Usi, sponsor cum laude
pubblicato da L'Inchiesta #4 luglio 2004
Istituti e centri di ricerca dell'Usi ricevono migliaia di franchi da multinazionali e banche. A rischio c'è l'indipendenza della ricerca e la libertà formativa degli studenti, ignari di tutto...I finanziamenti privati alla ricerca nelle università pubbliche? «Un problema scottante» aveva dichiarato nel 2002 alla rivista "Le scienze" l'ex vice direttore generale dell'Unesco Maurizio Iaccarino. Soprattutto perché «aumentano a dismisura», e con esse tutta una serie di problematiche: dai conflitti d'interesse dei ricercatori ai profitti delle multinazionali.
Grosso modo funziona così: per ottenere brevetti e licenze di commercializzazione miliardarie di farmaci o software, le grandi aziende hanno bisogno di una ricerca di base di alta qualità. Perciò si avvicinano alle università, sotto forma di sponsor, collaborazioni, contratti, mandati, ecc. In cambio gli atenei ne guadagno in termini di immagine e competenze.
Ma fino a che punto i privati possono "affittare" laboratori finanziati con soldi pubblici e finalizzati al bene pubblico? Dove comincia la responsabilità sociale di molte multinazionali che monopolizzano il mercato, mantengono prezzi elevati e licenziano migliaia di persone al mondo? Domande che si sono posti anche docenti, studenti e ricercatori stessi in vari atenei del mondo. Specie in due lucrosi e controversi business: ingenieria genetica e informatica.
L'Inchiesta ha interpellato in merito l'Università della Svizzera italiana (Usi). Il rettorato dell'ateneo, senza fornire cifre precise, si è limitato a rispondere che «meno del 5%» dei fondi per la ricerca proviene dal settore privato. Il resto sono finanziamenti pubblici, ad esempio dal Fondo nazionale per la ricerca scientifica, dall'Unione europea, ecc.
E gli studenti dell'Usi che ne pensano? Nulla, poiché «non siamo al corrente della situazione» fa sapere l'associazione studentesca "L'universo".
Il business del biotech
Secondo le più recenti valutazioni internazionali, il business del biotech potrebbe superare i 100 miliardi di dollari solo in Europa entro il 2005. Di che attirare l'interesse di ricercatori, istituzioni e aziende, anche in Ticino. Nel 2002 è nata l'Associazione Biopolo Ticino che riunisce vari gruppi d'interesse (case farmaceutiche, ospedali, banche, ricercatori, ecc.). Lo scopo è sostenere il biotech nel cantone, anche acquistando o vendendo brevetti.
Tra i suoi membri c'è l'Istituto di ricerca in biomedicina (Irb), creato a Bellinzona nel 2000 e affiliato all'Usi. L'Irb si occupa di immunologia, sperimentando su cellule umane e animali: è qui che nell'aprile scorso è stato creato il primo "topo umano" per tentare di lottare contro Sida e Sars. Usi e Irb hanno stretti legami: il direttore del comitato scientifico è il preside dell'ateneo ticinese, l'immunologo Marco Baggiolini. La ricerca è invece diretta dall'italiano Antonio Lanzavecchia.
Ma mentre industrie e istituzioni pubbliche investono milioni nelle biotecnologie, i cittadini condividono sempre meno tali ricerche. Il tema è eticamente controverso. Specie da quando gli svizzeri, nel 1998, hanno autorizzato produzione e vendita di animali e piante geneticamente modificati.
Stando all'ultimo sondaggio Eurobarometro, mentre nel 2000 il 59% degli elveti pensava che il biotech avrebbe migliorato l'esistenza, nel 2003 la pensava così solo il 48%. Anche negli Usa, patria degli organismi geneticamente modificati (ogm), il consenso è in discesa: lo rivela un sondaggio della rete televisiva Abc, per cui il 55% degli americani non comprerebbe prodotti ogm.
Sta di fatto che per creare l'Irb sono passati alla cassa tutti i contribuenti, favorevoli o contrari a tali ricerche. I bellinzonesi con 4,8 milioni di franchi, compreso l'affitto di fr. 500 mila per 10 anni; mezzo milione dal cantone; 1,4 dalla confederazione; 1 milione da Banca Stato.
«Le nostre ricerche sono totalmente in accordo con le direttive svizzere e internazionali e sono autorizzate dagli organi federali di controllo» risponde Lanzavecchia alle critiche bioetiche.
Nei fatti però l'Irb esiste grazie a due importanti donazioni private. Da un lato la fondazione Horten dell'omonimo filantropo tedesco con 10 milioni di franchi: la presiede il ticinese Alberto Togni, membro di direzione di Ubs. L'accordo con la fondazione prevede che il 40% dei ricavi dell'attività venga dato al cantone.
Nel consiglio scientifico della fondazione Horten siede anche Max Burger, direttore scientifico del gigante farmaceutico Novartis. Burger siedeva anche nel consiglio scientifico dell'istituto ma con «funzioni disgiunte» da Novartis, precisa l'Irb. Vi figura anche il nobel italiano Renato Dulbecco, ricercatore e docente al Salk Institute di San Diego, che già collabora con Novartis.
Lanzavecchia e Baggiolini non hanno mai collaborato in precedenza, sottolinea il direttore dell'Irb. Ma con Burger hanno tuttavia una cosa in comune: la fondazione zurighese Cloëtta che promuove la ricerca medica in Svizzera. Nel 1999 Lanzavecchia ha ricevuto un premio di 50 mila franchi per le sue ricerche. Burger è presidente del consiglio di fondazione e di quello scientifico, Baggiolini ne è membro. Il vice di Burger è invece Hans Ulrich Dörig, vice presidente del cda di Credit Suisse, membro del consiglio di direzione dell'università di Zurigo e vicino alle lobby economiche (Economiesuisse) e alle multinazionali svizzere (Avenir Suisse).
Il secondo importante finanziamento privato viene dal terzo gruppo mondiale del biotech, dopo le americane Amgen e Genentech, la ginevrina Serono, che già sponsorizza istituti universitari in mezzo mondo. Da questa finora l'Irb ha ricevuto 1,9 milioni di franchi, ma ne ha stanziati 4,8 fino al 2006 per promuovere il Biopolo Ticino. Il suo dirigente, Ernesto Bertarelli, siede nel consiglio di amministrazione di Ubs.
«Finanziamenti di questo tipo sono frequenti in istituti di ricerca» risponde all'Inchiesta Lanzavecchia. «Sono di reciproca utilità e non intaccano minimamente la libertà di ricerca» aggiunge.
Nel 2002 Usi e Irb hanno stretto collaborazioni col il centro di ricerca italiano a Siena del gigante americano dei vaccini Chiron, altro partner di Novartis. Questo da anni collabora con l'istituto basilese di immunologia, di proprietà del gruppo Roche e già diretto da Lanzavecchia, il quale insegna anche all'università di Siena; e la Stanford University californiana, dove si è perfezionato uno degli autori del "topo umano".
Visti i miliardi in gioco, il business non poteva che attirare l'attenzione di banche e azionisti. La Banca della Svizzera italiana (Bsi) ha investito 620'000 franchi nell'Irb per 4 anni: in cambio riceve consulenza in merito al suo fondo d'investimento in azioni "new biomedical frontier" e il suo direttore, Gianni Aprile, siede nel consiglio di fondazione dell'Irb. L'attuale direttore di Banca Stato, Donato Barbuscia, è invece membro del Biopolo Ticino.
Informatica/comunicazione/finanza
I giganti americani dell'informatica invadono le università con i loro prodotti e finanziano borse di studio. Ma poi penalizzano i loro stessi clienti monopolizzando il mercato. Il sistema informatico dell'Usi è stato fornito, tra gli altri, dai due colossi americani Oracle (il database del sito web) e Compaq (tutto l'hardware). Ma tra gli istituti dell'Usi con più sponsor, messi in bella mostra nel suo sito web, c'è l'Advanced Learning and Research Institute (Alari), che si occupa di informatica avanzata. Ditte che - si legge nel sito web «suggeriscono i temi dei progetti, scelgono e sponsorizzano i candidati e assegnano loro un progetto».
Tra le aziende figurano Intel e Microsoft. Intel «ha messo a disposizione gratuitamente materiale informatico senza alcun vincolo d'uso» informa il rettorato dell'Usi. Microsoft «ha dato un contributo alla ricerca» sulla sicurezza dei pc mobili sotto forma di «donazione». Nel 2003 la sede italiana ha finanziato con 25'000 dollari una borsa di studio a una ricercatrice dell'istituto. La finalità è favorire l'innovazione e l'accesso a nuovi software targati Microsoft.
«Nel settore informatico tutto ciò è molto comune» dice all'Inchiesta il rettorato dell'Usi. «Ne traggono vantaggio le aziende ma anche le università». Inoltre sui progetti proposti, l'Usi può «accettarli, rifutarli e porre condizioni proprie».
Fatto sta che i maggiori vantaggi vanno alle aziende: diffondono il loro marchio tra il corpo accademico ("branding"); inviano ricercatori e docenti a dare corsi; si affacciano alle scuole a caccia di futuri collaboratori. Ad esempio Intel: nel 2003 e 2004 l'Usi ha ospitato alcune conferenze di suoi rappresentanti. In altri atenei organizza invece il "science talent search" alla ricerca di innovativi e promettenti talenti: finora Intel vi ha investito oltre un milione di dollari in borse di studio e regali ai premiati (pc portatili).
Tutto ciò interessa anche le banche, sia in termini di personale che di sviluppo dei propri sistemi informatici. Nel 2004 la fondazione del centenario della Banca della Svizzera italiana (Bsi) ha donato ad Alari 100'000 franchi per le sue ricerche nell'informatica avanzata. Mentre 5 borse di studio per il dottorato in finanza esistono grazie al «generoso sostegno finanziario» della "fondazione Gamma" della Bsi. Tra i membri del comitato esecutivo della fondazione figura Roberto Ferretti, che insegna analisi matematica alla facoltà di economia.
Le aziende private, specie le multinazionali, hanno capito che nell'era di internet la comunicazione verso il pubblico è fondamentale. Così nel 1999 l'Istituto per la comunicazione aziendale (Ica) della facoltà di comunicazione ha ricevuto un mandato dal gruppo svizzero Ciba Specialty Chemicals, divisione indipendente di Novartis, per valutare il suo marketing.
Il Laboratory for system modelling, della facoltà di economia, è alla ricerca di sponsor privati ma finora «non ha ancora ricevuto richieste» dice l'Usi. Un'altra donazione privata è giunta quest'anno dalla Fondazione Sergio Mantegazza, dell'omonimo multi milionario ticinese del settore viaggi: 140 mila franchi per il master in turismo internazionale e all'archivio del Moderno presso l'Accademia di architettura.
Ma aziende come Oracle, Compaq, Intel e Microsoft non fanno nulla per nulla. Tant'è che sono ben note le loro vicende con le autorità antitrust americane ed europee per abuso di posizione dominante (vedi i casi Oracle/Microsoft e Oracle/Peoplesoft). Al contempo, grandi fusioni come quella del 2002 tra Compaq e Hewlett Packard, seppur approvata dalla Commissione europea (Ce), ha sì creato il secondo gruppo mondiale dei Pc dopo Ibm, ma ha pure prodotto 15 mila senza lavoro nel mondo. Nello stesso anno Intel ha dovuto pagare 300 milioni di dollari per aver violato i brevetti di una concorrente. Quanto a Microsoft, già multata negli Usa per un suo software web, ora è alle prese con la Corte di giustizia europea per una multa di quasi 500 milioni di euro in merito a un altro suo sofware.
In merito a queste problematiche di responsabilità sociale delle grandi multinazionali, il rettorato dell'Usi non ha preso posizione, affermando solamente che «queste collaborazioni sono essenziali» per «raggiungere i massimi livelli nella ricerca». E con la nuova facoltà di scienze informatiche c'è da attendersi altre collaborazioni di questo tipo.
Il caso Novartis/Berkeley
Il gigante basilese ha "comprato" un laboratorio per le sue ricerche in microbiologia. Il direttore della facoltà, dopo aver scritto un articolo scientifico contro un prodotto Novartis, è stato licenziato.La multinazionale svizzera Novartis è numero al mondo nel campo farmaceutico ed è forse tra le aziende che ha maggiormente approfittato della controversa legge Usa del 1980: le aziende private possono sfruttare a proprio beneficio le scoperte effettuate nei laboratori delle università pubbliche. Nel 1998 il laboratorio di microbiologia dell'università di Berkeley in California era alla ricerca di fondi e dati scientifici.
Con il benestare del rettorato dell'ateneo, Novartis lo ha "affittato" fino al 2003 per 25 milioni di dollari. Con ciò ha avuto il diritto di brevettare le scoperte e ottenere due seggi nel comitato scientifico dell'istituto. Ma le critiche non si sono fatte attendere: lettere di protesta nei media locali; la disapprovazione dello stesso direttore dell'Istituto di risorse naturali (College of Natural Resources), il microbiologo Ignacio Chapela; quella di molti studenti per voce dell'associazione "studenti per una ricerca responsabile" (Students for Responsible Research) a causa della «mancanza di collegialità».
Nel 2001 l'epilogo: Chapela, con un articolo pubblicato sulla rivista Nature, ha dimostrato come il grano geneticamente modificato di Novartis aveva contaminato altre piante in Messico a svantaggio dei coltivatori locali. L'ateneo ha poi sospeso Chapela dalle sue funzioni, motivando una scarsa «quantità e qualità» delle sue ricerche.