Critica poco critica?

pubblicato da Ticinosette - 18.4.14

I critici ticinesi sono troppo buonisti nei loro giudizi sulle opere e gli artisti ticinesi? Perché? Quali le conseguenze per il settore, il pubblico e la cultura? Una riflessione tra letteratura, cinema, musica, teatro e televisione...

Approfondimento oppure semplice segnalazione o, peggio, marchetta? Il ruolo della critica d'arte, per la sua capacità di dividere e scontrarsi su forme e contenuti, ci pare non solo fondamentale per informare e orientare il pubblico, ma soprattutto è "un segno di civiltà, di vitalità di una cittadinanza", afferma lo storico italiano della televisione Giorgio Simonelli. Tentiamo dunque una riflessione per la Svizzera italiana, limitandoci per ovvi motivi ad alcune arti (letteratura, cinema, musica, teatro) e dopo aver letto e ascoltato i nostri critici sui media nostrani.

Quale critica?
Il corollario a cui siamo giunti è il seguente: perché la critica ticinese ci pare così poco critica verso i nostri artisti? Perché, addirittura, tace? Con quali conseguenze per il pubblico e il mondo culturale? La critica che noi intendiamo è quella a cui alludeva Charles Baudelaire, onesta, appassionata, libera, affinché "apra più orizzonti possibili". (1) Ci siamo invece imbattuti nel vezzo piccolo borghese che già lamentava tempo fa Francesco Chiesa, intellettuale di casa nostra, del "gretto sciovinismo" e della "faciloneria" tipica della sua (nostra) "repubblica delle iperbole". (2) Non siamo i soli a dire che gli intellettuali di oggi sono complici del decadimento culturale (e non solo) a cui assistiamo. Questi, al contrario di Chiesa, da troppo tempo tacciono e, proprio perché silenti, qui vengono dati per morti. E non saremo i soli a dire che anche la critica nostrana è complice del misfatto, perché troppo spesso preferisce l'ambivalenza del silenzio (si acconsente o no?) alla sana discussione.

Che abbia ragione il critico italiano Fabrizio Ottaviani per cui alla "mancata stroncatura" corrisponde il "mancato riconoscimento"? Può darsi, ma allora che lo si dica chiaramente. E invece, evitando la stroncatura ma scegliendo la compiacenza, costoro non solo dimostrano disonestà intellettuale, ma rifuggono l'ovvietà intrinseca alla critica: c'è ben poco da salvare, il resto è da buttare. Così volgiamo lo sguardo a quell'Italia a noi bislacca ma patria di Giulio Ferroni, critico letterario che bacchetta le pagine culturali di prestigiosi giornali, perché avulse di critici professionisti (come lui) e redatte da giornalisti "spesso solidali e amici dello scrittore che recensiscono". Patria di Adriano Aprà, critico cinematografico che già negli anni '70 disse che - e ci sia concessa la citazione - a parte qualche perla o qualche stella che brilla, ormai "ci circonda la merda". (3)

Viva la leggerezza
Dario Robbiani, in veste di presidente dell'Associazione scrittori della Svizzera italiana, disse: in Ticino "gli artisti della penna (...) sono pochi". Parole che risuonano come cannonate nell'euforica grancassa editoriale a cui (quasi) tutti i nostri critici ci hanno abituati. Un giallista ticinese ha trovato un editore in Italia e sembra talmente bravo che non abbiamo trovato un solo rimprovero dai professionisti, né ticinesi, né italiani, ma soltanto da alcuni lettori. Domanda: se tutti i critici sono concordi, che senso ha la critica? Se critico è soltanto parte del pubblico, a chi compete allora la critica? Una giallista nostrana si auto-pubblica e ci risulta che da noi è sempre stata segnalata (recensita sarebbe dire troppo) positivamente da redattori culturali navigati, ma persino dai novellini. Domanda: se un editore non è sempre indice di qualità, perché questo libro in Italia non è stato accolto in modo sempre favorevole dai critici? Premettendo che il pubblico vorrà sempre sapere cosa c'è (o non c'è) dietro ad un libro, è chiedere tanto che la critica giunga "non da un giornalista qualsiasi ma da chi è competente e preparato", come scrive la collega Natascha Fioretti?

Questo, ci dice Fabiano Alborghetti, poeta e operatore culturale italo-svizzero, "significa sottovalutare la capacità di comprensione del pubblico, abituarlo alla diseducazione e indirizzarlo al doversi accontentare piuttosto che il contrario. Alcuni giornalisti questo lo sanno però, e lavorano con delicatezza e competenza, alzando sempre l'asta di una tacca. Ci sono isole felici". Ma, continua, "alla base di questa piramide c'è infine un livellamento culturale pericoloso, un azzeramento della critica intesa come scambio o innovazione". La critica in Ticino spesso non è tale, ma semplice segnalazione, "giusto per fare 'il compito a casa'" rincara Alborghetti, che distingue: "la critica ha un peso ed è diretta all'approfondimento e al dibattito, la recensione ha per funzione la divulgazione. Sono importanti entrambe ma troppo spesso si preferisce la 'leggerezza' della seconda".

Cinema: "reticenza o compiacenza"
Piccolo che sia il Ticino, ci rallegriamo del suo fermento cinematografico, ma la sua qualità non viene mai messa in discussione dai professionisti. Non si trova un Paolo D'Agostini ("Corriere della Sera") ticinese che annienta l'ultimo film di un monumento nazionale qual è Carlo Verdone. Non c'è un Alberto Pezzotta ("Corriere della Sera") nostrano che riconosce che "la situazione è tragica ma anche ridicola" perché il critico acritico è "sempre più accessorio". Da noi, a parte qualche rarissima bacchettata, il più delle volte amalgamata al panegirico, la benevolenza è sempre di casa.

"L'impressione è che, finché si tratta di produzioni che non ci toccano direttamente, tutto vada abbastanza bene. Sia alla radio che sulla stampa si possono trovare contributi competenti e appassionati" ci dice Claudio Lo Russo, cinefilo con esperienze a Roma e capo redattore cultura a "La Regione". "Il problema, piuttosto, si pone quando dobbiamo parlare di noi stessi". Cioè? "Sappiamo tutti che la nostra è una realtà piccola, ben presto ci si conosce tutti. E questo non aiuta i produttori a scegliere che cosa realizzare, né i giornalisti a valutarlo criticamente. Credo si noti in questo senso una certa reticenza o compiacenza".

E torniamo all'iperbole del Chiesa: se non amassimo tanto autocelebrarci, perché mai creare il "Premio Cinema Ticino", un unicum svizzero a quanto ci consta, nemmeno nato tra critici e cinefili ma tra le fila dei politici? Potremmo confidare in una "nuova critica" che verrà, ma le poche presenze nelle sale ticinesi e svizzere a incensatissime finzioni ticinesi (salvo forse "Frontaliers" e "Sinestesia") potrebbero farci cambiare idea.

Musica: "malsane le critiche solo positive"
Per quanto riguarda la musica (e pensiamo solo ai generi pop-rock)... la musica non cambia! "È certo che si trova assai poco nella carta stampata ticinese" osserva Zeno Gabaglio, eclettico musicista, compositore e recensore ("Azione"). Gli interventi, dice, "sono più spesso rivolti alla presentazione - magari con intervista ai protagonisti - che non alla critica, anche perché ai musicisti e agli organizzatori interessa di più la promozione che non un giudizio potenzialmente anche negativo". Ma, avverte, "le critiche esclusivamente positive probabilmente non sono sane, e se non ci sono stroncature è forse perché si pensa che la critica peggiore sia quella di tacere del tutto un certo argomento".

Il motivo è che, continua Gabaglio, "la nostra regione è troppo piccola e pensare di limitare ad essa la portata del proprio lavoro (dischi, concerti, video, ecc.) è una strisciante ammissione di dilettantismo". Eventi come "Palco ai giovani" non sono forse esempi di strapaese? I critici nostrani tacciono. Ma, rincara Gabaglio, "quello che stupisce è piuttosto l'inesistenza di webzines ticinesi (pubblicazioni online indipendenti, ndr.) in cui gli appassionati di musica potrebbero esercitare in modo pubblico la propria capacità di critica".

In realtà qualcuno c'ha provato, ma nel webzine "universomusica" bisognava "astenersi dal commentare il disco di una band della propria regione" a causa della "difficoltà nel rimanere obbiettivi". In "musicalmonitor" la critica nostrana non fa testo. Nel nuovo "pnpmag", stando ai responsabili, si tratterà anche la musica ticinese: aspettiamo fiduciosi. A noi pare che di musica nostrana non si dibatta mai, ma crediamo sia importante sapere se un concerto è stato buono o meno e, come dice Fioretti, se "questo poi accada sulla carta o sul web, poco importa".

Teatro: dilaga il buonismo
Scriveva l'autore ticinese Pierre Lepori: "la critica teatrale nei giornali ticinesi è spesso limitata ad alcune osservazioni su trama della commedia e dizione degli attori". Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per la danza, ma tutti o quasi i critici teatrali ticinesi non sembrano (saper o voler) andare oltre una generale compiacenza. Lontanissimi dall'Italia di un Paolo Isotta ("Corriere della Sera"), talmente critico da essere ritenuto persona non grata alla Scala di Milano; siamo lontani anche dagli anni '50 di un Plinio Grossi, allora giovane redattore nostrano, che castigava persino la blasonata compagnia "Piccolo Teatro della Svizzera italiana" (da Lepori, ibid, p. 283).

Oggi non c'è da stupirsi se tutti i siti internet delle compagnie sfoggiano, giustamente, soltanto lodi e complimenti a mezzo stampa, manco fossero tutti degli Albertazzi o degli Shakespeare. Degni di nota almeno due fatti. In Ticino non è stato un regista o attore nostrano, ma italiano, a criticare la politica istituzionale delle sovvenzioni pubbliche a pioggia che, invece, sembra convenire a tutte le compagnie nostrane, critici compresi. E non è stato un critico ma un direttore artistico nostrano a dire che, dagli anni '80, "si sono moltiplicate le compagnie in maniera secondo me abbastanza scriteriata (…)", con una "produttività poco omogenea, sia a livello quantitativo che qualitativo (…)". (da Lepori, ibid, p. 513).

I critici nostrani sembrano divisi solo tra chi coltiva l'apologia universale (si loda l'intera scena ticinese recensendo magari due sole compagnie!) e chi il vittimismo sciovinista (impegni organizzativi, manca il tempo, c'è poco spazio in pagina, ecc.), ma alla fine si assomigliano tutti, annullandosi. Tanto vale, dicono i secondi, riempire questo misero spazio nei giornali ticinesi "valorizzando ciò di cui gli altri di solito non scrivono". Ma gli "altri", cioè i giornali italiani più ricchi di pagine culturali, perché mai dovrebbero scrivere del teatro ticinese? Non ci è chiaro. Infine, appunto, ecco ancora quel "valorizzare", ad libitum, sempre e ancora, compreso il pacchiano e il dozzinale. Non ricorda un po' l'avanspettacolo?

"Senza critica invecchia il paese"
Se il pluralismo alla Rsi è un dovere, allora nella critica (pluralista) c'è qualcosa che non funziona: non esistono filmacci ticinesi, né letteratura spazzatura, tantomeno musicaccia, ecc. Possibile? Ovviamente no, ma la Rsi, diceva dieci anni fa l'intellettuale, scrittore e critico Guglielmo Volonterio, forse "è incapace di proporre una critica (...) che abbia le carte in regola"?

Per Lo Russo l'ente "si limita a fare da cassa di risonanza, più che a proporsi come occasione di lettura critica, rinunciando così a valorizzare i propri giornalisti più preparati". Così, continua, "non si rende un gran servizio al suo autore, magari giovane, al quale è più utile una critica onesta e costruttiva. E se magari qualcuno la propone, scatta il sospetto che sia mosso da misteriosi motivi personali".

Se il problema fossero le coproduzioni e i finanziamenti Rsi, allora perché alla Rai ("Cinematografo", RaiUno) la critica ai film, anche vivace, esiste e non alla Rsi? Noi da valide trasmissioni culturali Rsi com'era "Festa Mobile", o come sono "Cult tv" e "Turné", peraltro spesso pensate e condotte da giovani, ci aspetteremmo qualcosa di più. Per Maurizio Canetta, già capo dell'informazione e futuro direttore Rsi, ammettendo che criticando un autore ticinese, rispetto a uno straniero, si stia più attenti agli aggettivi, non sarebbe autocensura, bensì "coscienza di dove va a finire il tuo prodotto". Ci chiediamo: così non si finisce per confondere la pacatezza con l'opportunismo, la cautela con l'obiettività?

"La critica in Ticino è insufficiente, innanzitutto in termini di quantità. Sommando quotidiani e periodici si arriva al numero desolante di tre o quattro rubriche televisive. E come se non bastasse, non tutte sono un esempio di professionalità" ci dice Antonella Rainoldi ("Azione", "Per.Corsi") che, con Marisa Marzelli ("Corriere del Ticino"), è l'unica critica televisiva in Ticino.

"Il primo motivo è che l'esercizio critico - che non è la marchetta né lo sfogo da bar sport - ha bisogno di distanza. La maggior parte dei giornalisti ticinesi, invece, ha un sogno da coronare: entrare alla Rsi. Il secondo è la competenza: per chi si occupa di critica televisiva è condizione necessaria. Per arrivarci occorre 'scarpinare' molto: studiare, leggere, viaggiare, partecipare a dibattiti, stabilire un rapporto intenso con i più grandi maestri. Il terzo motivo riguarda la direzione del giornale: dal momento in cui decidi di occuparti di tv devi poter contare su un capo che sia pronto ad attraversare momenti difficili per causa tua. La critica infastidisce e a volte crea problemi. Peter Schiesser, il redattore responsabile di 'Azione', ha spalle larghe". "La critica televisiva" conclude, "offre spunti, analisi, valutazioni, chiavi di lettura e aiuta il lettore a capire la tv e a coinvolgerlo nel 'dibattito'. Senza critica invecchia il Paese e, come dice Aldo Grasso, 'invecchiano anche i programmi e i conduttori'".

Note:
(1) "À quoi bon la critique?", in Salon de 1846 (pubbl. Michel Lévy frères, 1846).
(2) Da G. Pedroli, "Il socialismo nella Svizzera italiana 1880-1922" (Feltrinelli, 1963).
(3) In "Critici e autori: complici e/o avversari?", a cura di G. B. Cavallaro, Marsilio, Venezia 1976.


Reazioni:

"(...) Finalmente una bella "voce" e "la critica": quella sana, onesta. costruttiva e senza peli sulla lingua". Sai benissimo quanto serve in un mondo come quello ticinese abituato a riflettersi nello specchio che parte dal Gottardo e arriva al Monte Olimpino. Mi piace, a volte concordo, a volte no (per la verità non è ancora successo), ma c'è sempre quello spunto di riflessione utile per crescere, andare avanti. Bello!". F.S. (tramite Facebook, 2-5-14).

"Grande, bell'articolo. ho letto solo oggi il tuo articolo sulla critica su ticinosette. per quanto riguarda i miei ambiti specifici (arti sceniche contemporanee) mancano le competenze, ci sono pochi artisti ticinesi aggiornati su generi contemporanei europei, né critici. Per la scena contemporanea anche in Italia (teatro/danza) siamo indietro di molto rispetto al nord Europa. Quindi se si guarda all'Italia, siamo messi male. Bello comunque che scrivi di queste cose e sollevi una riflessione che, come dici giustamente, manca. Complimenti per criticare il "piccolo borghesismo" e la colpevolezza degli intellettuali. (...) Sono curioso di sapere che ritorni avrai. Bravo!". F. A. (tramite sms, 23-4-14).

"(...) desidero complimentarmi con voi per l'ottimo servizio sulla crisi della critica, apparso sul numero 16. Non conosco Marco Jeitziner, ditegli che il servizio era bello e interessante! Secondo me (ed è detto, da qualche intervistato, mi pare la Marzelli...) il difetto sta nel manico: nella pigrizia dei responsabili di settore nelle redazioni. Critici buoni ce ne sarebbero, possono essere anche spronati a fare un lavoro più serio e profondo: ma la chiave è il capo-servizio, e in seconda battuta il direttore. Ai bei tempi, il sottoscritto come responsabile della pagina "Spettacoli" e il direttore Locarnini sopra di lui, al "Corriere del Ticino", avevano costruito un muro di cemento a protezione dei vari Volonterio, Giudici, Jelmorini, et coetera. Agli ebrei dell'Innovazione che minacciavano di togliere la pubblicità al giornale perché critico nei confronti di Israele, Locarnini disse: "ma la pubblicità è nel vostro interesse, che dovete vendere". E infatti la minaccia finì nel nulla. Ma non diciamo: ah, i bei tempi! I bei tempi sono quelli che si vogliono! Un cordiale saluto". E. M. (mail al giornale, 22-4-14).

""Critica poco critica?" Cazz... hai fatto un ottimo lavoro. Ovvio che condivido in pieno il tuo testo! In effetti i "critici" in Ticino si dedicano quasi esclusivamente alla promozione e non tanto alla critica. Poi sono tutti collegati, o dai giornali e principalmente a Radio e Tv. Questo fatto rende la critica ammaestrata, addomesticata e questa è la nostra realtà! Poi bisogna convenire che il Ticino è piccolo e non può pretendere di avere giornalisti o critici scelti. Non mi è piaciuta la tua citazione di Francesco Chiesa, nel secolo scorso direttore del liceo di Lugano. Mio padre, allora liceale (ca. 1926/28!) volle invitare Gaetano Salvemini per una conferenza ma Chiesa censurò. Una mezza sommossa studentesca fece si che l'intellettuale e anti-fascista Salvemini tenne poi la conferenza. Ovvio, Chiesa era irredentista e vicino alle idee fasciste e diede del suo... Alessandro Zanoli ha recentemente pubblicato un saggio su Chiesa ma tocca solo di striscio tematiche che ti ho appena citato (...)". B. V. (tramite Facebook, 20-4-14).

"Egregio Signor Jeitziner, con piacere ho letto oggi il Suo articolo „Critica poco critica?“. Complimenti. Sento una voce che è lontano dal solito “karaoke” cantonale, una voce che non è serva de “la codardia davanti a la verità.” Con distinti e cordiali saluti". C. S. (mail al giornale, 18-4-14).

"Buongiorno, essendo in Ticino qualche giorno ho potuto per una volta leggere l'ultimo Ticino Sette e insomma, complimenti come si dice, per il "Critica poco critica": soggetto spinoso ma doveroso meriterebbe quasi deppiù". (N. D.). (mail del 18-4-14).

"Mi pare proprio venuto bene l'approfondimento, tante legnate tutte insieme la categoria non le aveva mai prese (...)". (C. L.) mail del 18-4-14).

"Il tuo articolo è potente, azzeccato fino all'osso" (R. Z.). (via sms 17.4-14).