È tutto sbagliato - I dolori del giovane ventenne
pubblicato da Ticinosette #39 - 28.9.2018
Siete nella “crisi di mezza
età”? Tranquilli, se vi può confortare siete in buona compagnia. Pare
infatti che molti ventenni (ma anche trentenni), i cosiddetti
“millennials” nati dopo gli anni '80, non se la passino molto bene tra
depressione, ansie, stress, confusione, aspettative esagerate,
disillusioni ecc. È la cosiddetta “crisi del quarto di vita” (in
inglese Quarterlife crisis) che sembra interessare tutti i
paesi occidentali, Svizzera italiana compresa. Ma è una realtà oppure
si sta ingigantendo un normale momento di transizione della vita di
ciascuno? E di cosa si tratta?
Spirale discendente
Forse vi chiederete: ma i millennials non sono quelli liberi di sognare e di creare? Quelli col mondo a portata di mano o di click? Be', sembrerebbe di no. Non a caso pare che questo sia un fenomeno senza precedenti. Il termine “crisi del quarto di vita” è nato nel 2001 dalle penne delle scrittrici statunitensi Alexandra Robbins e Abby Wilner, che per prime l'hanno documentato nel loro libro “Quarterlife Crisis: The Unique Challenges of Life in Your Twenties”. È poi seguita un'ampia letteratura tra cui “Get it Together: A Guide to Surviving Your Quarterlife Crisis”, scritto nel 2004 da Damian Barr.
Rispetto alla più nota e studiata “crisi di mezza età”, sostengono Robbins e Wilner, pare che questa crisi “capita precisamente perché non c'è quella stabilità che porta le persone di mezza età a fare cose imprevedibili”. Al “The Guardian” Barr ha detto che “molte persone sostengono che la crisi del quarto di vita non esiste, ma la verità è che i nostri ventenni non hanno avuto, come è successo ai nostri genitori, dieci anni di divertimento psichedelico e di tempo qualitativo per sè stessi. Oggi avere circa vent'anni spaventa, si combatte con milioni di diplomati per il primo lavoro, si lotta per aumentare un'ipoteca e per destreggiarsi tra tutte le proprie relazioni”.
Certo dipende dai paesi e dai contesti culturali, ma è un fatto che questo periodo storico-sociale sia contrassegnato da più competizione, incertezze ed insicurezze di un tempo. Per Robbins e Wilner può essere salutare interrogarsi su sè stessi e sulla propria vita, ma “porsi domande in modo costante e se il muro di dubbi non sembra mai crollare, per i ventenni può essere difficile riprendere fiato, ed è come se fossero risucchiati in una spirale verso il basso”.
"Maggiore fluidità"
La “crisi dei ventenni” non sarebbe ancora ampiamente riconosciuta rispetto a quella dei 45-50enni, tanto da essere controversa in ambito scientifico. Una pletora di psicologi e sociologi ne ha scritto finora, tra questi lo psicologo britannico Oliver Robinson, dell'università di Greenwich a Londra. Uno suo nuovo studio del 2011 ha dato ulteriore risalto al fenomeno. Analizzando un sondaggio di “gumtree.com” tra 1'100 millennials inglesi, Robinson aveva rilevato che l'86% si sente stressato, prova ansia rispetto ad amicizie, soldi, lavoro; il 40% ha problemi finanziari; il 30% è sotto pressione per sposarsi o mettere su famiglia; un 6% vuole emigrare in un altro paese; il 20% cambiare mestiere radicalmente.
“Adesso si è molto più liberi di fare dei cambiamenti all’inizio dell’età adulta rispetto a quanto succedeva in passato” spiegava Robinson al “Corriere della Sera”, “perché c’è una maggior fluidità nel mondo del lavoro, nel matrimonio o nelle sue alternative”. Ecco perché oggi “si va in crisi molto prima e le cause sono da individuare nella ricerca frenetica di un lavoro, nella necessità di fare soldi e avere successo in fretta, nell’ansia di voler soddisfare le aspettative dei genitori”.
Inadeguati a oltranza
L'ampiezza del malessere è difficile da quantificare. Un sondaggio della compagnia telefonica Vodafone, ripreso dal “Daily Mail”, parlava infatti di un 73% di 26-30enni in crisi: “si lamentano di sentirsi stressati, inadeguati, credono che chiunque sia migliore di loro” si legge. Uno dei principali motivi sarebbe l'ossessiva ricerca della celebrità, alimentata dalle reti sociali come Instagram, Youtube ecc., ma che in realtà si rivela molto spesso un'aspettativa irrealistica, da cui conseguono delusione e sconforto.
La fluidità citata da Robinson richiama inoltre la famosa “società liquida” del sociologo Zygmunt Bauman, cioè un mondo incerto, instabile, fondato su valori come l'apparenza, il consumismo, che si diramano in tutti gli ambiti della vita, dalla scuola (abbandono degli studi) al lavoro (meno “posti fissi”, più “contratti atipici”), dalle amicizie (tante ma virtuali) alle relazioni di coppia (più partner, più separazioni). E la Svizzera e il canton Ticino come sono messi?
La “crisi del quarto di vita” è “un problema comune a molti paesi” diceva lo scorso aprile al “Corriere della Sera” Carmen Leccardi, sociologa di Milano. E soprattutto non è un fenomeno così nuovo. Già una decina di anni fa c'era chi prevedeva un'ondata di ansia e panico tra questi 20enni “bloccati dall’incertezza di un’occupazione e incapaci di ricercare autonomia, indipendenza e realizzazione del sé” notava la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, riporta “tio.ch”.
Svizzeri al riparo, forse no...
Ma se in Italia è notoriamente il precariato e la mancanza di lavoro che inquietano i giovani, l'ultima “Indagine sulla salute in Svizzera” segnala che quasi il 53% dei 15-34enni soffre di “pressioni psichiche” dovute al mondo del lavoro. Si legge che “i valori inerenti alle pressioni psicologiche e fisiche riscontrati in Ticino sono simili a quelli rilevati per l’intera Svizzera”. D'altra parte uno studio di Deloitte Svizzera e un'inchiesta della SUPSI sembrano smentire queste conclusioni.
In Svizzera, come in Ticino, pare infatti ancora prevalere il “posto fisso”, sia di fatto (perché le aziende tradizionali sarebbero la maggioranza) sia come ambizione (perché non avremmo una grande vocazione imprenditoriale). Secondo il Credit Suisse i millennials svizzeri non sarebbero preoccupati, per esempio, dalla trasformazione del mercato del lavoro (leggi riquadro). Ma fino a quando? Lo studio “The Future of Workforce” di UBS, invece, prevede già la “scomparsa del posto fisso” in Svizzera, le statistiche cantonali già ora constatano l'aumento dei cosiddetti “contratti anomali” o “a progetto”.
Uno su cinque
Secondo la psicologa zurighese Cornelia Beck, riporta la SRF, in Svizzera ben “il 20% dei giovani tra venti e trent'anni nasconde una crisi del quarto di vita”. La crisi sarebbe nella maggiore parte dei casi temporanea, ma per taluni può peggiorare fino alla depressione se non al suicidio. E se in Romandia si parla ormai del “blues des 25 ans”, nella più popolosa Svizzera tedesca non mancano le testimonianze.
A “20Minuten” il giovane comico basilese Joël von Mutzenbecher ammette: “all'inizio dei 20 anni ho avuto una specie di 'crisi del quarto di vita', non sapevo proprio cosa fare di me”, finché è riuscito a trovare la sua via. La poco più che trentenne zurighese Gülsha Adilji ha dichiarato: “ho una 'crisi del quarto di vita', ho l'impressione che tutto mi sfugga di mano e di non avere completamente il controllo della mia vita”. Su “Coopzeitung” c'è persino una studentessa millennial, Natalie Marren, che tiene una rubrica e ne parla apertamente.
Le fasi del cambiamento
In Ticino i media sembrano parlarne ancora poco, ma ciò non significa che il problema non esista. Anzi (vedi intervista). E come per tutti i fenomeni sociali ciò che conta è dapprima saperli riconoscere per poi poterli affrontare. Da questo punto di vista nella comunità scientifica il tema è controverso: c'è chi dà più o meno importanza a questa “nuova crisi” rispetto ad un altro periodo della vita altrettanto delicato come l'adolescenza.
Ad esempio lo psicologo statunitense Jeffrey J. Arnett, nella rivista “Youth Adolescence”, si chiede se in realtà i millennials non siano soltanto più “egoisti” o più “focalizzati sul sé”? Si tratta più di “sofferenza” o di “esplorazione identitaria”? Sono soltanto più “fannulloni”, più “megalomani” o, più semplicemente, degli “ottimisti pieni di giovinezza”?
Come sostiene la Beck dalla crisi si può uscire (a certe condizioni), tant'è che Robinson ha identificato quattro fasi. Nella prima (“chiusi dentro”) ci si sente imprigionati in un lavoro o in una relazione (o in entrambe le cose); nella seconda (“separazione/tempo scaduto”) si realizza che cambiare è possibile; nella terza (“esplorazione”) si ricomincia una nuova vita; nella quarta (“ricostruzione”) si consolidano nuovi interessi, aspirazioni e valori. Ma che ci crediate o no, in fondo questo passaggio non significa forse diventare adulti, anche se più lentamente di un tempo?
"Adolescenza allungata”
E in Ticino che si dice della “crisi del quarto di vita”? Parola allo psicologo, sofrologo e psicoterapeuta Luigi Gianini, con studio a Lugano e Bellinzona.Signor Gianini, a cosa attribuisce la “crisi del quarto di vita”?
“Questo aspetto richiede una differenziazione tra culture. Nei paesi ad alto sviluppo tecnologico ciò che viene inteso come "crisi dei 25 anni" (più o meno) può essere accentuata dal fatto che l’adolescenza si allunga e i processi di 'completa' autonomia pure. Pur sempre senza generalizzare, è una tappa inequivocabile ma non tutti gli individui vi incappano”.
I suoi giovani pazienti in crisi che cosa le dicono?
“I problemi (crisi del lavoro, le incognite sul futuro, i fenomeni come le guerre ecc.) creano apprensioni, forse esse vengono spesso confuse come una “crisi dei 25 anni”. In realtà una certa apprensione nei giovani c’è: le guerre, la violenza, la competitività sul lavoro, ecc. In Ticino alcuni aspetti (come la crisi del lavoro) sono del resto più accentuati rispetto ad altri cantoni, peggiorano la qualità della vita di tutti, anche dei giovani”.
Cosa consiglia a chi si trova in questa condizione?
“I consigli sono quelli di dare un fine alla propria vita, formarsi, viaggiare, creare momenti positivi attraverso la meditazione, l’arte, la natura. E’ quindi necessario lavorare sulla fiducia in sé, sull’equilibrio tra corpo e mente, sul senso di responsabilità sociale e sui valori. Questo serve a seminare delle premesse verso un cammino di realizzazione. Una componente di crisi deriva infatti dall’assenza di obiettivi di vita, dalla sfiducia, dal ritiro sociale che ne consegue”.
L'età dell'inutilità
L'ultimo “Barometro della gioventù” del Credit Suisse ha interpellato mille 16-25enni di Stati Uniti, Brasile, Singapore e Svizzera. Ecco alcuni dati. Mentre oltre 7 giovani su 10 dei primi tre paesi si sentono “insicuri” e temono di diventare “inutili” a causa del progresso tecnologico, in Svizzera lo è solo 1 su 3. Per gli autori o il nostro paese “è rimasto indietro” rispetto all'estero, quindi “lo shock deve ancora arrivare”, oppure la Svizzera “è più preparata” alle sfide tecnologiche.Ma se all'estero i mestieri più ambiti sono tecnologici, in Svizzera lo sono solo per il 43% degli intervistati. I giovani preferiscono il para-statale (sanità, scuola, amministrazione). “Non sorprende dunque che in Svizzera vi siano sempre meno informatici” dicono gli autori (e infatti li si deve reclutare all'estero). Siamo quindi davvero all'avanguardia o in ritardo? Fate voi.