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Un veleno
tollerato a Stabio

 

Per anni una raffineria del Mendrisiotto, gestita da ex personaggi in vista, ha inquinato il terreno. Ma le autorità non hanno mai controllato, né chiamato alla cassa i responsabili. Ora pagherà il contribuente

L'Inchiesta, novembre 2007

Per quasi 30 anni le autorità cantonali hanno sottovalutato il peggior caso di inquinamento del sottosuolo in Ticino. Tant'è che oggi il pozzo dell'acqua potabile di Stabio è in grave pericolo. Secondo la legge, chi inquina il sottosuolo deve pagare i costi di risanamento. Ma questo non è successo ancora nel caso della discarica a Stabio, quella dell'ex raffineria di oli minerali Miranco.

È forse tra i più gravi inquinamenti del sottosuolo, perpetrato dal 1960 al 1972. Chi ha tratto vantaggi dall'uso della deponia in quegli anni, grande come metà campo da calcio, ha fatto sì che enormi quantità di rifiuti velenosi, provenienti dalla produzione di lubrificanti, venissero riversati nel suolo a scapito dell'ambiente. Risultato: nel 2005, 35 anni dopo, gli scarti hanno inquinato la falda acquifera e messo in pericolo il pozzo di captazione dell'acqua potabile di Stabio, informa lo stesso Dipartimento del territorio (Dt).

I residui contengono i pericolosi idrocarburi aromatici policiclici, che «possiedono il più alto potere cancerogeno», denuncia l'Organizzazione delle nazioni unite per l'alimentazione e sono tra i principali inquinanti dell'acqua che possono causare il cancro, secondo l'Organizzazione mondiale della salute.

Il risanamento è urgente al punto che, nonostante i ricorsi delle due parti chiamate in causa , i contribuenti anticiperanno ben 10 milioni di franchi. Non avendo mai dovuto anticipare denaro pubblico per il risanamento di un sito, per recuperare i soldi in gennaio il cantone ha spedito la fattura sia alla società Miranco (perturbatore per comportamento) e al proprietario del terreno Carlo Bellotti (perturbatore per situazione).

Tuttavia, alcuni aspetti non quadrano. Se Bellotti, che dovrebbe pagare il 5% dei costi, sapeva che il sito era inquinato, perché acquistarlo dalla Miranco negli ani '90? Una domanda che, taglia corto il direttore della Divisione dell'ambiente Marcello Bernardi, «non va posta allo Stato». In febbario il colpo di scena: Bellotti muore e la fattura ricade sugli eredi.

La legge dice pure che i titolari di un'azienda che tratta sostanze pericolose per l'ambiente, rispondono sul piano civile. Bernardi afferma però che siccome la Miranco «esiste ininterrottamente dai tempi dell'inquinamento», «la responsabilità del risanamento spetta a quest'ultima e non alle persone fisiche». In realtà la raffineria esiste solo sulla carta del registro di commercio (Rc): è stata chiusa nel 1973, smantellata e dal 1994 produce «componenti e apparecchiature».

La "patata bollente" è finita nelle mani dell'attuale amministratore unico Alessandro Villa, che in buona sostanza è innocente: vi fa parte solo dal 1983, quindi molti anni dopo i fatti. «Il fatto che siano cambiati i dirigenti, nulla toglie alla responsabilità della società stessa» replica Bernardi.

«La discarica» afferma il legale della Miranco Luca Pagani, «era stata regolarmente autorizzata. Miranco si è quindi limitata a smaltire i propri rifiuti conformemente alle disposizioni di allora».

Ma sono proprio queste disposizioni che fanno discutere. La deponia era stata autorizzata dall'allora Dipartimento delle opere sociali (Dos) diretto da Federico Ghisletta, ma sin dall'inizio il Dos aveva imposto precauzioni e accorgimenti tecnici, dettati proprio dal grande impatto ambientale della ditta, ma anche della discarica, fa sapere Eros Crivelli, capo dell'Ufficio delle industrie della sicurezza e della protezione del suolo.

Nel 1959, i dirigenti della raffineria chiedono al Dos di poter collaudare una parte degli impianti. Un permesso subordinato però, scrive Ghisletta, a precise «condizioni» e tuttora controverso. Dopo una prima «perizia negativa» degli esperti cantonali, il Dos ha acconsentito una controperizia della Miranco, ovviamente di esito opposto. E con quale risultato? «Disastroso», scrive Ghisletta, costretto a riconoscere «una certa negligenza dimostrata dagli interessati (i quali omisero di mettere in funzione gli impianti per la depurazione delle acque)» e delle «avarie tecniche».

La cronaca legata alla Miranco solleva altri dubbi circa la conformità dell'attività industriale. Si parla di «esalazioni mefitiche e moleste» a danno dei mendrisiensi nel 1959, di una moria di trote nel Laveggio nel 1960, di inquinamenti atmosferici e dell'acqua nel 1969 e, infine, della stessa industria che, finita in guai finanziari, era rimasta «sotto il controllo di tre soli operai».

Le autorità potevano prevenire l'inquinamento della falda, ma hanno atteso l'obbligo della legge. La discarica ex Miranco è un «caso molto complicato sia per la quantità, sia per la costituzione chimica e per la pericolosità del materiale inquinato depositato». Così in settembre il governo ticinese. In sostanza, nessuno conosce l'entità esatta del pericolo.

Contraddittori gli stessi comunicati delle autorità riportati dai media: sito «rischiosamente inquinato» (2004); «concentrazioni inferiori o di poco superiori ai valori limite» (2005); il sito «probabilmente» ha «rilasciato il potenziale inquinante» prima del 1978 (2006) - affermazione oggi smentita dal Dipartimento del territorio (Dt).

Il direttore della Divisione dell'ambiente Marcello Bernardi replica che il sito è «sotto controllo dal 1975» e prima del 2005, anno in cui la falda è stata inquinata, «non sussistevano le condizioni per imporre un risanamento» ai sensi di legge.

Eppure si poteva intervenire prima e per diversi motivi. Il sito si trova solo a un chilometro e mezzo dal pozzo di captazione di Stabio; ogni geologo sa che le falde idriche si formano grazie a un sottosuolo poroso e permeabile; è stato stimato che le sostanze "scivolano" orizzontalmente nella falda un metro al giorno; non si è trattato di poche quantità inquinanti, ma di ben 600 tonnellate. «Il fatto che la falda si muova lentamente, ha permesso semmai di esaminare il problema nel modo più preciso possibile» replica Bernardi.

I primi studi approfonditi sono avvenuti nel 1998, l'anno in cui è entrata in vigore la legge sui risanamenti. Poi nel 2002, e nel 2004 si è saputo del «grave pericolo». Dopo tre anni il risanamento è «urgente» e avverrà quest'inverno.
«Se tutto potesse essere radiografato sarebbe molto più facile valutare i possibili effetti sia in ordine temporale che spaziale» ribatte Bernardi. Un approccio tuttavia non possibile.

Oltre a grossi interessi economici, alcuni azionisti e dirigenti dell'ex raffineria avevano agganci con il mondo politico del tempo. Oggi molti sono deceduti e quelli vivi non sono mai stati interpellati dall'autorità. Secondo Bernardi, i personaggi che hanno tratto vantaggi dalla discarica di Stabio dal 1960 al 1972, «non sono noti ora come allora, dal momento che il capitale azionario è composto da azioni al portatore». Ma gli amministratori, sì.

Di fatto, complice la minore sensibilità ecologica del tempo e il boom dei derivati del petrolio in quegli anni, azionisti e dirigenti della raffineria l'hanno sempre passata liscia. Alcuni sono ancora vivi. Secondo l'atto di fondazione del 1957, la Miranco (allora Mirag) è stata fondata dal tedesco Bernardo Schilling (oggi irreperibile) e dagli avvocati ticinesi, amici e soci d'affari, Gianfranco Mombelli (già municipale e vice sindaco Ppd a Chiasso, deceduto nel 2006) e Armando Pedrazzini (deceduto nel 2002), allora socio d'affari del finanziere Tito Tettamanti.

Nel 1966 la Miranco è gestita dalla Real Sa, con sede legale nello studio dell'avvocato Mario Pozzi (deceduto nel 1993) e beneficia di importanti investimenti italiani. Tra gli azionisti di spicco, l'avvocato Giulio Guglielmetti (allora vicepresidente del Plrt e deputato), il quale muore nel 1987 e l'imprenditore Walter Lips, oggi residente a Porza. Interpellato, Lips afferma di aver rappresentato un grosso azionista tedesco (di cui non rivela il nome e che sarebbe oggi deceduto) e che in quegli anni la ditta era gestita da un cittadino italiano che sarebbe poi fuggito all'estero.

Dal '70 al '72, il consiglio di amministrazione della Miranco vede come presidente Elbio Gada, oggi 83enne industriale di Giubiasco, e come direttore l'italiano Luciano Maschietto, deceduto nel 1986. Interpellato, Gada dice di non ricordare i fatti.