non si va oltre la comicità degli esercizi fonetici della sorella presentatrice, qualche posa e un'imitazione d'amplesso della scrittrice. Alla Traversi non manca talento e osare va sempre bene, ma pretendere di fare propria una pièce di cui ci si è dichiaratamente invaghiti, solo perché la si reputa buona, si rischia di sopravvaltutarsi o, peggio, di non emanciparsi dai propri maestri.