Giù la maschera

pubblicato da Ticinosette #32 - 7.8.15

Cosa è diventato il mestiere dell'attore al cinema e alla televisione? Una lettura critica basata su una semplice constatazione: siamo tutti degli interpreti.

Anche voi avrete già visto dei bei film e dei brutti film. Ma vi è già capitato di dirvi che, in fondo, quel ruolo l'avreste potuto interpretare anche voi, tanto vi è sembrata banale l'interpretazione? Vedo ormai così tanti attori e attrici mediocri da domandarmi se davvero serva un “talento” per recitare. Non mi riferisco al teatro, che mi pare tutt'altro esercizio, ma alla tv e al cinema. Come vedremo le voci critiche non mancano.

Nessuna novità
Gli attori sudano le classiche sette camicie presso scuole riconosciute? Anche muratori, cuochi e architetti. Un attore fa molta più fatica a campare quando non è richiesto? È il caso di moltissimi musicisti, artigiani e scrittori. È un mestiere che coinvolge le emozioni come nessun altro? Ditelo ad insegnanti, poliziotti o medici. Eppure tra mediocri interpreti e attricette da quattro soldi, l'attore è ammirato, celebrato e coccolato. Perché quando ne incontriamo uno restiamo spesso in braghe di tela? Anche se il film non l'abbiamo nemmeno visto?

Su come l'assenza di critica - ahi me anche nostrana – possa, mi si passi il gioco di parole, partorire una montagna da un misero topolino, mi sono già espresso. I mezzi di informazione, e quindi i giornalisti, sembrano gli indiziati principali. "Se i giornalisti di Washington sono abituati a inginocchiarsi, quelli di Hollywood non si vergognano a strisciare" tuona l'esperto Richard Stengel. I cronisti davvero liberi sul Sunset Boulevard (o a Cinecittà o dovunque si producano film) non esisterebbero.

Sono controllati dagli agenti degli attori (si parla solo del film), oppure gli stessi agenti scelgono a quali media – e quindi a quali giornalisti compiacenti – convenga concedere un'intervista. Oppure ancora sono gli attori stessi che non rispondono a domande scomode (vedi Bill Cosby, Robert Downey Jr., ecc.). Il teorico del cinema Armando Guiducci afferma che "sul fronte dei divi e degli attori forse non c'è nessuna autentica novità (...). Sono infatti essi, i mass media, che continuano a formarli: i divi continuano a diventare tali in forza proporzionale all'influsso dei mezzi che li impongono".

Fama e profitto
Nella nostra cultura l'attore approfitta di uno stereotipo legato al culto dell'immagine e della bellezza, e poi semmai – sempre che esista – a quello del merito e della bravura. Lo stereotipo è costruito ad arte da chi i film li finanzia e li distribuisce, mentre il cinema e la tv partecipano come cassa di risonanza a questa fabbrica dei sogni (irreali) e dei miti (inesistenti). Due famosi sociologi coniarono già alla fine degli anni '40 il termine di “industrie culturali”, inserendovi anche il cinema e la tv ovviamente. Un film non è più soltanto creatività, prima, e intrattenimento, poi, ma è il fine per il profitto e la notorietà.

L'attore Maurizio Micheli ha detto che oggi “(...) la professione dell’attore è vista non come sacrificio per riuscire a ottenere dei risultati, ma come un mezzo per fare carriera il più in fretta possibile”; e che “ci sono una mancanza di umiltà e una presunzione di base molto forti”. (1) L'attore italiano Toni Servillo ritiene che ci sia “un principio di vanità” che “danneggia il teatro stesso”, figuriamoci il cinema. L'attore, ha detto il francese Fabrice Luchini, ”è un essere pieno di difetti, un vanitoso, un instabile, uno animato da altri. Fare l'attore è un sintomo di isteria”. Che siano personalità di sicuro interesse per la psichiatria?

Non si spiegherebbe altrimenti perché oggi schiere di illusi (e quindi di mediocri e di incompetenti) continuino ad inseguire il sogno. Paradossalmente la recitazione (parte del contenuto) è sempre meno nitida e prioritaria dell'alta definizione della tecnologia (parte del mezzo).

Sempre meglio che lavorare
Si dice anche che recitare sarebbe il mestiere più bello del mondo, perché non sarebbe come... lavorare. Ma non c'è qualcosa di svilente nei mille provini, ennesima forma di competizione umana? La macchina gira e rigira su sé stessa gonfiandosi a dismisura, ma dei veri contenuti, cioè le storie, i film, che si dice?

La macchina sembra girare al rovescio tanto che gli unici ad avere un talento, competenza e professionalità, cioè registi, sceneggiatori e tecnici (luci, suono, scenografia, musica, ecc.), sono spesso all'ombra dell'attore o dell'attrice di turno. Quante volte ricorrono al lavoro di altri tramite cascatori o controfigure, annullando persino il corpo che è invece la materia prima della loro ambizione?

Entrano in scena per al massimo alcuni secondi o minuti, a dimostrare di saper fare qualcosa, aiutati infine dalle magie del montaggio. Fa bene dunque Servillo a dire che il regista “ti usa e poi ti lavora (…) quindi comunque abusa” dell'attore, come si fa con una marionetta, con uno schiavo. Pensare che negli anni '20 del Novecento il critico e letterato italiano Ricciotto Canudo creò l'espressione “settima arte” pensando al cinema, un condensato delle altre arti. È curioso notare che Canudo esaltò il cinema proprio quando uscì nelle sale “Il monello” di Charlie Chaplin, che disse:1 "i bambini e i cani sono i migliori attori del cinema"!

Scemenze a peso d'oro
A Marlon Brando, universalmente ritenuto uno dei più grandi attori di sempre, è attribuita questa frase: "in nessun'altra attività si guadagna così tanto facendo scemenze". E proprio Brando avrebbe ampiamente contribuito all'indecoroso avvento degli attori strapagati. Nel 1978 per sole due settimane di lavorazione e pochi minuti allo schermo, per il film “Superman” incassò la bellezza di 3,7 milioni di dollari (!).

Brando, afferma il critico Alberto Crespi, "si 'abbassò' al cinema perché al cinema gli dei sono molto più pagati e raggiungono un numero infinitamente maggiore di fedeli". C'erano per fortuna anche registi come Pasolini, che affermava di non scegliere mai un attore per la sua “bravura”, ma solo perché... è un attore! Se il tanto osannato Neorealismo italiano degli anni '50 e '60 ha spesso utilizzato attori non professionisti per parti secondarie ma anche primarie, come si giustifica il cinquantennio del cosiddetto “star system”?

Ancora Guiducci spara a zero contro gli stessi attori di oggi, "miti troppo spesso fiacchi e superficiali", e contro i cronisti di cinema, vittime di "un'incapacità di costruirsi positivamente una vita personale su modelli meno tristemente conformistici, ben più dignitosi". Già, l'etica e la morale, in tutto questo che c'entrano? Niente, sembrerebbe. Il celebre Tom Cruise ha dichiarato: "non ho mai fatto film per soldi. Se le tue scelte si basano sui guadagni e il film non va bene, cosa significa? Resti senza niente". E vorremmo credergli?

Quale merito?
L'ego dell'attore gli impedisce di rendersi conto che in realtà è perfettamente interscambiabile con un altro. Inoltre sono trasalito quando ho letto che un famoso attore ha percepito 75 milioni di dollari in un anno (!), vale a dire sei milioni di dollari al mese se lavorasse ogni giorno! Ma per quale merito? Si sarebbe speso circa lo stesso per lottare per due anni contro la deforestazione amazzonica, oppure per ridurre la devastazione delle coste della Guyana, o ancora è la fattura che sarebbe costata agli Stati Uniti per due anni di lotta l'Aids in Etiopia.

Anche il piccolo schermo non scherza. Il protagonista de “Il commissario Montalbano” Luca Zingaretti percepirebbe 450mila euro a puntata. Se poi consideriamo che, oltre ad essere milionari e famosi, moltissimi attori hanno anche il brutto vezzo di, quanto meno, apparire superficiali in modo imbarazzante... La lista di esempi è lunga.

Cito l'attrice americana Christina Applegate. Una geniale giornalista, per l'ennesimo insulso film natalizio, le chiese: "sei una persona da vacanza? Ami le vacanze?". Risposta della Applegate: "amo il Natale, davvero, lo amo. Amo stare con la famiglia e amo la neve. Amo la musica e le luci e tutto il resto". Ognuno faccia le proprie valutazioni, ma cos'altro attendersi da una donna ricca che in vita sua non ha conosciuto altro che set televisivi e cinematografici grazie alla madre, guarda caso attrice pure lei?

Artisti del marketing
Da alcuni decenni attori e attrici famose, spesso già decaduti o sulla via del tramonto, si prestano (loro o la loro immagine?) a cause umanitarie o ambientali. L'ONU li chiama “ambasciatori di buona volontà”. Vengono ritratti dalla stampa mondiale nei peggiori posti del mondo, in mezzo a guerre, carestie, malattie. Sincerità o pubblicità? Lo fanno per redimere il loro fortunato status o per mettere in pace le nostre coscienze? Mi piacerebbe chiederglielo.

Mi domando che cosa è cambiato nella Repubblica Centrale Africana da quando Mia Farrow ci è stata per conto dell'UNICEF? Se Angelina Jolie Pitt avrebbe mai scoperto il dramma dei rifugiati in Cambogia se non ci fosse stata per girare un film, come scrive l'UNHCR?

Anche qui la lista di stelle che si scoprono tutto d'un tratto caritatevoli e sensibili alle ingiustizie è lunga. È vero che molti ricchi attori possiedono facoltose fondazioni o elargiscono importanti somme di denaro per scopi di prevenzione, ma non potrebbero limitarsi a questo già bel gesto? I disgraziati e gli sfortunati del mondo hanno bisogno di acqua potabile, di cibo, di pace, di un tetto sopra la testa, oppure di vedere la bella faccia di un Ben Affleck o il bel sorriso di una Emma Watson?

Se il film fa flop
Secondo il blogger Gabriel Snyder i costi milionari di un film quasi mai vengono recuperati al cinema e c'è ancora troppo mistero sulla provenienza dei soldi: pare che nessuno sarebbe mai riuscito a mettere il naso nei libri contabili dei grandi studi cinematografici. Non è un po' strana questa opacità per un mondo così scintillante?

Anche se il film al botteghino incassa un terzo di quanto è costato, la stella di turno non vede minimamente scalfita la sua fama, tanto meno il suo portafogli. Quanto detto da Cruise può essere vero quando si è dei perfetti sconosciuti, ma ciò vale per tutti noi. In realtà gli attori di fama godono di contratti blindati che li mettono al riparo da qualsiasi rivendicazione finanziaria da parte dei produttori.

La collega di “Forbes”, Dorothy Pomerantz, scrive che celebrità come Eddy Murphy o Drew Barrymore sono tra le più pagate nonostante i giganteschi flop dei film in cui sono stati ingaggiati, costati trenta milioni di dollari ma con un incasso di a malapena otto. Com'è possibile? Snyder spiega che oltre al pagamento anticipato dell'attore, tutto dipende dagli accordi presi (se il film recupera i costi, cosa imprevedibile oltre che molto rara; se ci sono percentuali sui profitti, sul ricavo lordo, ecc.). Per fortuna la crisi finanziaria del 2008 ha cambiato un po' le cose.

La collega Kim Masters dice che "dopo anni di promesse non mantenute (...) gli studios finalmente (...) stanno martellando sui salari iniziali e anche sugli extra come i jet privati". Per Snyder "gli studios stanno cercando di porre un freno ai costi in anticipo, perché i soldi degli hedge fund che avevano gonfiato i loro budget di produzione durante il boom sono scomparsi". La prassi sarebbe ormai la seguente: chi rompe gli accordi, rifiuta un ruolo o il cachet proposto... avanti il prossimo!

Non solo spettatori
I risvolti meno edificanti toccano anche la speculazione immobiliare nei quartieri e nelle città in cui risiedono le capricciose stelle del cinema; l'evasione fiscale; le concessioni per ottenere con sorprendente facilità questa o quell'altra cittadinanza; la distruzione dell'ambiente durante e a causa dei set cinematografici; la privatizzazione di terreni pubblici (come isole o interi atolli), ecc. Per fortuna che nel 1981 il pubblicitario John J. B. Wilson ha creato i “Razzie Awards” (la “pernacchia d'oro”). L'iniziativa dovrebbe godere di maggiore visibilità.

Ogni anno, il giorno prima degli Oscar, una giuria internazionale di addetti ai lavori nomina i peggiori attori, film, registi, ecc. Anche qui la lista è lunga. Eppure la macchina delle illusioni non si ferma, a giudicare dalle agghiaccianti inchieste sui "bambini star" fabbricati a Hollywood, privati della loro infanzia da madri lobotomizzate dalla tv e da padri assetati di soldi, come hanno mostrato nel 2011 i registi Dan Sturman e Dylan Nelson nel film "The Hollywood complex".

Morti i vecchi attori di un tempo, snobbati quelli già troppo vecchi (specie le donne), avanza un esercito di ragazzini con la stessa faccia e lo stesso modo di recitare, interscambiabili come pedine. È chiaro che finché si faranno film – e non vedo come questo dovrebbe cambiare - ci saranno sempre nuovi attori, cioè al massimo quello che sono, mai bravi, mai pessimi, al limite credibili, veritieri, espressivi o no.

Gli attori serviranno sempre prima loro stessi, il loro ego, poi noi, gli altri, vendendoci sogni, quindi serviranno più il capitale che non l'arte e la cultura, più l'industria che molti ritengono ormai vicina al coma vegetativo, cioè lo stato artistico (salvo rarissime eccezioni) in cui si troverebbe il cinema almeno dagli anni Ottanta. Intanto, e lo diceva già negli anni '60 il sociologo canadese Erving Goffman, sembriamo dimenticare, o non renderci conto, che siamo tutti, chi più chi meno, capaci di calarci nei panni di qualcun altro e di suscitare delle emozioni negli altri. Gratuitamente.

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